sblocca italia

Attrattività, l’Italia resta in coda

Attrattività, l’Italia resta in coda

Enrico Netti – Il Sole 24 Ore

Regno Unito, Germania e Francia saldamente sul podio dei Paesi che riescono ad attirare il maggio numero di investitori esteri. L’Italia resta nella parte bassa della classifica, preceduta da Spagna e Olanda. Il nostro Paese, la seconda potenza manifatturiera del continente, soffre di un deficit di attrattività e non regge il confronto con quanto offrono altre nazioni altrettanto provate dalla crisi come quelle della penisola iberica, ma che hanno già imboccato la via delle riforme. In Italia, dal luglio 2009 al luglio 2014, gli investitori esteri hanno avviato 583 progetti greenfield, che hanno portato alla creazione di poco più di 4.700 posti di lavoro. Il tutto ha richiesto finanziamenti per 7 miliardi di dollari. È quanto emerge dal report «fDi Markets» sui trend degli investimenti esteri. Sono stati analizzati oltre 15mila progetti effettuati in 21 nazioni: una partita da 146,2 miliardi di dollari di investimenti, che hanno portato alla creazione di quasi 288mila nuovi posti di lavoro.

La lunga crisi ha ridotto lo stock di investitori che guardano all’Europa occidentale e dopo i picchi del 2011 il trend ha imboccato la parabola discendente. «Negli ultimi anni l`Europa vede un calo degli Fdi – commenta Courtney Fingar, editor-in-chief di “fDi Magazine” e responsabile dei contenuti di fDi Intelligence, divisione del Financial Times -. L’Italia ha diverse criticità con gli investitori esteri, esasperati dai problemi economici, da una certa confusione nella strategia di promozione e dalla mancanza di coordinamento tra i diversi enti pubblici che affermano di avere un mandato per la promozione del Paese». Per l’Italia il bilancio poteva essere ben diverso con la realizzazione di un solo progetto in più: quello del rigassificatore di Brindisi, grande infrastruttura che avrebbe portato alla creazione di un migliaio di posti di lavoro e oltre un miliardo di dollari di investimenti. Dopo undici anni di “difficoltà” e una spesa di oltre 250 milioni British Gasnel 2012 ha gettato la spugna.

Chi decide di investire in Italia punta ai servizi per le imprese con l’obiettivo di presidiare il mercato. Tra i settori spicca quello delle tlc, su cui si sono riversati oltre 2 miliardi di dollari di investimenti, mentre il comparto trasporti e logistica ha creato il maggior numero di nuovi posti (650) e precede le tlc (300) e l’elettronica. La top ten delle multinazionali che hanno varato progetti vede nomi come Fed Ex, Vodafone, Ceva, Amazon, oltre al gruppo filippino Itkc e colossi dell’energia come Rwe ed Électricité de France. «Segnano il passo i grandi progetti greenfield nell’energia e nelle infrastrutture, ovvero quelli di cui il Paese ha assoluto bisogno, mentre vanno meglio gli investimenti in acquisizioni – osserva Donato Iacovone, a.d. di EY Italia -. Servono riforme, e più che le idee ciò che è veramente mancato è stato il coraggio di attuarle. Lo stesso coraggio che oggi l’Europa si aspetta per riconoscere credibilità al decreto “sblocca Italia”». Aggiunge Fingar: «Il governo Renzi ha annunciato alcuni cambiamenti, ma le implicazioni restano per il momento poco chiare».

Non c’è solo un deticit di attrattività, ma anche di competitività. A dirlo è la classifica del World economic forum (Wef) che per il secondo anno consecutivo mette l’Italia al 49° posto. Ci precedono Spagna, Portogallo, le repubbliche del Baltico e Malta. Come fermare il declino? Una possibile cura la suggerisce Francesco Saviozzi, direttore del Master in Imprenditorialità e strategia aziendale della Sda Bocconi, che insieme a Paola Dubini ha curato la parte italiana della ricerca del Wef. «Si dovrebbe trarre ispirazione dal pacchetto di semplificazioni e agevolazioni varato per le startup che dimostra che si possono creare condizioni attrattive per fare impresa – spiega Saviozzi -. Si deve soprattutto fare in fretta per dimostrare all’estero che si riesce a supportare veramente le imprese». I settori da valorizzare sono quelli delle scienze della vita, il biotech e il digitale con pacchetti di norme ad hoc e creando i presupposti per far ritornare i talenti fuggiti all’estero.

«È necessaria anche una vera e seria strategia per attirare gli investitori, con un modello proattivo e coordinato – conclude Fingar -. Sono molti i punti di attrattività offerti dall’Italia, dalle scienze alle tecnologie, senza dimenticare le Pmi con i loro elevati livelli di competenze. Ma questi plus non vengono ottimizzati e comunicati al meglio ai mercati internazionali».

