eurozona

Pennisi: “L’Euro ha messo a nudo le nostre carenze strutturali”

Pennisi: “L’Euro ha messo a nudo le nostre carenze strutturali”

di Giuseppe Pennisi*

Lo studio appena pubblicato da ImpresaLavoro mostra come l’ingresso nella moneta unica abbia messo a nudo la principale carenza strutturale dell’Italia: la bassa e stagnante produttività multifattoriale. All’epoca dell’ingresso nella moneta unita, molti policy maker ed alcuni economisti si sono illusi che fosse sufficiente fare parte dell’eurozona, e bloccare, quindi, il cambio, per aumentare la produttività pensando che pubblica amministrazione, imprese e famiglie si sarebbero adeguate ed avrebbero presto raggiunto la produttività media, se non dei Paesi nordici, almeno dell’intera eurozona.

Ciò non è avvenuto per numerose determinanti. Alcune storico-sociologiche, altre perché non si sono mai fatte le necessarie ed urgenti riforme economiche (prima tra tutte quella della fiscalità, inclusa la sua riduzione), ma ci si è concentrano su riforme istituzionali che, come dimostrato tra gli altri dal recentemente scomparso Premio Nobel Douglas C. North, frenano, nel breve periodo, la produttività e quindi la crescita. Sono dati scarni ma su cui Governo e Parlamento dovrebbero meditare.

* presidente del board scientifico di ImpresaLavoro

Le minacce di una “nuova guerra fredda”

Le minacce di una “nuova guerra fredda”

Giuseppe Pennisi – Formiche Oeconomicus

Ci sono segni di miglioramento dell’economia internazionale, una cui ripresa potrebbe far da traino al continente vecchio e soprattutto alla malconcia eurozona. A fine marzo una conferenza internazionale a Sendal, la città più vicina all’epicentro del terremoto che devastò il Giappone nel 2011, ha portato ad un’intesa su parametri ambientali per ridurre i rischi di disastro più realistici (e più fattibili) di quelli di Kyoto. In settembre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite verrà dedicata alo sviluppo; le diplomazie stanno negoziando Sustainable Development Goals più concreto dei Millennium Development Goals definiti nel 2000. Prima di allora, in luglio, ad Addis Ababa un assise di organismi internazionali e di grandi banche esaminerà come mobilizzare risparmi e flussi privati di capitale per lo sviluppo. In dicembre, infine, a Parigi dovrebbe venire firmato un nuovo trattato sui cambiamenti climatici. Anche se gli obiettivi di queste riunioni rischiano di accavallarsi, se ben gestite , potranno contribuire ad un nuovo percorso di sviluppo. E potrebbero anche essere la premessa per più vasti accordi in materia monetaria e finanziaria. Non si pensi ad una Nuova Bretton Woods , il miraggio lanciato una decina di anni fa. Ma se i temi a più vasto raggio di ambiente e sviluppo verranno incanalati verso targets realisti tramite percorsi concreti, si potrebbero aprire più facilmente negoziati tra grandi mercati comuni ed eventualmente grandi accordi monetari in gestazione su base geografica.

Questo quadro sostanzialmente ottimista non tiene però conto del riaccendersi (e riscaldarsi) di una nuova guerra fredda di cui quasi ogni giorno si vedono i segnali. In un primo momento, il tema sembrava che restasse nei confini dei contrasti tra Stati emersi dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche di un tempo. Le stesse cruenti vicende dell’Ucraina sono parse liti tra ex-amanti non più nello stesso letto. Tuttavia, i nodi che riguardano le forniture di oli minerali (principalmente gas) all’Unione Europea tramite l’Ucraina mostrano come le ramificazioni siano molto più vaste e più profonde. Si è sorriso quando la Repubblica di Cipro, travolta da una crisi bancaria senza precedenti, si è rivolta a Mosca: sembra il ruggito del topo per ricordare il titolo di un film d’epoca di satira politica. Molto più preoccupante, l’abbraccio con Mosca del Presidente del Consiglio Greco Alexis Tsipras quando il negoziato con la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea ed il Fondo Monetario Internazionale sembrava sull’orlo del fallimento. Preoccupanti anche se poco notate al di fuori della Norvegia le manovre militare russe al circolo polare artico su cui Mosca considera di avere privilegi. Per non parlare delle tensioni tra le vaste regioni russe in Asia ed i Paesi confinanti.

Dato che gli obiettivi di una rubrica mensile sono quelli di andare al di là del contingente e del congiunturale, vale la pena chiedersi se una nuova guerra fredda potrebbe avere effetti sull’economia internazionale. Da un lato la Russia di oggi è un Paese in cui l’aspettativa di vita alla nascita diminuisce, l’industria (tranne quella militare) è obsoleta, le generazioni più giovani sono allo sbando, e attorno al Cremlino sono in corso lotte di potere di cui è difficile anche solo azzardare un percorso. Da un altro, gode di enormi risorse naturali, specialmente in campo energetico, e può diventare una polveriera.

