gran bretagna

Che invidia per gli inglesi: vincono libertà e meno tasse

Che invidia per gli inglesi: vincono libertà e meno tasse

Davide Giacalone – Libero

Avessero avuto l’Italicum non avrebbero potuto scegliere i parlamentari e dovrebbero tornare a votare, per il ballottaggio. Gli inglesi, invece, hanno un sistema elettorale maggioritario, senza sconti per comitive. I parlamentari li hanno scelti uno a uno e il governo lo hanno consegnato, o, meglio, riconsegnato nelle mani di David Cameron, leader del partito conservatore. Governerà disponendo della maggioranza assoluta dei parlamentari (330 su 650), pur non avendo raggiunto il 37% dei voti. Vi sembra esagerato? Margaret Thatcher e Tony Blair ebbero quel tipo di maggioranza sfiorando il 30%. Eppure nessuno ha mai gridato al golpe o al regime, come da noi si starnazza in continuazione. Non perché ci sia un self control very british, ma perché quel sistema elettorale ha validità secolare, senza furbizie oscillanti fra il suino e il latinorum.

Un buon sistema maggioritario ha effetti distorsivi. Per fotografare il voto ci vuole il sistema proporzionale, buono per evitare guerre civili (da noi ha funzionato meravigliosamente), meno per assicurare univocità del potere esecutivo. Tanto per capirsi: i nazionalisti scozzesi, con meno del 5% dei voti, conquistano 56 parlamentari; i liberaldemocratici, con quasi l’8%, ne hanno solo 8; per non dire degli Ukíp, anti Unione europea, che ne conquistano 1, pur avendo preso più del 12% dei voti. Così vanno le cose, perché i voti si contano su base nazionale, ma i seggi si assegnano collegio per collegio, per cui se prendi il 20% (è capitato) nazionale, ma non prevali in nessun collegio, non becchi nulla. Al contrario, ed è il caso del Partito nazionale scozzese, porti una truppa consistente alla Camera dei comuni se i tuoi voti sono concentrati territorialmente. Nessuno grida allo scandalo perché le regole del gioco sono note, non mutate e stabili. Da noi è l’esatto opposto: si approvano leggi elettorali nuove, che però non entrano in vigore e non possono essere utilizzate subito. Per forza che, nel Regno Unito, i vari Ed Miliband (laburisti), Nick Clegg (liberaldemocraticí) e Nigel Farage (anti Ue) si dimettono: mica possono prendersela con il destino cinico e baro, bensì solo con sé medesimi.

Messa d’un canto l’invidia, per tanta civiltà democratica (da noi sarebbe complicato far funzionare quel sistema, ma l’approssimazione francese, con l’uninominale a doppio turno, potrebbe dare delle soddisfazioni), veniamo a considerazioni di ordine generale. Gli sconfitti sono tre: i laburisti, che hanno radicalizzato troppo la loro posizione, confermando la regola dei buoni sistemi maggioritari, secondo cui vince chi riesce a prendere una fetta dell’elettorato altrui; i liberaldemocratici, che si sono svenati in una collaborazione governativa che ha deluso le speranze della volta scorsa e nella quale non sono riusciti a caratterizzarsi; e gli anti Ue, che godono di vasta stampa continentale, ma di minore consenso insulare.

I vincitori sono due: i conservatori, naturalmente, che hanno saputo interpretare la forza del mercato, attirando società e contribuenti dal resto d’Europa, facendo calare il fisco e la spesa pubblica, quindi evidenziando un legame da noi ancora misconosciuto; e i nazionalisti scozzesi, che hanno perso il referendum, segno che l’elettorato non aveva alcuna voglia di separarsi, ma tengono alta una bandiera autonomista che raccoglie un consenso vasto. Senza dimenticare che loro sono europeisti, quindi capaci di dare sostanza reale, e non solo declamatoria, a quella richiesta d’autonomia. Si spera che il voto distenda i nervi, nel Regno. I problemi ci sono, eccome, ma ora il governo è nel pieno dei poteri e può gestirli. Questo dovrebbe aiutare a maneggiare la faccenda del referendum sull’uscita dall’Ue: la classe dirigente inglese è contraria, giustamente, e noi stessi speriamo che non accada. Avere un Paese non statalista e bilancisticamente socialista può essere seccante, in certi negoziati, ma è complessivamente un bene.