La doppia strada per ridurre il debito

La doppia strada per ridurre il debito

Mario Sensini – Corriere della Sera

Doveva entrare già nello sblocca Italia, ma è rimasto fuori come altre norme solo perché quel decreto rischiava di divenire troppo pesante. Ma il nuovo meccanismo per favorire il cambio di destinazione d’uso degli immobili è pronto, il governo Renzi lo considera uno dei passaggi fondamentali per riavviare l’attività economica e valorizzare il patrimonio pubblico, e sarà inserito nel pacchetto della legge di Stabilità. Nel frattempo il governo sta ripensando i rapporti con gli enti locali, andando oltre il federalismo demaniale. Il sottosegretario al ministero dell’Economia Pier Paolo Baretta ha appena definito con i Comuni il trasferimento di 9.000 immobili a titolo gratuito: se saranno venduti entro tre anni, lo Stato avrà il 25% del ricavato, altrimenti saranno riacquisiti al Demanio.

Il governo di Matteo Renzi si muove sulla strada della valorizzazione e della dismissione del patrimonio immobiliare. All’orizzonte non c’è nessun piano straordinario di abbattimento del debito pubblico, come ha ricordato anche ieri il premier Matteo Renzi nell’intervista al Sole 24 Ore. Giocare tutto sulle dismissioni, date le condizioni attuali del mercato immobiliare, sarebbe un suicidio, anche economico e non solo «reputazionale». Piuttosto, quella che sta prendendo corpo, sempre con l’obiettivo di ridurre il debito, pare una strategia articolata, basata su tre piani: la razionalizzazione degli immobili a uso governativo o comunque pubblico, la valorizzazione e le dismissioni. E che potrebbe comunque prendere spunto anche dai tanti contributi di economisti e banche d’affari arrivati sul tavolo di Palazzo Chigi, ultimi quelli del gruppo Rothschild che hanno consegnato a Renzi alcune «idee» di metodo che potrebbero consentire un taglio del debito tra i 100 e i 300 miliardi.

In attesa che le dismissioni divengano appetibili, si prova intanto a valorizzare, anche superando i colli di bottiglia della burocrazia e della normativa. In questo contesto, mettendo in campo anche i fondi immobiliari pubblici come Invim.It, si potrà tentare qualche operazione di calibro importante nei prossimi mesi, sempre per spuntare il debito. Renzi e Padoan non sembrano credere ai piani shock che da un giorno all’altro possano abbattere quella montagna. Ma sanno che sul fronte del debito bisognerà intervenire, e anche molto presto, se vorranno tempi un po’ più lunghi rispetto a quelli concordati con l’Europa per arrivare al pareggio di bilancio. Dal 2015 scatta infatti la nuova regola del debito, quella che prevede la riduzione di un ventesimo l’anno della differenza tra il livello attuale e il valore di riferimento dei Trattati del 60% del Prodotto interno lordo. Ma già quest’anno si sarebbe dovuto fare qualche cosa per avvicinarsi al traguardo. Il che oggi sembra ancora più difficile dopo la frenata del premier sulla cessione di ulteriori quote Eni ed Enel controllate dal Tesoro.

In ogni caso, nel 2014 il debito pubblico italiano raggiungerà il 134,9% del Pil, secondo il Documento di economia e finanza di aprile, al suo settimo anno consecutivo di crescita (dal 2007). È vero che ha pesato il pagamento delle fatture arretrate della Pubblica amministrazione, e che senza i prestiti alla Grecia saremmo sette-otto punti sotto, ma siamo arrivati al record storico assoluto. Nel 2015, secondo i piani del governo dell’aprile scorso, dovrebbe ricominciare la discesa, anche a ritmi piuttosto sostenuti. Secondo il piano di aprile, si poteva scendere velocemente fino al 120% circa del 2018, sempre rispettando la regola del «ventesimo».

Il peggioramento della congiuntura, però, è stato evidente. E se questo non ci espone a grossi rischi di infrazione europea per lo sforamento del limite di indebitamento, perché il 3% non dovrebbe comunque essere a rischio, l’impatto della congiuntura negativa potrebbe mettere l’Italia in seria difficoltà con il rispetto delle nuove norme sul debito. Anche per questo, senza far affidamento sulle ricette miracolose, il governo si sta attrezzando. Il prossimo passaggio sarà la facilitazione delle procedure per il cambio di destinazione d’uso degli immobili. Era una delle norme inserite da Enrico Letta nel pacchetto «Destinazione Italia», ma come il resto è rimasta lettera morta. Ora si appresta a essere resuscitata. E potrebbe non essere l’unica misura per agevolare la valorizzazione e la dismissione degli immobili pubblici. La stessa legge di Stabilità, dicono al Mef, potrebbe avere un capitolo specifico dedicato alla privatizzazione del patrimonio.   

