pierfrancesco de robertis

Meno società e più asili

Meno società e più asili

Pierfrancesco De Robertis – La Nazione

Il governo chiede di ridurre e riorganizzare la spesa degli enti locali, e per tutta risposta da governatori e Sindaci riceve sempre la solita risposta: se ci date meno soldi taglieremo i servizi. I Sindaci tagliano gli asili, i presidenti di Regione i posti letto. Eppure i Sindaci, come i governatori, più di una cosa da «farsi perdonare» ce l’hanno. Ma nessuno, di fronte all’esigenza di rimodulazione della spesa, offre la propria disponibilità a mettere in gioco qualcosa di ciò che si è conquistato negli anni. Tutti invocano i sacrifici, basta che a farli siano gli altri. Vecchia storia, vecchia Italia.

Nei Comuni non ci sono i Fiorito che hanno spopolato nei consigli regionali, certo, ma i margini di risparmi possibili sono notevoli. Prendiamo per esempio il caso delle società municipalizzate e la proposta di eliminare i piccoli Comuni, quelli sotto i mille o duemila abitanti, per accorparli ai più grandi. Avete sentito qualche Sindaco proporre l’eliminazione di una partecipata invece di un asilo nido? O qualche Sindaco di un piccolo Comune dire che in fondo se si fosse unito a quello vicino, sacrificando quindi la propria poltrona, forse i soldi risparmiati sarebbero stati indirizzati all’assistenza domiciliare per i non autosufficienti? Nel caso segnalatecelo.

I Sindaci negli ultimi tempi hanno goduto di una «stampa» migliore rispetto alle Regioni o alle semi-defunte se pur ancora vivissime province, ma a ben guardare non sono immuni dall’accusa di sprechi. L’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli aveva indicato in 34 miliardi all’anno il risparmio possibile dalla riduzione delle partecipate, dalle attuali 8mila a circa mille, e delle 8mila quasi tutte erano nei Comuni (le Regioni ne hanno in tutto meno di 500). Cottarelli aveva consigliato al governo di inserire nella legge di Stabilità l’obbligo del taglio, ma poi tutto è sparito nel nulla, e i Sindaci si sono ben guardati dal ritirar fuori la cosa: municipalizzate vogliono dire posti nei cda, nomine, potere e sottopotere. Stessa cosa per i piccoli Comuni. Tremonti decise di eliminarli: rivolta generale e marcia indietro. Anche lì i tre-quattromila Comuni di troppo significano tre-quattromila Sindaci, qualche decina ai migliaia di assessori e via dicendo. Guai toccarli. Se poi saltano gli asili chissenefrega.

La svolta del leader

La svolta del leader

Pier Francesco De Robertis – La Nazione

Renzi stavolta è stato meglio di Renzi. Concreto, deciso, quando serviva tattico e conciliante. Decisamente poco renziano. Quasi che, giunto al primo snodo veramente decisivo della sua esperienza a Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio si sia rassegnato all’inellutabilità del salto da molti reclamato: passare dalle parole ai fatti. Stavolta o mai più. La battaglia che ingaggia con la «ditta» Pd è quindi durissima, a tratti anche bella da entrambe le parti, e Renzi la combatte, e per il momento la vince, per distacco. Lo fa a modo suo, buttando la un profluvio di parole a volte apparentemente inutili per alzare la polvere come i tori che restando immobili si preparano alla carica, ma al momento giusto mostra il ramoscello d’ulivo, sia con la ditta sia con i sindacati, confermando la sua duttilità tattica già esibita nel corso di altre trattative importanti.

Ma più che la tattica, a dargli ragione è la forza che finalmente trova nell’andare oltre le slide e gli slogan, forse anche contro qualche sondaggio, evenienza per lui davvero insolita. La forza di chi sa di essere al ‘angolo e non avere altra via di fuga che il contrattacco. Un passaggio di maturazione politico-esistenziale decisivo, l’unica strada per passare da politico-bruco a statista-farfalla, raccogliendo la sfida lanciata, prima che dai sindacati o dalla ditta, dal suo amico Dario Nardella, quando un mese fa gli aveva saggiamente consigliato di intraprendere l’inevitabile strada della necessaria impopolarità pur di realizzare le riforme e ambire, per il momento solo ambire, a scolpire il proprio nome nella pietra della storia repubblicana.

Prendendosi sulle spalle il rischio di una riforma organica su uno degli argomenti finora tabù per molti governi anche di destra (quanti rimpianti avrà adesso Berlusconi!) il premier evidenzia il desiderio di passare all’età adulta della politica. La decisione con la quale riuscirà a reggere la barra del partito e del governo anche nel difficile passaggio parlamentare sarà la miglior cartina di tornasole per valutare il senso stesso della sua capacità riformatrice. Una direzione che per adesso Renzi pare aver imboccato e che il positivo risultato della direzione (80 per cento per lui) potrebbe confortarlo per le altre sfide che attendono il governo. Anche se lui per primo sa che i gruppi parlamentari del Pd sono una bestia brutta e inaffidabile, di cui è bene non fidarsi. Il pessimo spettacolo delle settimane scorse sulla mancata elezione dei giudici costituzionali sono solo l’ultimo esempio.

