giorgio santilli

Numeri, numerini e numeri spaziali

Numeri, numerini e numeri spaziali

Giorgio Santilli – Il Sole 24 Ore

Tornato a Palazzo Chigi, Matteo Renzi si è messo subito al lavoro sugli oltre 100 articoli che gli uffici gli hanno lasciato domenica scorsa dopo il lavoro, durato tutto agosto, di raccolta delle norme del decreto sblocca-Italia dai vari ministeri. A Renzi il testo deve aver fatto la stessa impressione che ha fatto a noi: un corpaccione con molte cose interessanti ma senza un’anima e senza un euro aggiuntivo rispetto a poche, vecchie risorse riprogrammate. Se il decreto vuole essere la risposta ai moniti agostani di Draghi sul rilancio degli investimenti o il biglietto da visita per il Consiglio Ue del prossimo weekend, c’è ancora molto lavoro da fare. Le risorse disponibili ammontano al momento agli 1,2 miliardi del fondo revoche per vecchie infrastrutture mai partite e forse 2,5 miliardi del Fondo sviluppo coesione mai utilizzati. Forse perché gli uffici ministeriali non danno affatto per scontata questa ulteriore posta e l’incontro Renzi-Padoan di lunedì non ha tranquillizzato.

A voler essere generosi si possono inserire nell’orizzonte dello sblocca-Italia un piano per il dissesto idrogeologico che sta cercando di raccogliere almeno un miliardo da revoche (anche qui) di vecchie opere mai partite e un piano depurazione da 1,6 miliardi che non è mai decollato e potrebbe farlo, ammesso che funzioni la ricetta sempreverde dei supercommissari.

I 43 miliardi di cui parla il governo si conferma un numero spaziale, infondato: una farsa come ha scritto il direttore di questo giornale nell’editoriale del 7 agosto. Il governo inserisce l’attivazione di alcune opere infrastrutturali «già finanziate» ma da sbloccare che sono state quantificate con leggerezza in 30 miliardi, ma che a ben guardare ne possono valere 12, intendendo con questo l’avvio entro 12-18 mesi di opere che produrranno poi lavori per 12-15 miliardi in un arco di vita delle opere di 5-6-8-10 anni.

Sulla stima reale di quanto valgano queste opere basta forse rimandare al lavoro puntuale, opera per opera, fatto dal Sole 24 Ore lo scorso 10 agosto e ricordare qualche opera multimiliardaria inserita a sproposito: l’autostrada Orte-Mestre, che pesa per 10,4 miliardi e vedrà forse con il decreto di fine mese aggirare il parere contrario della Corte dei conti alle defiscalizzazioni concesse dal Cipe per 1,9 miliardi, ma dovrà poi fare la gara per individuare il concessionario (oppure confermare il promotore), portare il progetto a livello definitivo, superare un lungo iter autorizzativo e trovare banche e finanziatori per fare in tempi rapidi un closing e poi avviare i lavori. Probabilità che l’opera parta nel giro di un anno o un anno e mezzo: zero. Per altre opere ci sono in quel piano errori grossolani (la ferrovia Messina-Catania-Palermo è conteggiata per 5.250 milioni, cioè il costo totale dell’opera, mentre l’opera ha disponibili solo 2,4 miliardi e il lotto da sbloccare vale 900 milioni). Lasciamo correre opere tutt’altro che facili da sbloccare come la gronda autostradale di Genova (3,2 miliardi) o opere che non hanno nulla da sbloccare come il piano per Fiumicino (2,1 miliardi).

Da premesse tanto incerte nasce quel totale di 43 miliardi. Il discorso andrebbe riportato dentro una cornice più seria e più fattiva: meno numeroni inutili di cui è morta la legge obiettivo, più risorse reali e comunque una selezione di obiettivi strategici per sbloccare piani e opere realmente prioritari. Un’anima, insomma, per evitare il ripetersi di sblocca-Italia che non hanno sbloccato l’Italia e l’hanno invece condannata al più basso Pil d’Europa.

Deregulation, strada obbligata

Deregulation, strada obbligata

Giorgio Santilli – Il Sole 24 Ore

La norma sulla deregulation inserita ieri a sorpresa nel decreto competitività può ridare fiato a un tema altalenante della politica italiana, eppure decisivo per riprendere la strada della crescita: le liberalizzazioni. Non bastano, ovviamente, singole norme, per quanto promettenti, come quella approvata ieri al Senato, per produrre effetti concreti sull’economia. Occorre invece una politica costante e determinata che si esplichi, da subito e nel tempo, su entrambi i fronti delle liberalizzazioni: la cancellazione brutale di norme e barriere che permettono oggi alla burocrazia di frenare ogni attività economica; la rottura dei monopoli di società pubbliche che, soprattutto in ambito locale, alimentano sprechi e inefficienze, impediscono lo sviluppo di una imprenditorialità competitiva, mantengono i servizi al pubblico e alle imprese a un livello di mediocre qualità.
La realtà non corrisponde, finora, a questi auspici: sul primo versante, quello delle semplificazioni, si è andati avanti, da anni, sempre con una politica dei piccoli passi che ha allontanato, anziché avvicinare, il “dividendo” di liberazione dalla burocrazia cui avrebbero diritto imprese e cittadini.
Anche i sondaggi recentemente fatti dal dipartimento della Funzione pubblica dicono che su fisco ed edilizia la presenza dello Stato resta soffocante e fortemente dannosa per lo sviluppo. Qui un doppio banco di prova il governo ce l’ha: la delega fiscale, ammesso che si superino le timidezze dimostrate finora, e il decreto “sblocca-Italia” di fine mese. Ma servono spallate, non piccoli passi e altre promesse.

E spallate servono anche sul fronte delle società pubbliche. Ci sta lavorando il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, e il suo obiettivo – quando parla di riduzione del 90% delle 10mila aziende municipalizzate – è corretto. Incentivi? Gare per aprire quei mercati dominati dall’in house? Chiusure tout court di aziende decotte? Il mix delle soluzioni può essere ampio e tutte le strade vanno percorse. Certamente, però, queste misure devono uscire dalla sfera degli studi e delle proposte tecniche e diventare atti concreti della politica.
P.S.: Non mancano, ancora una volta, le contraddizioni nel passaggio parlamentare del decreto competitività che oggi dovrebbe avere l’approvazione del Senato. Nello stesso testo che riapre il capitolo deregulation è entrato un emendamento, proposto dai relatori e avallato dal Governo, con cui venivano sottratti 410 milioni al fondo per i pagamenti dei debiti della Pa con le imprese. Una norma francamente incomprensibile, a due giorni dalla firma del protocollo tra ministero dell’Economia e imprese scritto per garantire il pagamento di tutti gli arretrati entro il 21 settembre, come ha ribadito ieri anche il premier.