Renzi diventa il leader del rinvio

Renzi diventa il leader del rinvio

Laura Della Pasqua – Il Tempo

Dopo l’accelerazione il rinvio. Non volendo ammettere di aver abbondato nelle promesse e di non riuscire a mantenerle, Renzi non fa altro che spostare in avanti il traguardo delle riforme. Il piatto forte della legislatura avrebbe dovuto essere il decreto Sblocca Italia salvo scoprire, alla vigilia del Consiglio dei ministri, che i soldi in cassa non ci sono. Se ne riparlerà con la legge di Stabilità, è il ritornello che Renzi e la sua squadra di governo continuano a ripetere mostrando anche un certo fastidio se qualcuno gli ricorda che avevano prospettato ben altri ritmi.

A furia di rinviare e di accantonare provvedimenti che avrebbero dovuto essere prioritari per il rilancio dell’economia, la legge di Stabilità si è trasformata in un imbuto. Ma se ora i soldi per finanziare le riforme mancano e se finora nessuno ha avuto il coraggio di attuare i tagli suggeriti dal commissario alla spending review Cottarelli, sarà difficile trovare entrambi nel giro di poche settimane. La legge di Stabilità va presentata a Bruxelles il 15 ottobre e quindi va varata dal Consiglio dei ministri qualche giorno prima. Quindi Renzi ha a disposizione poco più di un mese per dare consistenza alla manovra economica. Questa, secondo la logica del rinvio, dovrebbe contenere tagli alla spesa pubblica per 17 miliardi per il 2015 che dovrebbero addirittura diventare 32 nel 2016. Un’impresa ardua.

Dovrebbe rientrare nella legge di Stabilità anche l’ampliamento della platea di chi ha diritto al bonus da 80 euro. Renzi aveva promesso che l’avrebbero avuto anche i pensionati, gli incapienti (reddito sotto gli 8 mila euro). Inoltre, altra promessa, la soglia del reddito sarebbe stata portata fino a 50mila euro l’anno. Ma questo vorrebbe dire un conto che oscilla tra 1,5 e 2 miliardi.

Rinviato anche il Jobs Act. Potrebbe vedere la luce entro la fine dell’anno. Renzi questa volta durante la conferenza stampa per il decreto Sblocca Italia, si è ben guardato dall’indicare una data precisa. Ma non doveva essere una priorità?

Slitta anche il provvedimento per i 4 mila lavoratori della scuola con quota 96, che non sono potuti andare in pensione a causa della riforma Fornero. Doveva occuparsene la riforma della pubblica amministrazione, poi il governo disse che forse con il pacchetto di misure sulla scuola si sarebbe trovata una via d’uscita. Oggi Renzi presenterà solo alcune linee guida sulla riforma della scuola e l’anno scolastico sta per cominciare.

Rinviata alla legge di Stabilità anche la regolarizzazione dei centomila precari della scuola. Uno slittamento determinato dalla mancanza di risorse. Come trovarle nel giro di un mese?

Nella manovra economica dovremmo trovare quella parte del piano casa che il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi non è riuscito ad inserire, per il solito problema di fondi, nello Sblocca Italia. Si tratta del rinnovo dell’ecobonus (lo sgravio Irpef del 65%) per le riqualificazioni energetiche degli edifici.

Rinviata al dibattito parlamentare la norma che prevede la deducibilità ai fini Irpef di una percentuale pari al 15% del prezzo di acquisto dell’immobile fino ad una soglia massima di 100mila euro. Il provvedimento è stato inserito all’interno del decreto Sblocca Italia ma con la clausola «salvo intese»: questo significa che dovrà essere ancora esaminata in Parlamento la sua opportunità di una sua applicazione alla luce delle coperture finanziarie disponibili.

Nulla di fatto ancora per il taglio delle municipalizzate. Anche in questo caso dovrà essere la legge di Stabilità ad occuparsene. Il commissario Cottarelli ha da tempo pronto tutto il piano ma l’operazione è apparsa subito molto difficile per la resistenza delle amministrazioni. Tant’è che Cottarelli ha suggerito di introdurre un meccanismo di sanzioni per colpire le partecipate recalcitranti all’abolizione. Il commissario ha addirittura prospettato la chiusura già nel 2015 di duemila municipalizzate. Infine sono slittati i tempi perla riforma della giustizia penale e per la legge elettorale. Sull’«annuncite» di Renzi è intervenuto D’Alema: il vocabolo non è un neologismo. L’Italia ne ha sofferto moltissimo: nel corso dei governi di Berlusconi era un’attività costante.

Se le semplificazioni rimangono una bandiera

Se le semplificazioni rimangono una bandiera

Antonello Cherchi – Il Sole 24 Ore

Semplicità: dovrebbe essere questa la parola che regola il vivere in Italia. Sono così tante le norme che della semplificazione hanno fatto la loro bandiera, che pensare il contrario apparirebbe paradossale. E invece è proprio così: il nostro Paese continua a essere ingessato dalla burocrazia e ad avere tanto bisogno di una profonda opera di snellimento.

