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Credito: in Fvg nel 2014 meno prestiti per 6,3 miliardi

Credito: in Fvg nel 2014 meno prestiti per 6,3 miliardi

Alessandro Cesare – Diario del Web

Ci sono sempre più soldi nei forzieri delle banche ma, paradossalmente, diminuiscono in maniera costante i prestiti a famiglie e imprese. Nei primi dieci mesi del 2014 i prestiti del sistema bancario del Fvg sono scesi di 6,3 miliardi di euro, a fronte di un aumento dei depositi di 5,1 miliardi di euro. Lo rende noto un report del Centro Studi ImpresaLavoro, che ha analizzato l’andamento dell’attività bancaria in regione.

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Credito: in Fvg nel 2014 meno prestiti per 6,3 miliardi

Credito: in Fvg nel 2014 meno prestiti per 6,3 miliardi

Introduzione

Una piccola nota per comprendere come il problema del credit crunch, ovvero della mancanza di credito per le aziende, sia anche legato alle scelte di investimento delle famiglie. Il credito che le istituzioni finanziarie e monetarie possono erogare al mondo delle imprese segue regole tecniche complesse e precise, regole che dopo la crisi del 2008 hanno subito delle modifiche che vanno sotto il nome di Basilea 3, ovvero dei negoziati che hanno definito i nuovi standard di solidità bancaria. In sostanza, affinché una banca possa prestare denaro a terzi deve non solo raccoglierlo presso gli agenti economici (famiglie e imprese), ma deve garantire al sistema finanziario che la scelta di dare credito a un certo soggetto non comprometta la solidità della banca stessa. E quindi con Basilea 3 stato ribadito con più forza il concetto che la banca rappresenta un ingranaggio fondamentale per fornire sicurezza e liquidità ai diversi attori economici.
Negli ultimi anni in Italia si è potuto osservare come la propensione al risparmio dei cittadini sia prima calata (fra il 2008 e la fine del 2010), per poi risalire e stabilizzarsi intorno al 10%.
Propensione al risparmio delle famiglie consumatrici:

grafico 1
Fonte: Istat

Questo aumento della quota di risparmio contribuisce a ridurre la quota dei consumi, strozzando così la domanda interna di beni. Questo, in sé, non sarebbe un problema se i risparmi accumulati dalle famiglie fossero investiti per produrre in futuro maggior reddito per il Paese.

Le ragioni del risparmio

Le famiglie risparmiano per diversi motivi: accumulare risorse per acquisti di beni durevoli (es.: casa); per sicurezza (es: assicurazioni vita, acquisto titoli di stato sicuri, il materasso); per investimento reddituale (es: obbligazioni, azionariato). Si può immediatamente vedere come le motivazioni alla base della scelta di risparmio hanno effetti diversi sul sistema economico nel suo complesso.
Il risparmio per l’acquisto di un bene durevole, come la casa, richiederebbe molto tempo e molte risorse. Proprio per ovviare a questo problema (immobilizzare ingenti risorse per lungo tempo non è facile per una famiglia) si è sviluppato il mercato dei mutui bancari, strumenti che rendono ragionevolmente più facile accumulare la massa di denaro necessario all’acquisto di un immobile in poco tempo: invece di immobilizzare il denaro per poi acquisire il bene, si acquisisce il bene attraverso un debito a lunga scadenza. Insomma, si privilegia la spesa oggi e il risparmio domani, piuttosto che fare il contrario. Si privilegia l’attività economica adesso attraverso lo sviluppo dell’attività bancaria: a questo, in fondo, servono le banche. Purtroppo, questa forma di risparmio è al palo da diversi anni, come testimonia questo grafico:
Tasso di investimento delle famiglie consumatrici, definito dal rapporto tra investimenti fissi lordi delle famiglie consumatrici, che comprendono esclusivamente gli acquisti di abitazioni, e reddito disponibile lordo.
grafico 2
Fonte: Istat
 