Controllori distratti

Controllori distratti

Pier Francesco De Robertis – La Nazione

Eravamo rimasti ai quarantacinque giorni di ferie dei magistrati (che poi sono trenta più quindici per stendere le sentenze, come se nel resto dell’anno non fossero pagati per quello) ma scopriamo che non era solo quello. Nell’universo dell’impiego pubblico c’è di tutto, specie nel “particolare”, quando le dimensioni dell’ente dell “erogatore” sono modeste e tutto possa più facilmente sotto silenzio. Perché piccolo non sempre è bello, almeno molto poco bello per la decenza. Ci sono le indennità speciali ai musicisti per muovere la testa, quella ai vigili urbani per stare in strada, ad alcune categorie di impiegati per essere presenti.

Un vero e proprio bestiario, che alle prime cinque righe dell’elenco fa un po ridere ma alla sesta fa già montare la rabbia. Tutti piccoli bonus via via elargiti da politici spreconi in cerca di consenso o dirigenti di enti lirici e similari per assicurarsi una pace sindacale. Non si capisce perché gli insegnanti non debbano avere uno speciale riconoscimento per stare in classe con gli studenti, gli stradini uno per ricoprire le buche, i forestali per andare nei boschi. Magari qualche comune o regione ci avrà anche pensato, quegli stessi che poi piangono con il governo perché mancano i soldi dallo stato centrale e si devono chiudere gli asili.

Ma il punto non è(solo) questo. I punti sono due: il primo è una ormai inconcepibile discrepanza di trattamento tra dipendenti pubblici e dipendenti privati (lo sappiamo tutti benissimo: non c’e azienda privata che avrebbe riconosciuto simili indennità); il secondo è la mancanza di controlli veri ed efficaci “centrali” sui livelli di contrattazioni periferiche. L’autonomia va bene, ma a patto di non sforare il ridicolo e sfondare l’erario. Riguardo al primo punto ricordiamo che è in atto da parte del governo una riforma della pubblica amministrazione, la famosa riforma Madia: evidentemente è il caso che la delega all’esame del Parlamento si occupi anche di questi aspetti che non sono secondari. Nel secondo aspetto citato, la domanda è: ma dove sono i controllori tipo Corte dei conti o organismi simili? Anche in questo caso girati dall’altra parte oppure mancano gli strumenti legislativi per permettono un intervento? Sia come sia, è il caso di rimediare. In fretta.

Un passo alla volta

Un passo alla volta

Pier Francesco De Robertis – La Nazione

Turbo-Renzi si trasforma in Turbodiesel-Renzi e «passo dopo passo» diventa lo slogan molto poco renziano di questa seconda fase di vita del governo, quello che succede all’iniziale «una riforma al mese» di marzo, e in apparenza fa assomigliare il premier a un Bersani o un Letta qualunque. Ma non è detto che sia un male, anzi. Renzi scopre la fatica del governare e non poteva non essere così perché, nonostante l’energia del premier, il suo ottimismo, la sua capacità di entusiasmarsi e di comunicare, l’uomo della Provvidenza non esiste e i problemi di un’Italia avvitata su se stessa si risolvono con fatica e perseveranza. In politica, e per i politici che di sé vogliono lasciare un segno ai posteri, il consenso non è un fine, ma un mezzo, e per impiegarli, i mezzi, serve tempo. D’altra parte i dati economici sono disastrosi e le critiche iniziano ad arrivare anche da chi fino a questo momento al governo aveva lisciato il pel0, vedi il presidente di Confindustria, e ricordano a Renzi che il tempo delle promesse e degli annunci è finito. Ecco quindi il senso del «passo dopo passo» pronunciato ieri e la tempistica, ricordata esplicitamente, dei «mille giorni» nei quali attuare il programma dell’esecutivo. Segno che il presidente del consiglio si rende conto dello stringere del tempo, e che stavolta è qualcosa di concreto che occorre portare davanti all’opinione pubblica.

La riforma del Senato è stato un buon risultato. ancorché in prima lettura, ma con il nuovo Senato non si mangia, e il Paese sente invece bisogno di qualcosa di efficace per smuovere l’economia e far ripartire i consumi. E il primo dei passi da fare è stato ieri la riforma dell’arretrato nel processo civile, quello sì che incide davvero sulla vita di tanti cittadini e di tante imprese, e l’ormai famoso Sblocco Italia per buttare un po’ di miliardi nell’edilizia e nei lavori pubblici, da sempre il vero volano dello sviluppo. Certo, sono rimasti accantonati o rimandati a una delega temi importanti, primo fra tutti la scuola e le assunzioni dei precari (Renzi ha detto che sarà affrontato mercoledì prossimo, e vedremo come), il taglio o il riordino delle partecipate che tutti si aspettavano, interventi efficaci sull’ormai mitica spending review, per non parlare poi di argomenti non meno significativi come la riforma del processo penale. Ma se ormai la logica è, appunto, quella del «passo dopo passo», in qualche modo occorre guardare all’oggi pensando al prossimo step da superare. In tempi di magra lo spirito non va dove vuole, ma si posa dove può.