Anche il decreto legge sblocca-Italia, approvato venerdì dal Consiglio dei ministri, ritorna sull’argomento e presenta una nuova serie di semplificazioni. Prima ancora – per rimanere al passato meno lontano – ci aveva provato il Governo Monti, che alla questione aveva dedicato un decreto legge ribattezzato proprio Semplifica-Italia. Se si scorre il decreto del Fare varato da Letta si incontrano misure per rendere più facile la vita alle imprese, ai contribuenti, ai lavoratori, per velocizzare le verifiche dell’Inps.
Non si può escludere che alcuni di quegli interventi abbiano sortito l’effetto annunciato. Nel complesso, però, è arduo sostenere che il confronto di tutti i giorni con la burocrazia sia meno faticoso. Di certo, non è così semplice come lascerebbero presupporre i tentativi legislativi adottati per renderlo tale.
D’altra parte, per una misura di semplificazione, ce ne sono altrettante (e anche di più) che introducono nuovi adempimenti. Il sospetto è che il saldo non sia mai pari a zero, ma i nuovi oneri finiscano per sopravanzare quelli cancellati.

Un modo per tenere questo tipo di contabilità ci sarebbe, ma come racconta la relazione sul primo anno di applicazione del taglia-oneri, non tutti i ministeri hanno tenuto fede all’impegno e, per di più, quelli che si sono adoperati lo hanno fatto in maniera a dir poco svogliata: hanno presentato un bilancio in pari, smentito però dagli imprenditori, a cui la misura è rivolta. Della quantificazione monetaria dei nuovi adempimenti, poi, neanche l’ombra. Ed è anche così che la burocrazia si alimenta: una disposizione nata all’insegna della semplificazione, si trasforma essa stessa in un onere. Richiede uffici che vi lavorino, relazioni annuali da presentare, programmi da definire, come quello recente con le nuove linee guida per la misurazione e la riduzione dei tempi e degli oneri amministrativi. Basta scorrerlo per capire come l’intera operazione abbia scarsissime probabilità di riuscire.

Non è certo l’unico caso. Con l’Air (Analisi di impatto della regolamentazione) e la Vir (Valutazione di impatto della regolamentazione) qualche anno fa si è cercato di andare anche più a fondo e di fare le pulci ai nuovi provvedimenti legislativi, così da capirne la reale necessità e quantificarne l’impatto finanziario. Invece, talvolta le nuove leggi ne sono sprovviste o quando li hanno sono come compitini di uno scolaro distratto. Sono diventati oneri tra gli oneri.

Giuseppe Pennisi – Consigli a Renzi: le tre mosse che valgono più dello sblocca-Italia

Giuseppe Pennisi – Consigli a Renzi: le tre mosse che valgono più dello sblocca-Italia