Cameron ha ora la maggioranza assoluta, dopo avere governato in coalizione con i liberaldemocratici. La cosa, evidentemente, non gli ha nuociuto. E non ha arrecato danni agli inglesi. Il fatto è che i governi forti esistono solo nei sistemi deboli. La muscolatura elettorale lievita fra i microcefali istituzionali. Quel che conta è la forza di un sistema che si compone di governo, equilibri istituzionali e autonomia del mercato. Da noi si pensa che tutto dipenda dalla forza del governo, dimenticando che 1’Italia ha conosciuto uno straordinario boom economico facendo finta di cambiare i governi come fossero abiti stagionali.

Il sistema inglese ha ripetutamente dimostrato di non essere affatto bipolare o bipartitico. La sostanza è del tutto diversa: l’equilibrio istituzionale è condiviso, sicché non si dubita della legittimità e affidabilità del vincitore, anche se da quello si dissente. Prego studiare, per non continuare a dire sfondoni. Se il sistema elettorale inglese ha funzionato, anche colà hanno fatto cilecca i sondaggi. Il perché è semplice: si sonda efficacemente un mercato dotato di continuità storica. Se a ogni giro cambiano o crescono i corridori, ogni previsione diventa meramente nasometrica. Peggio per chi paga per farsi prendere in giro.

Il cono di Renzi che gli inglesi si sognano

Il cono di Renzi che gli inglesi si sognano

Gaetano Pedullà – La Notizia

Che simpaticoni i colleghi del settimanale inglese The Economist. Nell’ultima copertina hanno messo un Matteo Renzi col gelato in mano accanto a un Hollande (inspiegabilmente cresciuto di statura) e alla Merkel su una banconota dell’euro a forma di barchetta che affonda. Alle loro spalle un Mario Draghi che cerca di tenere tutti a galla raccogliendo l’acqua col cucchiaino. Da Londra, che ancora non ringrazia abbastanza i suoi leader politici per essersi tenuti stretta la sterlina, è fin troppo facile fare ironia su questa Europa di cartone. Un’unione burocratica di Paesi divisi su tutto con una sola cosa in comune: la moneta. Inevitabile che affondi. Si capisce poco, invece, cosa c’entra il nostro premier col gelato in mano, così come l’ha immaginato il suo amico (o forse ex?) Diego Della Valle in una battuta dai più già dimenticata. Che bellezza la libertà di critica e di fare ironia (su questo giornale ne facciamo uso a vagonate) e lungi l’intenzione di essere bacchettoni. Ma prima Berlusconi perché era Berlusconi, adesso Renzi non si capisce bene perché, ogni volta è l’Italia e non i singoli primi ministri che vengono messi alla berlina. E si fa anche bene perché oggi i giornali nemici del governo si getteranno sull’osso per dimostrare che il nostro premier ha perso credibilità in Europa, mentre quelli più vicini a Palazzo Chigi minimizzeranno la cosa o sosterranno che questa è l’eredità di anni di cattiva politica. Mancherà la capacità di sostenere insieme che noi siamo l’Italia e gelati buoni come i nostri a Londra se li sognano. Ci pensassero prima di prenderci in giro.  