Il risparmio per motivi di sicurezza, invece, ha ragioni legate alle esigenze di cassa di breve periodo o di lungo periodo. Accumulo denaro nei conti correnti o nei conti di deposito per assicurarmi di avere la liquidità disponibile appena diventi necessario far fronte a qualche evento improvviso: in uno stato d’insicurezza economica come quello che stiamo vivendo, la probabilità di un evento improvviso aumenta e con esso la massa di denaro nei conti corrente.
Come ci ricorda la Banca d’Italia: «Con riferimento ai depositi bancari, nel 2013 erano censiti oltre 73 milioni di conti per un ammontare totale di circa 920 miliardi di euro (…). L’ammontare medio per cliente era pari a circa 12.500 euro1». Per quanto riguarda il lungo periodo, l’investimento in titoli di stato sicuri o nelle polizze assicurative (vita e pensione), rispondono alla necessità di garantirsi in un futuro relativamente lontano un capitale fronte di un bassissimo rischio e di un bassissimo guadagna. Secondo Banca d’Italia, nel 2013 le famiglie italiane possedevano un patrimonio in attività finanziarie pari a 3.848 miliardi di Euro (+2,1% rispetto al 2012). Si pensi che 1/4 di questa ricchezza finanziaria è investita in assicurazioni e titoli di stato (poco più di 900 miliardi di €).
Nel 2013 la distribuzione di questa ricchezza seguiva l’andamento riportato nel seguente grafico:
grafico 3
Fonte: Banca D’Italia
Riporta sempre la Banca d’Italia: «Si è arrestata nel 2013 la ricomposizione dei portafogli delle famiglie, verso i depositi bancari e verso il risparmio postale». Si è arrestato, quindi, un flusso che ha visto cambiare la composizione del portafoglio degli italiani verso strumenti poco rischiosi e di immediata liquidità: questa è una delle forme tangibili dell’insicurezza economica che ancora respiriamo ogni giorno.
Infine, abbiamo il risparmio per investimenti a fini reddituali, ovvero quel 43,3% del patrimonio finanziario delle famiglie che in vario grado contribuisce al mantenimento del potere d’acquisto dei cittadini nel tempo. Questa motivazione di risparmio è anche quella i cui effetti di breve termine si riverberano con maggior rapidità sul sistema. L’acquisto di azioni, di obbligazioni o il finanziamento di fondi comuni di investimenti rappresenta uno strumento molto rapido di passaggio dal risparmiatore verso chi, nel mercato, necessità di finanziamenti.

Il credit crunch

Tornando al problema iniziale, l’assenza di credito verso le imprese, se rimaniamo nell’ottica del trasferimento del risparmio privato verso investitori privati, allora dovremmo chiederci come la variazione della propensione al risparmio possa aiutare o meno le imprese. Famiglie in cui aumenta la propensione al risparmio sono famiglie che consumano meno: e questo, per le imprese, non è un bene. Soprattutto quando il risparmio finisce sotto il materasso, lontano dai flussi economici della nostra economia. Famiglie in cui aumenta la propensione al risparmio e indirizzo le loro attività finanziarie verso conti corrente e titoli di stato, aiutano poco le imprese: quel denaro rimane o immobilizzato negli istituti di credito, a loro volta in sofferenza per i prestiti erogati, o fornisce allo Stato la liquidità necessaria a sostenere le sue spese, di cui solo una parte, una parte sempre minore, è destinata agli investimenti produttivi.
Infine, famiglie in cui aumenta la propensione al risparmio e indirizzo le loro attività finanziarie verso il mercato azionario e/o obbligazionario forniscono il loro denaro direttamente alle imprese attive nei settori economici, superando quindi la funzione di redistribuzione dei depositi tipica dell’attività bancaria. Purtroppo, per quanto la quota di attività finanziarie che contengono questa voce sia pari al 43% del totale della ricchezza finanziaria, come riporta l’Osservatorio sui Risparmi delle famiglie italiane, uno studio redatto da GFK Eurisko e Prometeia, «gli investimenti si sono indirizzati prevalentemente verso gli strumenti di risparmio gestito e assicurativi». Questo significa che gli italiani tendono a investire il loro denaro negli strumenti più rischiosi attraverso l’intermediazione di gestori. Una buona notizia se non fosse che «Il comparto degli investimenti continua a non sedurre larga parte del suo mercato potenziale. Investire appare oggi meno di moda che in passato». Eccola qui una parte rilevante del credit crunch: le persone non si fidano a dare il proprio denaro al sistema finanziario, anche se così facendo potrebbero rimettere in modo gli investimenti necessari alla ripresa sostanziale dell’economia. Eccola servita la nostra trappola della liquidità.
Si chiede al sistema delle imprese di diventare meno banco-centrico. Per farlo, si deve cambiare certamente la mentalità degli imprenditori ma non basta: serve dare una buona ragione affinché il pubblico si senta certo che l’operazione di finanziamento diretto che fa sia ragionevole e trasparente.