Lo sanno bene non solo in Norvegia ma anche nei Länder tedeschi più prossimi al confine con la Federazione Russia dove – lo mostrano eloquentemente film che non trovano distributori italiani – il timore dell’immigrazione dall’Est sta provocando , tra le giovani generazioni, aggregazioni di tipo nazista. Non certo una buona promessa. Né per la politica né per l’economia.

Oppositori contabili

Oppositori contabili

Davide Giacalone – Libero

Da che si doveva sventare il pericolo della clausole di salvaguardia a che ci sono soldi in avanzo. Da che si scopre il tesoretto di 1.6 miliardi a che i tecnici di Camera e Senato avvertono che potrebbe diventare necessaria una correzione dei conti, per 6.4 miliardi. Da che si annuncia una valutazione prudenziale della crescita del prodotto interno lordo, fissata allo 0,7 per il 2015 (la metà della media eurozona, ma cresceremo di più, ripetono), a che si festeggia la stima fatta dal Fondo monetario internazionale, che ci vede in crescita solo dello 0,5 (un terzo dell’eurozona). Ora, a parte dotarsi di un pallottoliere, la domanda è: possibile che la sola opposizione, al governo, la facciano i contabili?

L’opposizione non è mera contrapposizione, che di quella abbondiamo. L’Italia è piena di soggetti politici che sono contro le privatizzazioni e contro le amministrazioni politiche, sicché si suppone auspichino la gestione divina. Di politicastri che protestano a fianco di chi è contro i tagli e di chi è contro le tasse. Loro sono “contro”, anche all’aritmetica e alla logica. Lasciamo perdere la coerenza. L’opposizione temibile, però, non è quella che cavalca i brontolii fagiolari (quella, quando vince, è segno che il sistema ha smollato), bensì quella che si rivolge agli elettori e dice: chi governa sta sbagliando, perché queste altre sono le cose che si dovrebbero fare. Meglio se è capace d’individuare la base sociale cui si riferisce, gli interessi che intende favorire e quelli che vorrebbe colpire. Le forze politiche che sono pro tutti sono pro niente e buon pro faccia a chi si sistema. Non la vedo, questa opposizione.

Sulla legge di stabilità c’è chi pubblica riflessioni e proposte e chi presenta critiche e diversi indirizzi. Ma proprio perché le firmano quelle sono posizioni loro, non di una forza parlamentare che stia facendo il mestiere dell’opposizione. Ciò provoca (ieri accadde a destra, oggi a sinistra) il nascere di un’opposizione innaturale, interna alla maggioranza. E comporta che il vincitore di turno diventi il solo giocatore in campo, con il risultato che perde il senso della realtà e dell’equilibrio, fino a gonfiarsi più di un rospo in calore.

A destra ci sono tanti bigotti rimasti sbigottiti, sicché dicono cose insensate su famiglia, procreazione e diritti individuali. Tanti socialisti asociali travestitisi da liberisti immaginari, sicché l’opporsi risulta loro difficile, nel mentre soffrono l’invidia della prestazione. Tanti giustizialisti manettari che vestirono i panni di un garantismo credibile come il botox. Tanti padri costituenti che ieri vollero quel che oggi considerano progenie bastarda. Finché avevano l’aia seguivano giulivi la scia del becchime, ora che si ritrovano nel pollaio inscenano guerre di galli, forse anche per dimenticare d’esser capponi.

L’Italia e il gioco ad ultimatum della Grecia con l’Ue

L’Italia e il gioco ad ultimatum della Grecia con l’Ue

Giuseppe Pennisi – Formiche

Lo avevamo previsto, su Formiche.net, dopo le elezioni in Grecia e l’apertura di nuove trattative tra Atene e le istituzioni internazionali. Nel “gioco a due livelli” tra i partner dell’UE si sarebbe prima o poi arrivati ad un “gioco ad ultimatum”. Ricordiamo di cosa si All’inizio degli Anni Ottanta, furono un libro ed alcuni saggi di Piercarlo Padoan (scritti a quattro mani con Paolo Guerrieri, ora senatore del Pd, entrambi professori alla Università Sapienza di Roma) a portare in Europa questa teoria, che allora stava facendo i primi passi negli Usa. Padoan e Guerrieri ne divennero “capi scuola”. In sintesi, nell’eurozona è in corso un gioco a più livelli in cui ciascuno dei partecipanti deve massimizzare obiettivi di “reputazione” e di “popolarità” differenti (e in certi casi divergenti) di fronte alle altre parti in causa. Tutti devono mantenere una buona reputazione rispetto agli altri soci dell’eurozona e presentarsi come convinti assertori della moneta unica. In termini di popolarità, però, ciascun partner risponde alla propria opinione pubblica.

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