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

Agli economisti e ai commentatori economici spetta di essere criticamente da stimolo, specialmente in una situazione come quella di oggi. Gran parte dei commenti sull’ultimo Consiglio dei ministri sono positivi. E non possono non esserlo dato che, secondo il comunicato di palazzo Chigi e gli interventi del Presidente del Consiglio e dei principali Ministri competenti per le materie trattate (non si conoscono ancora i testi dei provvedimenti), sono stati affrontati e verosimilmente risolti alcuni nodi della giustizia (specialmente di quella civile) e dell’investimento pubblico. Tuttavia, occorre chiedersi se: a) è stata data una risposta adeguata alle aspettative suscitate; b) si è tenuto conto del peggioramento della situazione economica italiana (quale risulta dalle statistiche più recenti); e, soprattutto, c) cosa può essere fatto di concreto e di attuabile nelle prossime settimane nel predisporre la Legge di stabilità.Le aspettative suscitate riguardano non solamente il vasto comparto della scuola (per il riassetto del quale ci è stato chiesto di pazientare solo alcuni giorni), ma soprattutto le inefficienze dell’azione pubblica quali risultanti del Rapporto Cottarelli (soprattutto nel comparto del socialismo municipale e regionale), abilmente centellinate dal servizio stampa di palazzo Chigi ai giornali e, quindi, all’opinione pubblica. La situazione economica riguarda l’evidente scivolamento dell’Italia dalla più lunga recessione del dopoguerra e una fase di deflazione in cui rischiamo di avvitarci su noi stessi perdendo ogni anno un po’ di reddito reale (sia nazionale, sia familiare, sia individuale).Non conosco personalmente Matteo Renzi, ma non nego di provare simpatia per questo quarantenne (alla prese con problemi gravissimi) che si atteggia a trentenne e utilizza le metodiche di comunicazione dei ventenni nella convinzione (vera o presunta) di avere esiti positivi, in tal modo, anche sugli “umori” degli ottantenni. La conferenza stampa (dal “gioco del gelato” all’ultima slide) è stato un piccolo capolavoro di quella che un tempo si chiamava “persuasione occulta”. Ha probabilmente diminuito il divario tra attese e risultati, ma i problemi restano poiché in sostanza l’esito è stato un modesto rilancio dell’investimento pubblico (ridotto, nel lasso degli ultimi dieci anni, di due terzi per rapporto al Pil) e una velocizzazione della giustizia civile, che avverrà solo se si supereranno le resistenze di varie oligarchie.Se gli esiti sono questi, ipotizzando che tra brevissimo verranno sciolti (e bene) i nodi sulla scuola, cosa deve entrare nella Legge di stabilità per tirarci fuori dalla deflazione? L’Italia ha poche frecce al proprio arco. Quelle monetarie sono in mano alla Banca centrale europea ed è da dubitare che le possa utilizzare vista l’opposizione di molti paesi (non solo la Germania) e la necessità della preliminare revisione del proprio regolamento (che la obbliga a non fare superare più del 2% l’anno la crescita del tasso armonizzazione dell’indice dei prezzi al consumo). Quelle di bilancio sono spuntate dalla decisione “politica” di contenere l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni entro il 3% del Pil anche se, giuridicamente, nella situazione di grave recessione (e di deflazione), si potrebbe superare temporaneamente il vincolo.Al Governo resta, essenzialmente, la messa in atto di misure per ridurre la spesa pubblica e renderla più efficiente (alleggerendo così quella che è una vera oppressione fiscale e regolamentare) e una strategia dell’offerta. Come? In primo luogo, i provvedimenti della spending review richiedono una cornice che può essere inclusa nella riforma della Costituzione (in discussione in parallelo alla Legge di stabilità). Si potrebbe introdurre nella Carta il fatto che: a) che tutte le leggi (e regolamenti e circolari varie) siano “a termine” (una “sunset regulation” generalizzata) e non possano essere estese con marchingegni quali il “mille proroghe” per impedire il formarsi di un Himalaya di norme (la fonte principale di sprechi e inefficienze); b) le società in disavanzo per più di tre esercizi del socialismo municipale (e regionale, nonché di quel che resta di quello provinciale) vengano messe in liquidazione forzosa, con commissari provenienti da regioni differenti da quelle in cui l’azienda ha la sede sociale.In secondo luogo, serve un’energica strategia dell’offerta basata sulla liberalizzazione dei mercati delle merci e dei servizi per spingere imprese grandi e piccole a essere più competitive, e quindi più produttive. Ci vuole una terapia shock che azzeri resistenze settoriali e morda davvero.In terzo luogo, occorre tenere conto del “convitato di pietra”, il fardello del debito pubblico che frena da anni la crescita e aggrava ora la deflazione. Non mancano proposte: prima di chiudere i battenti del Cnel si potrebbe incoraggiare un confronto, con esperti e Parti sociali, tra le varie proposte sul tappeto per giungere a un programma concreto.
Secchi d’acqua su un incendio troppo grande

Secchi d’acqua su un incendio troppo grande

Gaetano Pedullà – La Notizia

Il nome è decisamente ottimistico, com’è nello stile della comunicazione del nostro premier, ma lo Sblocca Italia porta in dote molte cose buone (e qualche regalo sotto banco ai soliti noti). Benissimo il recupero dei fondi Ue non spesi, il taglio della burocrazia, i commissari su alcune grandi opere, la proroga dell’ecobonus, la riscrittura del nostro codice degli appalti: un groviglio normativo in cui è sin troppo facile nascondere la corruzione. Resta invece inspiegabile, per non dire scabrosa, la proroga delle concessioni autostradali a gruppi che hanno investito pochissimo sulla rete viaria, facendo giganteschi guadagni privati sulle strade costruite con i soldi pubblici di tutti noi. Deludente anche la limitazione ai soli sgravi fiscali per gli investimenti sulla banda larga. Le buone intenzioni del provvedimento comunque ci sono tutte, così come in quello sulla Giustizia che purtroppo per ora si ferma al Civile. Se l’ottimo è nemico del bene, accontentiamoci! Dove non possiamo accontentarci è però sui nodi veri che strozzano la ripresa. Da tempo in recessione e adesso anche in deflazione, non possiamo più prenderci in giro: senza un allentamento dei vincoli Ue e una diversa politica monetaria della Bce, tornare alla crescita è impossibile. Possiamo farne cento di Sblocca Italia, e fare indigestione di queste più o meno utili aspirine, ma l’incendio è troppo vasto per domarlo da soli. Soprattutto se si è rinunciato da anni a tenere l’estintore della moneta per affidarlo alla Banca centrale e ai suoi ottusi burocrati. Draghi, che promette ma poi resta ancora immobile, compreso.  