Il Friuli Venezia Giulia

Rispetto a quanto detto nelle pagine precedenti, proviamo adesso ad analizzare la situazione regionale. Prima di tutto bisogna osservare che la situazione del credito verso le imprese è critica. Per quanto le sofferenze sembrano essere in diminuzione, rimangono davvero molto elevate.
grafico 4
Fonte: Banca D’Italia
Questo ovviamente ingessa l’attività bancaria, alle prese con la gestione di crediti che rischiano di diventare inesigibili, scalfendo così la solidità degli istituti coinvolti.Nonostante ciò, il denaro nei forzieri delle banche non mancano.
grafico 5
Fonte: Banca D’Italia
Come di vede dal grafico qui sopra riportato, c’è stato un accumulo di depositi molto rilevante da 2011 ad oggi in FVG. Le banche, quindi, sono state inondate di soldi non solo dalla BCE ma dai cittadini stessi.

grafico 6

Eppure questi denari restano lì, fermi, lasciando le imprese in balia di banche con depositi sempre più gonfi ma sempre più irrigidite dalle criticità dei crediti già emessi nel passato.

grafico 7

Concretamente proviamo a vedere che cos’è accaduto nei primi dieci mesi del 2014.

tabella 1

tabella 2

tabella 3

Elaborazione ImpresaLavoro su dati Banca d’Italia
 
Autore: Paolo Ermano
Realismo politico e teoria liberale

Realismo politico e teoria liberale

Carlo Lottieri

Esiste un legame molto stretto tra liberalismo e realismo politico. Gli autori liberali si sono sempre sforzati di guardare l’universo sociale e politico evitando di confondere i desideri e la realtà: Questo talvolta può avere spinto verso il pessimismo, ma certamente ha tenuto questa tradizione assai lontana da illusioni infondate.
Larga parte degli studi della Public Choice School, ad esempio, mostra che i comportamenti “interessati” e opportunistici di politici, imprenditori, sindacalisti e funzionari pubblici finiscono per convergere in una somma di piccole o meno piccole “cospirazioni”, le quali favoriscono una dilatazione del potere pubblico. I contadini difendono i sussidi europei, gli insegnanti il posto fisso, i farmacisti il sistema delle licenze, e il risultato è che l’insieme di questi egoismi danneggia tutti e ostacola la crescita della società.
Tutto questo fu analizzato con grande acume da Vilfredo Pareto, che mostrò – anche sulla scorta degli insegnamenti di Frédéric Bastiat – come in ogni iniziativa pubblica i benefici tendano a essere immediati (mentre i costi sono posticipati), visibili (mentre i costi sono invisibili) e concentrati (mentre i costi sono dispersi). In tal modo è facile prevedere che ogni progetto statalista avrà un’ampia probabilità di avere successo, vincendo l’opposizione di quanti, invece, vogliono in ogni modo contenere l’espansione del potere.
Tale realismo, a ogni modo, non deve toglierci la speranza. Una simile espansione dei poteri pubblici, in effetti, non può procedere in maniera illimitata, dato che le conseguenze sono sempre catastrofiche. Un ordine sociale basato sulla pianificazione, sulla redistribuzione, sull’ingegneria sociale e sulla redistribuzione egualitaria non è destinato a durare in maniera indefinita. Il suo esito naturale è l’estinzione: come è successo all’impero romano nella sua fase finale e come sta succedendo all’Europa contemporanea.