Tagli alla spesa pubblica: in Europa si fa sul serio

Tagli alla spesa pubblica: in Europa si fa sul serio

Chiara Bussi – Il Sole 24 Ore

Se esistesse una Coppa europea della spending review a trionfare sarebbe l’Irlanda. A Dublino, infatti, la sforbiciata della spesa pubblica si è rivelata più efficace: dal 2011 al 2013 – secondo i dati di Eurostat – il suo peso sul Pil è diminuito di oltre quattro punti percentuali, passando dal 47,1 al 42,9 per cento. Sul podio salirebbero anche Spagna e Gran Bretagna, dove i tagli procedono secondo la tabella di marcia. L’Olanda, ex “allieva modello” che si è scoperta fragile, dovrebbe invece accontentarsi del quarto posto. Tra i grandi, invece, gli unici in controtendenza sono Italia e Francia. Nel nostro Paese la spesa pubblica sul Pil è cresciuta dello 0,9%, in quello transalpino – al top in Europa per i costi di funzionamento della macchina burocratica – dell’1,2 per cento. Così mentre il governo italiano ribadisce che la spending review è al centro della sua strategia e per Parigi la strada è ancora in salita, il resto dell’Europa fa sul serio. E con ogni probabilità la cura dimagrante della pubblica amministrazione sarà ancora uno degli ingredienti dei budget 2015 che i governi dovranno presentare entro metà ottobre a Bruxelles. Una via obbligata per dare un po’ di ossigeno ai conti pubblici e dare una mano alla ripresa.
Dublino ha scommesso su un piano di risparmi da 7,8 miliardi varato nell’aprile 2010, che prevede un ferreo controllo della spesa, con una stretta sul welfare e una riduzione del numero di dipendenti pubblici entro il 2015. Gli interventi sono valsi al Paese la conclusione del programma di salvataggio di Ue e Fmi a dicembre, ma il governo non si adagia sugli allori e anche quest’anno si è impegnato a rispettare il tetto alla spesa per abbassare ancora il deficit.
Madrid, con un disavanzo fuori rotta, punta a una riduzione di 37,6 miliardi dal 2012 al 2015. La cabina di regia è affidata al Cora, la Commissione per la riforma della Pa, che ha messo a dieta ministeri ed enti locali. Tra le misure previste figurano lo stop alla tredicesima per parlamentari, funzionari e impiegati statali, una riduzione dei giorni di ferie per i dipendenti pubblici, un taglio del 30% del numero di consiglieri comunali e del 20% dei sussidi a partiti e sindacati. Ma anche pesanti interventi su sanità e scuola. Gli sforzi sono stati ribaditi anche nel Programma nazionale di riforma inviato alla Commissione Ue ad aprile, con un impegno a rendere più incisiva la modernizzazione della Pa e a un’ulteriore razionalizzazione dell’organizzazione e delle strutture. Grazie a questi sforzi Madrid ha già ridotto la spesa pubblica dello 0,9% sul Pil. E secondo le ultime stime del governo è già stato messo a segno un terzo dei risparmi previsti, pari a 10,4 miliardi. L’impegno continua e anche per il 2015 il premier Mariano Rajoy ha fissato un tetto di spesa a 129 miliardi, il 3,2% in meno rispetto a quest’anno.

A Londra la spending review imposta dal governo Cameron ha scatenato a luglio uno dei più grandi scioperi del Paese, che ha coinvolto oltre un milione di persone. Dopo i tagli avviati nel 2010, lo scorso anno Downing Street ha annunciato un nuovo round per il 2015 e 2016, con una dieta da 14,3 miliardi (11,5 miliardi di sterline). Dalla scure si salvano solo sanità e istruzione, mentre a soffrire di più sono le risorse destinate a giustizia ed enti locali. Viene introdotto anche un tetto alle spese di welfare, con una stretta sui sussidi di disoccupazione. La spending review non risparmia nemmeno la Bcc: la tv pubblica si appresta a licenziare altre 600 persone, dopo i tagli del 2012. Secondo i dati di Eurostat, Londra si sta muovendo nella giusta direzione: dal 2011 al 2013 è riuscita a contenere la spesa dello 0,8 per cento.
Nel budget 2014 l’Olanda ha invece annunciato tagli per 6 miliardi, con un focus sulla riduzione della spesa sanitaria e una razionalizzazione dei sussidi al welfare. In cantiere c’è anche un piano di modernizzazione della Pa e il congelamento degli stipendi pubblici.
In Francia, infine, il rimpasto di governo a fine marzo con l’arrivo del premier Manuel Valls non ha distolto il governo dalle intenzioni di ridurre la spesa. I piani, che puntano a 50 miliardi di risparmi entro il 2017, sono stati però definiti «ambiziosi» in un recente rapporto della Corte dei conti transalpina. Oltre il 40% degli interventi riguarderanno welfare e sanità, mentre a livello locale si punta sul dimezzamento del numero di regioni e sulla semplificazione dell’organizzazione territoriale. L’obiettivo dichiarato è racimolare un gruzzolo per abbassare le imposte. La Corte punta però il dito su 30 miliardi di risparmi previsti, ma «ancora poco documentati e dall’esito incerto», come l’intervento sui regimi complementari di assicurazione sulla vecchiaia e quelli sulle collettività territoriali.
Comunque vada, insomma, da nord a sud quest’anno il filo rosso d’autunno nella Ue sarà ancora la spending review.

RICETTE DI SPENDING REVIEW A CONFRONTO

ITALIA 53,5 miliardi

È l’obiettivo complessivo della spending review annunciata dal governo nel Def di aprile presentato alla Commissione Ue. Nel dettaglio si tratta di 4,5 miliardi per il 2014, 17 per il 2015 e 32 per il 2017.
Gli interventi
Sotto la scure sono finiti i trasferimenti alle imprese, le retribuzioni dei dirigenti pubblici (con il tetto massimo di 238mila euro) e i costi della politica. Nell’ambito del Patto per la salute sarà interessata anche la sanità e la sforbiciata riguarderà le spese che eccedono i «costi standard». Si dovranno concentrare anche gli acquisti in capo alla centrale della Consip e ad altre centrali a livello di regioni e città metropolitane. Dal piano di razionalizzazione delle partecipate locali annunciato dal Commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, è previsto un risparmio di 2-3 miliardi all’anno.

