Un dato fondamentale del nostro tempo è la crisi dell’editoria periodica per come la conoscevamo. Si tratta di una crisi profonda che riguarda quasi tutti i quotidiani (dopo che i settimanali sono quasi scomparsi da anni) e che va ben al di là dei pur massicci licenziamenti di redattori e del crollo verticale delle vendite. Il cambiamento del costume e il fatto che si vedano sempre meno quotidiani spuntare dai tasche dei soprabiti sono accompagnati da una serie di conseguenze molto importanti.
I motivi della crisi sono numerosi, ma certamente uno dei principali è l’imporsi di internet (dove è possibile reperire, gratuitamente, una gran massa di informazioni e commenti), insieme al successo dei social network. La trasformazione è profonda e ha ricadute rilevanti sull’economia, sulla vita sociale, sulla politica. Se il giornalismo è stata una delle attività cruciali del ventesimo secolo (veniva dalla carta stampata, ad esempio, Benito Mussolini e ha ruotato a lungo attorno al giornalismo molta parte della vita politica), oggi questo universo sembra progressivamente sprofondare, insieme alla stessa idea degli opinion leader.
Con la disfatta del giornalismo sembra infatti ridursi sempre di più lo spazio di chi storicamente s’incaricava di offrire un punto di vista “ragionato” e aiutava, in tal modo, l’emergere di un’opinione pubblica sufficientemente consapevole. Per decenni “The Times”, “Le Figaro” o il “Corriere della Sera” hanno permesso ogni mattina di avere un’interpretazione dei fatti e della società con cui confrontarsi. L’idea era che l’analisi giornalistica e la riflessione sviluppata nei fondi e nei commenti aiutassero ad affrontare i problemi con razionalità e spirito critico.
Nell’età della rete, però, quanto scrivono gli opinionisti di larga fama sembra interessare sempre meno. Se il giornalismo si basava sull’autorevolezza di alcune testate e di taluni autori, nell’epoca della rete sembra che viga l’eguale dignità dei differenti punti di vista. Ognuno – in Twitter, in Facebook o altrove – dice la propria e al più cerca le opinioni degli amici, per confrontarsi e dialogare. Tutto progressivamente si appiattisce e delinea alla fine uno scenario in cui possono imporsi senza problemi le teorie economiche o scientifiche meno difendibili.
In fondo, il vecchio giornalismo nasceva dalla modestia di una società borghese colta che non si riteneva in grado di dire la propria su tutto, non pretendeva di sapere ogni cosa anche senza avere visto niente, confidava nella qualità di alcuni quotidiani e professionisti. Per citare solo un caso, i “montanelliani” erano persone che in primo luogo conoscevano i propri limiti e poi, in seconda battuta, apprezzavano l’arguzia e l’intelligenza dello scrittore toscano.
Il protagonismo generalizzato dei nostri tempi sembra “liberante” e in parte lo è, ma comporta pure problemi. È certamente positivo nei social network si abbiano confronti e discussioni, e che sia possibile per chiunque esprimere la propria opinione, ma se questo toglie tempo e spazio ad analisi non superficiali è facile che la conseguenza principale sia il venir meno di ogni ostacolo di fronte a quanti vogliono affermare demagogia e complottismo.
Durante il secolo ormai alle spalle spesso i giornali sono stati confezionati male, utilizzati a fini politici, piegati agli interessi di questo o quel gruppo. La barriera che si poneva dinanzi a quanti volevano esprimersi e comunicare ha avuto più volte effetti deprecabili. Era però in qualche modo positiva l’idea (più un ideale che un fatto, ma un ideale comunque non banale…) che il pulpito della comunicazione fosse almeno in parte esclusivo, riservato a pochi, da utilizzarsi con grande cura.
Non ha alcun senso ritenere che siamo sempre e in ogni occasione eguali, perché non posso pensare che quanto so in tema di cellule staminali abbia lo stesso valore di quanto conosce chi questi temi li studia da una vita. Non basta dare un microfono in mano a chiunque perché si possa assistere al costituirsi di un’opinione pubblica improntata a ragionevolezza e buon senso.
Non c’è alcun dubbio che in passato molti opinion leader siano stati poco onesti e inadeguati. È difficile pensare che la totale assenza di opinion leader sia però la soluzione al problema.