Quella sporca dozzina
Giuliano Cazzola – Il Garantista
Ecco la prima legge di stabilità della “sporca dozzina”. Nel contrassegnare con il titolo di un celebre film il brain trust che a Palazzo Chigi ha predisposto la manovra di bilancio per il 2015 non intendiamo essere offensivi o polemici. L’idea ci è stata suggerita da un articolo – apparso il 15 ottobre scorso sul QN – molto “simpatizzante” verso i giovanotti che collaborano con il premier in aperta e palese concorrenza con i tecnici dell’Economia. Pare che siano proprio dodici, descritti come intellettuali brillanti, lavoratori indefessi.
Dicono che siano veri e propri “cavalieri dell’Ideale” tra loro solidali e leali nei confronti del Kim Il Sung fiorentino a cui presentano, a getto continuo, lavorando senza orari e senza riposo, dossier accurati sui diversi problemi che il premier afferra in un lampo tanto che, in pochi secondi, è in grado di orientarsi e decidere (ricordate “il concitato imperio e il celere obbedir” che il Manzoni riferisce a Napoleone ancora “folgorante in soglio”?). In verità, anche in questa occasione, gli eroi di Palazzo Chigi non hanno dato prova di quella fantasiosa lungimiranza che i quotidiani si sforzano di riconoscere. Non solo perché si rivelerà certamente illusorio il taglio di 15 miliardi di spesa pubblica. E neppure perché la copertura è tecnicamente inadeguata (non è affidabile cifrare il recupero di evasione fiscale) per cui diventerà necessario prevedere delle clausole di salvaguardia che andranno, al solito, a sbattere contro aumenti delle accise o dell’Iva.
È il disegno di politica economica che non regge, come è emerso nell’ambito dell’operazione del bonus di 80 euro. Alla base dei provvedimenti sta la convinzione – non solo non dimostrata, ma smentita dai fatti – per la quale, avendo le famiglie maggiori disponibilità economiche, ripartiranno i consumi, mentre riducendo le tasse sulle imprese si rimetterà in moto l’economia. Tutto ciò sparando nel mucchio: attingendo anche a risorse preziose come quelle del Tfr, da un lato; oppure, evitando di selezionare i settori veramente in grado di guidare la ripresa, dall’altro. Non ci vuole molto a capire che quando si riducono le tasse e il costo del lavoro o si favoriscono gli investimenti nelle imprese che esportano e operano nell’economia globale, si migliora anche la loro capacità competitiva.
Se si compie invece un’operazione di carattere generale, rivolta a favorire l’occupazione con il taglio dei contributi per un triennio, nel caso di nuove assunzioni, si finirà soltanto per “drogare” il mercato del lavoro e per dare la stura, una volta cessato il beneficio, a una tornata di licenziamenti collettivi e di chiusura di imprese. I posti di lavoro non si creano e, soprattutto, non si conservano, assumendosi lo Stato una parte considerevole del costo del lavoro, ma attraverso una crescita reale dell’economia che il disegno di legge di stabilità non garantisce, limitandosi a una redistribuzione clientelare delle risorse reperite raschiando il fondo del barile.
Benché, infatti, in tanti la sconsigliassero, il premier-ragazzino ha voluto inserire nella legge di stabilità l’operazione Tfr in busta paga. Per dare un giudizio compiuto e misurare l’entità dei danni prodotti (perché vi saranno solo danni) occorrerà capire come sono stati affrontati e risolti alcuni dei tanti problemi connessi. Facciamo pure degli esempi: che cosa succede del Tfr allocato nei fondi pensione? Potrà essere distolto per un triennio e intascato? E di quello non allocato nelle forme di previdenza complementare che le aziende con 50 e più dipendenti sono tenute a versare nel Fondo Tesoro? Se i futuri ratei dovessero tornare, in modo massiccio, nelle tasche dei lavoratori verrebbe a mancare un`importante entrata per lo Stato.
È vero che anche oggi coloro che a suo tempo decisero di rimanere affezionati al Tfr potrebbero cambiare idea e aderire ad una forma di previdenza privata. Ma nella realtà sappiamo bene che, da anni, le possibili opzioni nell’utilizzo delle liquidazioni si è stabilizzata (5,5 miliardi ai fondi e alle altre tipologie, 6 miliardi al Fondo Tesoro presso l’Inps, il resto (tra gli 11 e i 14 miliardi presso le imprese con meno di 50 dipendenti). C’è poi la questione del pubblico impiego: per motivi di difficoltà pratiche e soprattutto di cassa, il settore resterà escluso, E quindi, oltre a non rinnovare i contratti, a non disporre, nei fatti, della previdenza complementare, per i dipendenti pubblici non sarà nemmeno possibile usare delle liquidazioni in contanti. Ora, nei settori privati, verrà introdotta una variabile d’uso (la monetizzazione mensile o annua) che potrà certamente mettere in crisi il suddetto equilibrio.
Gli italiani, comunque, devono essere consapevoli che, nella previdenza come nella vita, “nessun pasto è gratis”: alla maggiore disponibilità di reddito attuale – per quanti sceglieranno di intascare il Tfr – corrisponderà un tenore di vita più modesto da anziani. Ciò anche per effetto della più elevata tassazione dei rendimenti che andrà a incidere sul montante contributivo delle singole posizioni individuali. Queste risorse garantiscono le future pensioni, quelle dei fondi sono loro stesse pensioni. Recenti sondaggi avevano accertato che due italiani su tre sono contrari all’operazione Tfr in busta paga. Matteo Renzi ha voluto tirare ugualmente diritto. Quanti lo seguiranno? Per costoro sarà come la vicenda dei passeggeri di una mongolfiera bucata. Avranno la sensazione di andare più veloci, invece staranno precipitando.