Questo significa che una società può essere facilmente condotta verso una crescente statizzazione da una serie di convergenze di interessi (e non solo da ciò, poiché l’imporsi di talune ideologie gioca la sua parte), ma alla fine è costretta a pagarne il prezzo. Anche il più resistente dei muri di Berlino alla fine crolla.
Questo succede per un motivo assai semplice. Una società basata sulla proprietà privata, sulla tolleranza, sul rispetto della libertà contrattuale e sul diritto di associazione è semplicemente in sintonia con la natura umana. E ogni sistema sociale che invece si oppone alle logiche di fondo della libertà costruisce un tale intrico di problemi che, in tempi anche relativamente rapidi, porta alla distruzione quell’ordine sociale.
Tutto ciò risulta assai chiaramente quando si considera, ad esempio, uno degli effetti principali dell’intervento pubblico: il parassitismo organizzato. Mentre in una società liberale ognuno trae di che vivere dai beni e dai servizi che mette a disposizione del prossimo, in una società statizzata è anche possibile avere redditi che superino il milione di euro accumulando incarichi alla guida di enti pubblici: com’è successo, appunto, in Italia.
In questo senso la strategia parassitaria è una strategia – sul piano individuale – assai vincente. Ma che succede al corpo sociale in tale situazione? Fatalmente esso declina. In natura come in società, il moltiplicarsi dei parassiti porta alla morte il soggetto parassitato: l’albero perde le foglie e i produttori smettono di lavorare. Quando ci si ribella alla natura e alle sue regole elementari, prima o poi il conto si paga ed è salato.
Questo deve indulgere a un qualche ottimismo. Può darsi che la ragionevolezza si manifesti solo quando tutto sarà distrutto e lo statalismo avrà trasformato l’Europa in una specie di deserto sociale ed economico. Oppure è possibile che – anche sulla scorta di qualche eccezione virtuosa – ci si renda conto che è bene tornare alle sane leggi del mercato. Una cosa però è chiara: la libertà può essere calpestata, ma non senza che questo produca conseguenze molto negative.
Per tale ragione chi crede nella responsabilità individuale, nella proprietà privata e nel contratto deve nutrire una qualche fiducia nel fatto che, prima o poi, questi valori saranno riconosciuti anche da quanti oggi li disprezzano. Prima o poi, il futuro sarà liberale. C’è un limite oltre il quale non si può andare: e questo perché lo statalismo finisce per dissolvere la società stessa e obbliga, quindi, a prendere atto delle leggi fondamentali che regolano l’interazione sociale.
Certo sarebbe auspicabile che si riuscisse a prendere consapevolezza di questo prima di avere toccato il fondo. Diversamente i costi per tornare a vivere in condizioni civili potrebbero essere anche molto elevati.
Meno prestiti e più depositi in Fvg, aumenta il risparmio di famiglie e imprese

Meno prestiti e più depositi in Fvg, aumenta il risparmio di famiglie e imprese

Udine Today

Nei primi dieci mesi del 2014 i prestiti del sistema bancario del Friuli Venezia Giulia ad imprese e famiglie sono scesi di 6,3 miliardi di euro, a fronte di un aumento dei depositi presso le banche di 5,1 miliardi di euro: lo rende noto un report del Centro Studi ImpresaLavoro che ha analizzato l’andamento dell’attività bancaria in regione.