Un passo alla volta

Un passo alla volta

Pier Francesco De Robertis – La Nazione

Turbo-Renzi si trasforma in Turbodiesel-Renzi e «passo dopo passo» diventa lo slogan molto poco renziano di questa seconda fase di vita del governo, quello che succede all’iniziale «una riforma al mese» di marzo, e in apparenza fa assomigliare il premier a un Bersani o un Letta qualunque. Ma non è detto che sia un male, anzi. Renzi scopre la fatica del governare e non poteva non essere così perché, nonostante l’energia del premier, il suo ottimismo, la sua capacità di entusiasmarsi e di comunicare, l’uomo della Provvidenza non esiste e i problemi di un’Italia avvitata su se stessa si risolvono con fatica e perseveranza. In politica, e per i politici che di sé vogliono lasciare un segno ai posteri, il consenso non è un fine, ma un mezzo, e per impiegarli, i mezzi, serve tempo. D’altra parte i dati economici sono disastrosi e le critiche iniziano ad arrivare anche da chi fino a questo momento al governo aveva lisciato il pel0, vedi il presidente di Confindustria, e ricordano a Renzi che il tempo delle promesse e degli annunci è finito. Ecco quindi il senso del «passo dopo passo» pronunciato ieri e la tempistica, ricordata esplicitamente, dei «mille giorni» nei quali attuare il programma dell’esecutivo. Segno che il presidente del consiglio si rende conto dello stringere del tempo, e che stavolta è qualcosa di concreto che occorre portare davanti all’opinione pubblica.

La riforma del Senato è stato un buon risultato. ancorché in prima lettura, ma con il nuovo Senato non si mangia, e il Paese sente invece bisogno di qualcosa di efficace per smuovere l’economia e far ripartire i consumi. E il primo dei passi da fare è stato ieri la riforma dell’arretrato nel processo civile, quello sì che incide davvero sulla vita di tanti cittadini e di tante imprese, e l’ormai famoso Sblocco Italia per buttare un po’ di miliardi nell’edilizia e nei lavori pubblici, da sempre il vero volano dello sviluppo. Certo, sono rimasti accantonati o rimandati a una delega temi importanti, primo fra tutti la scuola e le assunzioni dei precari (Renzi ha detto che sarà affrontato mercoledì prossimo, e vedremo come), il taglio o il riordino delle partecipate che tutti si aspettavano, interventi efficaci sull’ormai mitica spending review, per non parlare poi di argomenti non meno significativi come la riforma del processo penale. Ma se ormai la logica è, appunto, quella del «passo dopo passo», in qualche modo occorre guardare all’oggi pensando al prossimo step da superare. In tempi di magra lo spirito non va dove vuole, ma si posa dove può.

Ottimismo espediente o necessità?

Ottimismo espediente o necessità?

Elisabetta Gualmini – La Stampa

Ha resistito per un po’ Matteo Renzi durante la conferenza stampa di ieri. Prima ha presentato il nuovo slogan della fase 2 del suo governo, passo dopo passo, dando l’idea di voler affrontare con calma, serietà e concretezza i diversi problemi che l’Italia ha davanti, in particolare la riforma della giustizia e le misure per sbloccare le opere pubbliche. Poi pero non ce l’ha più fatta ed è tornato il leader motivazionale di sempre. Il Renzi della rivoluzione, delle cose che nessuno ha mai fatto, di un Paese che tra 1000 giorni sarà completamente trasformato. La riforma della giustizia civile è una ri-vo-lu-zio-ne! E il nuovo codice sugli appalti con norme uguali a quelle degli altri Paesi europei è un’altra ri-vo-lu-zio-ne. E così in una delle giornate più buie dell’economia italiana, in cui recessione e deflazione fanno a gara ad alimentarsi a vicenda, in cui le famiglie non consumano praticamente più e gli imprenditori fuggono a gambe levate da qualsiasi investimento, il Premier riesce a fornire un racconto diverso e a lanciare – ancora una volta – un messaggio rassicurante. D’altro canto, anche l’Europa ha problemi simili, e dalla crisi si esce con uno sforzo comune. C’è da chiedersi se l’ottimismo e il continuo sforzo motivazionale del Premier siano solo un espediente per distogliere l’attenzione dall’enorme complessità dei problemi che devastano il nostro Paese o se – soprattutto finché non ci sarà una vera e propria svolta in Europa verso politiche di crescita – non sia proprio l’unica cosa da fare. Sì, certo, il siparietto con il banchetto dei gelati e il cono offerto ai giornalisti come risposta (stizzita) alla copertina dell’Economist ce lo poteva risparmiare, anche perché nessun giornalista si è sbellicato dalle risate e ha deciso di stare al gioco.

