Ristrutturare il debito senza scorciatoie
Danilo Taino – Sette
Fino a qualche settimana fa il solo parlare di ristrutturazione del debito era tabù, un’azione per la quale essere accusati di disfattismo o di farneticazione. La questione non va nemmeno accennata – si diceva – per non mettere in agitazione i mercati. E comunque un Paese che vuole ristrutturare il proprio debito – cioè non rispettare gli impegni presi con gli investitori che hanno comprato i suoi titoli di Stato – non ne discute: lo fa. Ora, invece, persino nei salotti buoni si è cominciato a parlarne come se si trattasse di un gioco di società. Nel discutono gli economisti. La questione rimbalza su Twitter. Ne fa cenno – in una dimensione di accordo europeo e solidale – nientemeno che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio (che è poi la voce di Matteo Renzi ) Graziano Delrio.
Corre voce che il ministero dell’Economia attorno all’eventualità disegni scenari. La realtà da cui parte l’ondata inattesa del dibattito è che al 135% del prodotto interno lordo sarà difficile rispettare i vincoli di riduzione del debito pubblico previsti dal Fiscal Compact europeo. Sarebbe opportuno partire da un livello più basso rispetto ai 2.100 miliardi di oggi. Secondo uno studio molto approfondito del professor Paolo Manasse, due o trecento miliardi di debito in meno metterebbero l’Italia su un sentiero sostenibile di riduzione in linea con i vincoli dell’Eurozona. In più – dice l’economista – sul paino legale qualche forma di ristrutturazione è fattibile e le banche italiane, che hanno in cassa grandi quantità di titoli dello Stato, ne soffrirebbero non in misura drammatica.
Qui i casi sono due. O si pensa che la situazione sia disperata e che l’Italia non sia in grado di onorare gli impegni da sola, oppure si cerca una scorciatoia. Che il Paese ce la possa fare, in realtà, è stato dimostrato da una serie di altri studi: l’unica strada per farlo, però, è la riduzione seria e progressiva del perimetro dello Stato, la dismissione di proprietà (imprese pubbliche anche locali e patrimonio immobiliare) e passi indietro dell’ingerenza della politica nell’economia. Così, con un ampio di privatizzazioni, si può ridurre in buona misura il debito. E rispettando il Fiscal Compact si può evitare che i proventi di queste privatizzazioni vengano bruciati in poco tempo. Il resto sembra una scorciatoia che, quando i mercati si accorgessero che è una possibilità concreta, si trasformerebbe, allora sì, in una crisi del debito.