Secondo l’istituto fondato da Massimo Blasoni, non si allenta quindi la morsa del credit crunch e questo nonostante il sistema bancario abbia ricevuto dal 2011 ad oggi fortissime iniezioni di liquidità. In parte si è trattato di trasferimenti effettuati dalla BCE ma una buona fetta di quelle risorse derivano dall’incremento del risparmio di famiglie e imprese.

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Tartassati e ripudiati

Tartassati e ripudiati

Lorenzo Baffo – Effe

È tempo di bilanci. Per l’investitore­-risparmiatore quello degli ultimi anni anni è stato comunque negativo, al di là delle performance registrate in termini di operatività. A determinare il segno meno ha contribuito infatti il peso del fisco, con un incremento di prelievi dell’ordine del 130% nel periodo 2011 ­2015. Sì, proprio del 130%, una stangata meditata, voluta e adottata dagli ultimi tre Governi, convinti che il risparmio sia un limone da spremere. Gli italiani ancora una volta hanno sopportato, proprio mentre poco o nulla si faceva per colpire evasori e corrotti. La scelta di centrare i portafogli era facile poiché ­ essendo detenuti da intermediari professionali ­ le possibilità di sottrarsi al pagamento di imposte e prelevamenti risultavano quasi nulle. E lo si è fatto con l’accetta, attuando un incremento delle riscossioni da ben 9 miliardi di euro. Lo dimostra una documentata e analitica indagine del centro studi di ImpresaLavoro, iniziativa di ispirazione liberale nata su idea dell’imprenditore friulano Blasoni. Pochi “media” hanno dedicato attenzione alla ricerca, perché affrontare il tema del rapporto fra fisco e risparmio appare oggi inopportuno, in un approccio servile nei confronti di chi governa. “F Risparmio & Investimenti”, grazie alla sua totale indipendenza, vuole mettere in evidenza i risultati del lavoro, per avviare un approfondimento e un dialogo con i propri lettori.

Da dove si parte

Chiunque disponga di risparmi sa cosa è successo. Vale però la pena riassumere l’evoluzione delle aliquote fiscali sui redditi di natura finanziaria per capire come sia stato possibile strappare dalle tasche degli italiani 9 miliardi di euro in più. Il grafico alla pagina successiva potrebbe anche tradire, nel senso che non evidenzia totalmente il peso della stangata, apparentemente relativa solo all’operatività con azioni e obbligazioni. Occorre evidenziare invece come, in un periodo di forte crisi della finanza, molti piccoli e medi investito­ri-risparmiatori si siano concentrati sulle offerte bancarie, con conto deposito e bond degli stessi istituti, tutti ormai gravati dell’aliquota al 26%. Effetto pesante anche per fondi e polizze, cosi come per le forme pensionistiche, sulle quali è solo iniziato un lavoro di penalizzazione fiscale che probabilmente proseguirà nei prossimi anni. La tosatura è poi proseguita con l’imposta di bollo sui conti correnti e sui depositi titoli, nonché con l’entrata in vigore di Tobin Tax e aggravi sulle gestioni previdenziali. Chi detiene un patrimonio, piccolo o grande che sia, sa bene quanto abbia inciso tutto questo sui suoi risparmi, fra l’altro nel dileggio di premier, ministri, politici e sindacalisti vari, soddisfatti di aver colpito il risparmio degli italiani, equiparandoli a speculatori ed evasori fiscali, quelli magari con capitali all’estero. Tutto questo è noto, ma molto meno lo è l’insieme di storture che la tassazione adottata comporta, senza che nessuno ne approfondisca gli aspetti.

