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Crisi: per le imprese italiane la bolletta energetica è di gran lunga la più cara d’Europa

Crisi: per le imprese italiane la bolletta energetica è di gran lunga la più cara d’Europa

NOTA

Le nostre imprese sono costrette a pagare una bolletta energetica salatissima, di gran lunga la più cara nelle grandi economie europee. Un’analisi del Centro studi ImpresaLavoro rivela quanto sia impietoso il raffronto del costo italiano (tasse incluse) per l’elettricità con quello sostenuto dai nostri principali competitor: +14% rispetto alla Germania, +30% rispetto al Regno Unito, +49% rispetto alla Spagna e addirittura +91% rispetto alla Francia. Non solo. Risultiamo nettamente perdenti anche nei confronti degli altri Stati confinanti, che da tempo attraggono imprese e capitali italiani grazie a una tassazione e a un costo del lavoro decisamente inferiori a quelli del cosiddetto Belpaese: +46% rispetto all’Austria, +89% rispetto alla Croazia e +105% rispetto alla Slovenia.
L’analisi di ImpresaLavoro è stata condotta elaborando i dati Eurostat relativi al secondo semestre 2014 e considerando il prezzo praticato a una media industria italiana, con un fabbisogno energetico annuo tra i 500 e i 200 MWh (megawattora).
Il prezzo finale sostenuto dalle nostre imprese è composto dal costo netto dell’energia e dal totale di imposte e accise che lo Stato applica loro. Se considerata prima delle tasse la nostra energia risulta la quarta più cara in Europa, costando come quella portoghese e leggermente meno di quella britannica, irlandese e spagnola: 0,1052 centesimi di euro per Kwh (chilowattora). Il discorso però cambia se vengono incluse le imposte, che da noi hanno incidono in maniera rilevantissima (pesano fino al 48% se si considerano anche le imposte sul valore aggiunto e il 25% se non si considera l’Iva e altre imposte che le aziende possono recuperare) e che fanno quindi diventare la nostra energia in assoluto la più cara d’Europa: 0,1735 centesimi di euro per Kwh (chilowattora).

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Rassegna Stampa
LaRepubblica.it
Imprese: ecco il conto salato della bolletta energetica – LaRepubblica.it

Imprese: ecco il conto salato della bolletta energetica – LaRepubblica.it

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“Le nostre imprese sono costrette a pagare una bolletta energetica salatissima, di gran lunga la più cara tra le grandi economie europee”. Un’analisi del Centro studi ImpresaLavoro rivela quanto sia impietoso il raffronto del costo italiano (tasse incluse) per l’elettricità con quello sostenuto dai nostri principali competitor: +14% rispetto alla Germania, +30% rispetto al Regno Unito, +49% rispetto alla Spagna e addirittura +91% rispetto alla Francia. Non solo. Risultiamo nettamente perdenti anche nei confronti degli altri Stati confinanti, che da tempo attraggono imprese e capitali italiani grazie a una tassazione e a un costo del lavoro decisamente inferiori a quelli del cosiddetto Belpaese: +46% rispetto all’Austria, +89% rispetto alla Croazia e +105% rispetto alla Slovenia.

L’analisi di ImpresaLavoro è stata condotta elaborando i dati Eurostat, di cui aveva dato conto Repubblica.it, relativi al secondo semestre 2014 e considerando il prezzo praticato a una media industria italiana, con un fabbisogno energetico annuo tra i 500 e i 200 mWh (megawattora).

Il prezzo finale sostenuto dalle nostre imprese è composto dal costo netto dell’energia e dal totale di imposte e accise che lo Stato applica loro. Se considerata prima delle tasse la nostra energia risulta la quarta più cara in Europa, costando come quella portoghese e leggermente meno di quella britannica, irlandese e spagnola: 0,1052 centesimi di euro per kWh (chilowattora). Il discorso però cambia se vengono incluse le imposte, che da noi hanno incidono in maniera rilevantissima (pesano fino al 48% se si considerano anche le imposte sul valore aggiunto e il 25% se non si considera l’Iva e altre imposte che le aziende possono recuperare) e che fanno quindi diventare la nostra energia in assoluto la più cara d’Europa: 0,1735 centesimi di euro per kWh (chilowattora).

Rottamare non è un pranzo di gala

Rottamare non è un pranzo di gala

Carlo Stagnaro – Il Foglio

L’Italia ha molti problemi economici, ma uno dei principali è anche tra i meno discussi: gli alti prezzi dell’energia elettrica. Gli italiani, e soprattutto le piccole e medie imprese, pagano le terze tariffe elettriche più salate d’Europa, dopo Danimarca e Cipro, e la loro bolletta è del 35 per cento sopra la media dell’Unione europea. Questo impone una significativa zavorra alla crescita: ecco perché il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha infine messo mano alla questione con una legge a lungo attesa e recentemente votata dal Parlamento.