GRAN BRETAGNA 14,3 miliardi

Valore della riduzione della spesa prevista per il 2015 e 2016 dopo le misure già varate nel 2010.
Gli interventi
Tetto dell’1% all’aumento degli stipendi pubblici; tetto alla spesa del welfare dall’aprile 2015, compresi i sussidi per le abitazioni; riduzione del budget per le pensioni del 9,5%; regole più rigide per ottenere i sussidi di disoccupazione. Tagli selettivi alle spese dei ministeri: quello responsabile degli enti locali e la giustizia subiranno un taglio del 10%, mentre trasporti ed energia registreranno una riduzione della spesa del 9% e la cultura del 7 per cento. Restano escluse solo sanità e istruzione. Tagli anche per il budget delle forze di polizia (circa il 6%).

OLANDA 6 miliardi

Riduzione della spesa prevista dal budget 2014. La misura segue un piano di spending review del 2010, che aveva tracciato la rotta da seguire individuando 20 capitoli di spesa.
Gli interventi
La spesa della Pubblica amministrazione diminuirà di 1,4 miliardi, quella sanitaria di 1,5 miliardi. Riduzione delle pensioni minime nel 2014 con tagli progressivi ogni anno fino al 2016. Salvo solo il budget per l’istruzione. Nel Programma nazionale di riforma presentato
a Bruxelles sono stati annunciati un piano per la modernizzazione della Pubblica amministrazione, una razionalizzazione della spesa sanitaria con l’obiettivo di risparmiare oltre 6,5 miliardi nel corso della legislatura e una riforma delle pensioni.

FRANCIA 50 miliardi

È l’obiettivo di riduzione complessiva della spesa annunciato dal Governo dal 2014 al 2017: 15 miliardi per quest’anno, 18 per il 2015 e 14 per il 2017. Di questi 21 miliardi di risparmi deriveranno dal welfare e dalla sanità, altri 18 miliardi da una razionalizzazione della spesa dei ministeri e 11 a livello locale.
Gli interventi
Congelati fino all’ottobre 2015 i contributi di welfare e le pensioni, previsti un freno all’aumento dei salari dei dipendenti pubblici e un blocco delle assunzioni. Miglioramento dell’efficienza della spesa sanitaria, con un maggiore ricorso ai farmaci generici e alle cure ambulatoriali. A livello locale dimezzamento del numero di regioni dal 2017, semplificazione e rafforzamento dell’efficacia del servizio pubblico locale. Salvi i settori prioritari come lavoro, politiche giovanili e giustizia.

SPAGNA 37,6 miliardi

Riduzione della spesa pubblica prevista dal 2012 al 2015. A oggi, secondo il governo, è stato realizzato un terzo dei risparmi, pari a 10,4 miliardi. L’esecutivo assicura che le altre misure sono in dirittura d’arrivo.
Gli interventi
Stop alla tredicesima per parlamentari, funzionari e impiegati pubblici, riduzione dei giorni di ferie per i dipendenti pubblici, taglio del 30% dei consiglieri comunali e del 20% dei sussidi per partiti e sindacati. Pesanti riduzioni del budget per scuola, università e sanità, eliminazione delle agevolazioni ai pensionati per l’acquisto di medicinali. Nel Programma nazionale di riforma presentato a Bruxelles il governo si impegna a modernizzare la pubblica amministrazione e a razionalizzarne le strutture.

IRLANDA 7,8 miliardi

È l’entità del taglio della spesa pubblica varato dal governo con il cosiddetto «Croke Park Agreement» nell’aprile 2010: 2,2 miliardi nel 2014, 2,25 nel 2015, 2 nel 2014 e 1,3 nel 2015.
Gli interventi
Stretta sui dipendenti pubbblici, con l’obiettivo di una riduzione di 37.500 unità (da 320mila) entro il 2015. Riduzione della spesa per il welfare, con un focus sui bonus bebé e i sussidi di disoccupazione, razionalizzazione del sistema dei ticket sanitari e regole più rigide per i certificati di malattia. Risparmi anche dalla “standardizzazione” dei congedi di maternità. Previsto un tetto al bilancio pubblico nel 2012, 2013 e 2014. Bocciata invece con un referendum lo scorso ottobre l’abolizione del Senato, che avrebbe dovuto portare a un risparmio di 20 milioni annui.