Tagli e ritagli
Davide Giacalone – Libero
Andò per tagliare e fu tagliato. Mentre la revisione della spesa pubblica è annunciata come sempre più consistente, ma diventa sempre più cieca e inconsistente. Una gara tipo “Miracolo a Milano” al contrario, con un “meno uno” al posto del “più uno”. Gara a rilancio, ma che parte inceppata. Ieri si sarebbe dovuta avviare la consultazione ministero per ministero, in modo da mettere a punto i tagli e passare alle forbici, ma Matteo Renzi ha preferito rinviare tutto e adottare un sistema che replica pari pari il verso antico: relazione di ciascun ministero, con quel che pensa di potere risparmiare. Poi si vedrà. Ciò non capita per caso. E’ la conseguenza degli errori commessi.
Il siluramento di Carlo Cottarelli è un passaggio che non ha nulla di personale, ma sostanza tutta politica. Bisogna studiarlo bene, per capire quello che accadrà. La sua sorte personale non desta preoccupazioni: all’inizio gli fecero un contratto triennale (cosa che qui criticammo, dato che si trattava di una missione a scopo, non a tempo), poi s’è chiesto al Fondo monetario internazionale di riprenderselo, come se fosse stato in aspettativa. Sono tutti pronti a dire che ha svolto un buon lavoro, purché non pretenda di farlo valere e si tolga silente dai piedi. Lo ha chiarito il ministro più politico e rappresentativo, Maria Elena Boschi: “se ne andrà dopo la legge di stabilità e se volesse andarsene prima ce ne faremo una ragione e troveremo altri”. Delle comparse, a quel punto. Qual è il motivo per cui il lavoro di Cottarelli infastidisce? Non perché ci sia un primato della politica, dacché l’incarico glielo diede e confermò il governo, quindi la politica, ma perché individuare il tessuto morto da tagliare significa seppellire interessi reali e immediati, che reagiscono. Mentre annunciare tagli sempre più consistenti genera vago dissenso e spaesato consenso. Tutto macro e niente micro, vale dire tutto fumo e niente arrosto.
Dicono al governo: non abbiamo mai proposto di fare tagli lineari. Falso, lo ha anticipato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, al Sole 24 Ore. Ha anche quantificato: 3% per ciascun ministero. Ribattono: ma sarà ciascun ministro a decidere quali, quindi sono tagli mirati. Tanto mirati che il primo colpo, ieri, ha fatto cilecca. Bubbole, comunque, perché al netto del fatto che se il ministro non ne fosse capace ciò vorrebbe dire che s’è messo un incapace su quella sedia, sarà Palazzo Chigi, nel caso, a fare le veci del ministro. E questi sono esattamente tagli lineari, così come li impostò Giulio Tremonti, a sua volta copiando dal ministro dell’economia inglese, a quel tempo, Gordon Brown: si parte dai saldi per indurre la riduzione della spesa. La politica, se esistesse e se ne fosse capace, eserciterebbe il suo potere nello stabilire dove e quanto tagliare, non nel fissare l’entità dei tagli necessari per poi dire: fate vobis et favorite miki.
Ma non basta, perché sappiamo già che in certe amministrazioni non si potrà tagliare. Come nella scuola, sul cui bilancio si abbatterà la valanga delle assunzioni annunciate. Peccato che: a. abbiamo già troppi insegnanti per alunno; b. assumendone 150mila con un turn over di circa 30mila l’anno il primo docente nuovo lo vedremo fra otto anni; c. nel frattempo la riforma non cambierà la didattica, visto che ne mancano i nuovi protagonisti; d. la spesa per la scuola crescerà senza che cresca di un tallero la spesa per dare istruzione ai ragazzi. Si potrebbe rimediare con il digitale, ma anche quello viene continuamente rinviato. Assieme ai tagli lineari, quindi, ci becchiamo anche gli aumenti lineari. A tutto giovamento della burocrazia e del posto improduttivo.
I tagli possono basarsi su maggiori efficienze e minori sprechi, nel qual caso non esiste altra strada che farsi guidare da chi conosce la struttura della spesa, coprendogli le spalle dai pesanti attacchi che arriveranno. L’esatto contrario di quel che hanno fatto con Cottarelli. Oppure, e sono quelli più interessanti e promettenti, possono essere generati da riforme, da cambiamenti profondi dell’agire pubblico. Sono, in questo caso, più che tagli una vera e propria riqualificazione della spesa pubblica, con cui, naturalmente, si può anche ridurla aumentandone la qualità. Questo è il lavoro serio e alto della politica. Il resto è ragionerismo praticato da gente che non conosce la ragioneria. Con i risultati che si videro e si vedono.