Ecco cosa non funziona

Lo studio di ImpresaLavoro evidenzia, oltre agli aspetti punitivi delle politiche fiscali adottate dagli ultimi tre Governi, con le stangate maggiori decise da Monti e Renzi, nei confronti del risparmio, anche altri punti non adeguatamente presi in considerazione, che aggravano il peso sopportato dagli investitori. Uno, più volte messo in evidenza da “F Risparmio & Investimenti”, riguarda l’aspetto della doppia tassazione, che assume connotati ampi. La ricerca ne mette in luce una parte. È quella relativa agli utili riutilizzati dalle società di capitali, tassati una prima volta a titolo di imposta sui redditi delle società (Ires) e una seconda volta quando gli stessi vengono distribuiti ai detentori delle quote. Il problema interessa sia le partecipazioni cosiddette rilevanti ­ cioè chi detiene quote consistenti ­ sia il piccolo risparmiatore, che viene a pagare una doppia imposizione, perché per lui la seconda parte si manifesta con il prelievo del 25% sulle rendite finanziarie. Non solo: i dividendi come tutti i redditi di capitale ­ non sono compensabili nel regime del risparmio amministrato e pertanto soggetti a tassazione anche in presenza di perdite precedenti. Le norme non lo prevedono nemmeno se ci sono minusvalenze realizzate sui medesimi titoli da cui deriva il provento, anomalia che i tanti consulenti (perfino cosiddetti finanzieri!) dell’attuale e dei precedenti Presidenti del Consiglio non hanno evidenziato agli estensori delle normative. Un altro aspetto discutibile, che evidenziamo noi, è quello della doppia tassazione sui dividendi riferiti ad azioni straniere. Quelli distribuiti da società non residenti in Italia sono comunemente assoggettati a ritenute fiscali nel Paese di quotazione della società che li assegna (consiste nella ritenuta alla fonte); sull’ammontare netto è poi applicata la “ritenuta Italia”, salvo in alcuni casi, riguardanti soprattutto specifici titoli Usa. In realtà sulla ritenuta alla fonte interverrebbero ­ per specifici accordi ­ delle limitazioni sulle aliquote. Sulla parte eccedente bisognerebbe quindi chiedere un rimborso, con procedure però complesse, che pochi risparmiatori attuano. Su quest`aspetto ­ assai specialistico ­ nessuno è intervenuto a difesa dell’investitore italiano, che si vede costretto a versare più di quanto non dovrebbe. C`è chi osserva come questa stortura sia voluta per favorire il posizionamento sulle azioni italiane, poiché sottoposte al solo prelievo del 26%. Se cosi fosse la scelta sarebbe grottesca, trattandosi di un’ulteriore stortura nei confronti di un libero mercato realizzato solo a parole.

Meccanismo distorto

Un sistema normativo altrettanto contorto e punitivo riguarda le compensazioni da perdite pregresse, possibili soltanto per i cosiddetti redditi diversi, con limiti temporali (i quattro anni, al cui rispetto provvedono gli intermediari, senza nessuna possibilità di errore) e quantitativi, poiché “minus” realizzate prima del 2012 sono utilizzabili solo al 48,07% del loro ammontare e al 76,92% per quelle riferite dal 1 gennaio 2012 al 30 giugno 214. di eventuali guadagni futuri. Lo studio di ImpresaLavoro ricorda il caso più significativo di tale distorsione, riguardante i fondi. Rappresentando un reddito da capitale, se si realizza un utile ­ anche modesto ­ proveniente dalla vendita di questa tipologia di strumenti finanziari si deve comunque pagare la relativa tassazione e non si può compensarlo con eventuali perdite relative per esempio alla cessione di un’azione o di un’obbligazione. Un caso altrettanto assurdo riguarda proprio i bond: le cedole sono comunque tassate anche se il titolo cui si riferiscono viene per esempio rimborsato per un importo interiore a quello riferito all’investimento, il che avviene se lo si è pagato sopra il prezzo di emissione. La “minus” derivante verrà portata a compensazione esclusivamente di eventuali guadagno futuri. Che il legislatore abbia una visione travisata delle cose lo dimostra anche il vantaggio di aliquota fiscale previsto per i titoli di Stato, altra anomalia che potrebbe portare a complesse vicende legali. Non si vede infatti per quale motivo la tassazione su un Btp debba essere al 12,5% e quella su un’obbligazione per esempio di un’azienda di Stato lo sia al 26%. Certo si vuole così agevolare il risparmio incanalandolo verso il debito pubblico, ma allo stesso tempo si penalizza quello indirizzato verso le aziende e le banche con un’altra assurda deformazione delle regole di mercato. Ha senso per esempio che chi fa trading con i Btp sia sottoposto a un’aliquota inferiore di oltre la metà rispetto a quella cui è soggetto chi mette i propri risparmi a lungo termine su bond Enel o Eni? Ciascuno si dia la sua risposta.