Renzi ci sta provando a mettere in fila una serie di provvedimenti utili ad allentare i vincoli che flagellano i settori più importanti per lo sviluppo del nostro Paese. Con qualche stop-and-go, tra avanzate e retromarce (come quella, che gli deve essere costata molto, sulla scuola), le novità ci sono e, se fossero realizzate, avrebbero un impatto significativo. E’ per questo forse che il premier mantiene livelli di popolarità tuttora molto elevati tra i cittadini italiani, i quali continuano a interpretare la «missione di Matteo» come la lotta di Davide l’innovatore contro la falange armata dei Golia (i poteri forti, gli interessi corporativi, i privilegi diffusi) che vogliono mantenere le cose identiche a sempre. Con lo Sblocca-Italia si cerca di mobilitare fondi già disponibili e sveltire i percorsi di realizzazione (promettendo ad esempio di completare la Napoli-Bari e la Palermo-Messina-Catania nel 2015 invece che il 2017). Si liberano risorse per altre opere cantierabili, di taglia media e mini, che daranno soddisfazione ai sindaci, con l’acqua alla gola tra tagli e patto di stabilità. E poi gli incentivi per la banda larga nelle zone bianche, l’utilizzo dei fondi europei, ancora non spesi, le modifiche alla Cassa depositi e prestiti, il sostegno all’edilizia e gli incentivi all’export delle piccole e medie imprese. Con anche un occhio alla situazione di Bagnoli e agli investimenti per l’estrazione di idrocarburi. Il nuovo codice sugli appalti viene invece affidato a un disegno di legge delega. Sulla giustizia le norme contenute nel Dl sono più che apprezzabili. Il dimezzamento dell’arretrato e dei tempi del contenzioso sarebbe in effetti una rivoluzione. Per i nostri investitori e per quelli internazionali. Questo è il vero cuore della riforma al di la di misure minori come il taglio delle ferie dei giudici e l’iter semplificato per le separazioni senza figli. Anche le norme sul falso in bilancio e sul reato di autoriciclaggio vanno nella giusta direzione. ll decreto legge dunque non partorisce un topolino. E Matteo se lo dice naturalmente da solo: tanta roba eh?

Lo stile del Premier non cambia. Ottimismo e sorrisi contro il buio pesto. Energia e gelati contro rassegnazione. Entusiasmo a palla contro i cantori del declino. O meglio, tentarle tutte invece che stare fermi a guardare. Bisogna dirla tutta. Pure con i rischi del caso (eccesso di promesse e risultati inferiori alle aspettative), siamo sicuri che ci siano alternative?

Il fallimento degli 80 euro: col bonus consumi in calo

Il fallimento degli 80 euro: col bonus consumi in calo

Antonio Signorini – Il Giornale

Gli ottanta euro sono rimasti in banca o nei portafogli. Se non fosse un controsenso, verrebbe da pensare che la misura fatta per rilanciare i consumi, in realtà li abbia rallentati; ma è più probabile che il bonus sia andato a rimpinguare i risparmi di cittadini con poca fiducia nella ripresa. I dati Istat parlano chiaro e confermano i timori espressi non molto tempo fa dalle associazioni del commercio. In giugno, quindi in coincidenza con l’arrivo degli ottanta euro in busta paga, le vendite al dettaglio sono rimaste ferme rispetto al mese precedente, ma sono calate rispetto allo steso mese dell’anno precedente (quando non c’era il bonus) del 2,6%. Gli italiani hanno speso meno sia per i prodotti alimentari (-2,4%) sia peri non alimentari (-2,8%). In calo la grande distribuzione (meno 1,3%), un salasso per i piccoli (-3,9). 

Non è una sorpresa per i commercianti. Per Confcommercio i dati Istat confermano «quanto già anticipato dal nostro indicatore consumi e cioè che le misure prese fino ad oggi non hanno prodotto gli effetti sperati sui consumi e non sono state idonee a sostenere la fiducia delle famiglie, in calo anche ad agosto». Per la confederazione «è presumibile che anche la seconda parte del 2014 possa mancare l’appuntamento con la ripresa economica, confermando, dunque, l’urgenza di interventi più incisivi». Segnali negativi anche sui salari (le retribuzioni contrattuali orarie in giugno sono aumentate dell’1,1% rispetto all’anno scorso, la crescita annua più bassa dal 1982) e sul fronte delle imprese (in agosto l’indice della fiducia è passato a 95,7 da 99,1). 

Importanti elementi di riflessione per il premier Matteo Renzi che oggi guiderà il Consiglio dei ministri per l’approvazione dello Sblocca Italia e delle misure per la scuola. Ieri il premier è andato al Quirinale a illustrare le misure del Consiglio dei ministri. Prima, un vertice con il ministro dell`Economia Pier Carlo Padoan e il ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi per cercare le coperture alle infrastrutture. La soluzione trovata è approvare in parte oggi e in parte con la legge di Stabilità le misure.Le coperture disponibili da subito si confermano i 3,7 miliardi. Sono 1,26 miliardi dal fondo delle opere incagliate, e 2,54 miliardi dal fondo di coesione In tutto 3,8 miliardi da destinare soprattutto a nuove linee ferroviarie di alta velocità o alta capacità. Lo Sblocca Italia «non sostituisce la legge di Stabilità» ha dichiarato Lupi, è un pacchetto di «dieci punti» e «confermo le coperture per i provvedimenti contenuti in es SU». 