La principale ragione del caro-energia è che Roma ha sempre trattato i consumatori elettrici alla stregua di un bancomat, una fonte facilmente accessibile per le risorse necessarie a finanziare gli obiettivi redistributivi dei politici e conquistare voti. Tutto iniziò all’epoca del monopolio, quando i dipendenti delle imprese pubbliche avevano diritto a prezzi scontati. Quel “diritto” è rimasto in vigore per gli ex dipendenti anche dopo la privatizzazione dell’operatore dominante e la liberalizzazione del mercato elettrico. Tale concessione a un gruppo di lavoratori è stata sussidiata dai consumatori fino a ora. Nel tempo, i sussidi si sono aggiunti ad altri sussidi che si sono aggiunti ad altri sussidi ancora.

Da quando il monopolio è stato superato, il governo ha mantenuto un ruolo centrale nella definizione dei prezzi, e lo ha utilizzato con generosità. Dal 1963 le Ferrovie pagano l’elettricità a prezzo ridotto. Più recentemente diversi settori industriali, e in particolare le imprese energivore, hanno ottenuto un trattamento preferenziale. I costi di rete sono superiori a quello che può essere considerato un ragionevole “livello efficiente”, dato il profilo di rischio degli investimenti sottostanti. Tutto questo è sussidiato dal normale consumatore che deve pagare sempre di più.

A peggiorare le cose, i produttori rinnovabili italiani godono di quelli che sono forse i sussidi più generosi d’Europa. I sussidi alle energie rinnovabili valgono circa un quinto del costo dell`energia per il consumatore finale. La famiglia italiana tipo oggi paga circa 94 euro all’anno, in aggiunta alla propria bolletta, per sostenere le energie “verdi”, contro i 31 euro all’anno del 2010. La crescita è stata particolarmente rapida in ragione degli incentivi al fotovoltaico, il cui impatto è salito a 21 euro/MWh nel 2013 da 5 euro/MWh nel 2010. Per ogni MWh solare, il produttore riceve sussidi che sono dalle cinque alle sette volte superiori al valore dell’energia stessa. Roma fa gravare altre tasse e oneri sui consumatori elettrici, come le accise, una componente tariffaria per coprire i costi dell’uscita dal nucleare e una per sostenere la ricerca di sistema nel settore elettrico. Tutti questi oneri, che finanziano vari altri schemi redistributivi, spiegano circa la metà del gap tra i prezzi energetici italiani e la media europea. Le tariffe sarebbero “soltanto” del 17 per cento superiori, anziché l’attuale 35 per cento, se tali oneri fossero allineati alla media Ue. Il problema è diventato particolarmente serio con la recessione. La crisi economica ha abbattuto i consumi energetici. Di conseguenza i consumatori pagano sempre più sia perché la base dei gruppi sussidiati si è dilatata, sia perché il numero di quanti pagano prezzi pieni si va restringendo. Occorre trovare un nuovo equilibrio tra gli interessi delle piccole imprese in affanno e quelli degli investitori finanziari sussidiati che ricavano il loro reddito da risorse sottratte forzosamente ai consumatori.

Fortunatamente, sembra che la tendenza stia cambiando. Il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ha promosso un pacchetto di riforme, di cui fanno parte un decreto convertito in legge dal Parlamento il mese scorso e altre misure. A partire dalla fine del 2014, grazie a tali provvedimenti, l’ammontare dei sussidi ai vari gruppi di interesse si ridurrà di circa 1,5 miliardi di euro l’anno. Si tratta grossomodo del 10 per cento del monte complessivo dei sussidi. L’obiettivo è ridurre i prezzi per i normali consumatori.

I precedenti tentativi di riforma hanno cercato di contenere il tasso di crescita dei sussidi, oppure di proteggere alcuni influenti gruppi di pressione dal peso di tasse e oneri, ma non hanno mai affrontato il relativo groviglio di sussidi che ha spinto le tariffe inesorabilmente verso l’alto. Il nuovo pacchetto è diverso perché aggredisce il problema a testa bassa e senza guardare in faccia a nessuno. Nessuno è stato risparmiato. Tutti i sussidi citati sono stati ridotti o rimodulati allo scopo di renderli meno onerosi per i consumatori.

La riforma naturalmente ha generato grande scontento. I vari interessi particolari hanno fatto una rumorosa opposizione. Né, a dispetto di tutto il clamore, questa è una riforma perfetta. Secondo alcuni, i tagli avrebbero dovuto essere ancora più profondi. Ma il meglio non dovrebbe essere nemico del bene. Quello che realmente conta e che per la prima volta le piccole e medie imprese, anziché mettere mano al portafoglio, vedranno un beneficio concreto. Anche in Italia, insomma, se ci sono volontà politica, visione e coraggio, i risultati possono essere raggiunti, e i “diritti acquisiti” dei cacciatori di rendite possono essere controbilanciati dalle istanze dei portatori del “dovere acquisito” di pagare il conto, Per parafrasare lo slogan elettorale di Renzi, almeno sulla politica energetica si sta cambiando verso.