Nella bozza in entrata al Consiglio le linee citate sono solo quelle del Sud: la Napoli-Bari e Palermo-Messina-Catania, con poteri straordinari per Fs e burocrazia limitata. In via di riscrittura di un articolo che rendeva più facile installare antenne su tralicci preesistenti per la contrarietà del ministero dei Beni culturali (che ha bocciato più articoli del ministero dell’Economia). Tra le novità in entrata, un piano per la costruzione di nuovi inceneritori di rifiuti e semplificazioni a favore dell’edilizia. Per le grandi locazioni e le costruzioni nei campeggi. Anche ieri è continuato il tiro alla fune sulla privatizzazione delle società partecipate da Comuni, Province e Regioni. L’accelerazione e gli incentivi (meno vincoli di bilancio) ai Comuni che vendono o accorpano – nonostante il pressing dello stesso Renzi- potrebbero essere rinviati. Sullo sfondo la partita delle pensioni e del lavoro, rinviata forse a fine anno. «Nessun intervento sulle pensioni in legge Stabilità», ha assicurato ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti al Meeting di Rimini di Comunione e liberazione. Ad avere ipotizzato un taglio delle rendite più alte per finanziare misure per gli esodati o l’estensione degli 80 euro ai pensionati era stato lo stesso Poletti, che ha smentito attriti con il premier: «Sono stabilissimo», ha assicurato.

Tante idee ma confuse

Tante idee ma confuse

Stefano Lepri – La Stampa

Di nuovo importanti scelte annunciate sembravano decadere a «linee guida» per poi scomparire del tutto nel Consiglio dei ministri di oggi. E allora è bene cercare un significato di insieme di ciò che ribolle dentro il governo di Matteo Renzi, tra promesse e retromarce, azzardi e smentite. Dei contrasti non c’è da stupirsi, dato che per fare riforme vere occorre scontentare molti interessi; ma la confusione di idee è grande. La salutare intenzione di rompere tabù annosi si intreccia con ipotesi di stravecchie misure conformi a vecchi modelli politici. Nessun «cambio di verso» ci sarebbe ad esempio nell’assumere senza concorso decine di migliaia di precari della scuola.

Nelle bozze del provvedimento «Sblocca Italia» oggi all’esame compaiono insieme interessanti novità ed erogazioni di tipo clientelare. Un modo diverso di governare non può certo emergere già bell’e formato. Il guaio è che il fronte tra vecchio e nuovo molto spesso non si capisce dove passi, e nemmeno tra chi. In parte si tratta ancora di inesperienza, da parte dei giovani oggi arrivati al potere con Renzi. Ma più passa il tempo, più si parlerà di carente abilità nel progettare.

Ad esempio l’importantissima questione delle partecipate degli enti locali è arrivata alla ribalta solo grazie all’impegno del commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli. Si trova lì un nodo cruciale dei veri «costi della politica». Ma occorre saper distinguere. Un gran numero di società in annosa perdita, o con scopi poco attinenti al settore pubblico, può essere chiusa senza complimenti. Invece i trasporti locali, da dove viene gran parte delle perdite, devono essere riformati costringendo gli amministratori a tagliare gli sprechi. C’è una Autorità per i trasporti che ha cominciato a funzionare, esistono esempi in altri Paesi; una razionalizzazione su base regionale sarebbe utile seppur non sufficiente. Occorre però che i ministri si facciano carico di elaborare proposte.

Un altro esempio sono le privatizzazioni. È salutare che si sia rivelata un bluff la privatizzazione delle Poste, azienda dove il confine tra le aree di servizio pubblico e quelle di mercato rimane alquanto oscuro. È interessante che si discuta di ridurre la quota dello Stato in Eni ed Enel oltre limiti che finora venivano considerati invalicabili: ma si chiarisca anche a quale scopo.

L’Eni, di gran lunga la componente più valida dell’industria di Stato, negli anni ha funzionato come importante strumento per approvvigionarci di petrolio. Oggi la sensazione – diffusa tra i Paesi amici ed alleati – che condizioni un po’ troppo la politica estera italiana è solo il riflesso politico della crescente difficoltà economica di fare scelte energetiche indipendenti su scala solo nazionale. Prima di decidere che fare dell’Eni, occorre avere un’idea di quali scelte in materia di energia farà l’Europa nel suo insieme; Vladimir Putin ce ne impone l’urgenza. Una ipotesi possibile è che invece di muoversi in ordine sparso le imprese di Stato esistenti in vari Paesi dell’Unione possano trovare strategie comuni, forse persino unirsi.

Perché i progetti ancora latitano? Il rischio sta nella via breve di un ritorno al primato della politica: ovvero che i nuovi arrivati al potere con Renzi si limitino a proporre la novità di se stessi, magari inventando nemici di comodo per sfruttare a proprio vantaggio l’insofferenza contro tutte le élites. Non può funzionare. Trovare consenso al dettaglio, con favori all’una o all’altra categoria (pensionandi o supplenti o altri ancora), è oggi disastrosamente dispendioso. Solo mostrando una visione di insieme si può consolidare il consenso dei cittadini in quanto cittadini.