L’altro fronte

A tutto questo si aggiunge l’aggravio di fiscalità sui beni immobili, che sta progressivamente penalizzando il mercato, con gli stranieri in particolare sempre meno interessati ad acquistare case in Italia, preferendo alternative molto più concorrenziali, quali Grecia, Spagna e Portogallo. Se l’investitore finanziario dal 2011 a oggi ha visto aumentare la tassazione del 130%, quello posizionato sul mattone ha sofferto una grandinata di aumenti da far paura. Nello stesso periodo il secondo ha pagato sugli immobili, diversi da abitazione principale, qualcosa come un +236% sulle seconde case locate a canone concordato, un 150% sulle seconde case affittate a canone libero, un +144% sugli uffici, un +140% sui negozi, un +115% sulle seconde case sfitte, un +108% sui laboratori artigianali e un +96% per strutture alberghiere e capannoni. In questo caso i dati sono stati forniti dall’ufficio studi della Cgia di Mestre, molto arriva nel seguire il comparto immobiliare. La ricerca annota che tuttavia per alcuni settori si sono registrate agevolazioni fiscali: per esempio la Tasi è stata resti totalmente deducibile dal reddito di impresa. Il motivo di incrementi così rilevanti dipende dalla scelta di molti sindaci di alleggerire il carico sulle prime case e di spostarlo su immobili a uso produttivo e su abitazioni diverse da quella principale.  Anche in questo caso si è pertanto pensato che chi possiede qualcosa sia un facoltoso speculatore da colpire in ogni modo.

Puniti, anzi strapuniti

Il criterio, con cui la problematica della tassazione sui patrimoni è stata affrontata in Italia dimostra un approccio punitivo che si traduce in immobilismo per chi ha capitali da investire, piccoli, medi o grandi che siano. In un quadro generalizzato di crisi e di sfiducia, il “gruzzolo” diventa sempre più tale e si tende a difenderlo in maniera conservativa, non reimmettendolo nel sistema produttivo attraverso l’acquisto di azioni, obbligazioni e case. Proprio le stangate fiscali hanno un impatto nefasto da questo punto di vista. Si traducono in immediato flusso in entrata per le casse dello Stato, ma rallentano la crescita. Il problema è che per i politici ­ tutti impegnati in visioni di breve termine, soprattutto in Italia ­ quella di tappare la voragine è l’unica soluzione possibile. Ecco perché i risparmi finiscono per essere tartassati e ripudiati, una terra di conquista in cui far pascolare le mandrie affamate e assetate dei burocrati legislativi, capaci di incrementare le aliquote ma non di risolvere lo carenze normative, spesso vistose. Finora i Governi dei grandi tassatori sono durati poco. Cosa faranno il prossimo e poi il successivo? Staremo a vedere.

Più risparmi, ma la Crisi del credito non si allenta

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La Vita Cattolica

Nei primi dieci mesi del 2014 i prestiti del sistema bancario del Friuli-Venezia Giulia ad imprese e famiglie sono scesi di 6,3 miliardi di euro, a fronte di un aumento dei depositi presso le banche di 5,1 miliardi di euro: lo rende noto un report del Centro Studi ImpresaLavoro che ha analizzato l’andamento dell’attività bancaria in regione.

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Banche: ImpresaLavoro, meno prestiti e più depositi nel 2014

Banche: ImpresaLavoro, meno prestiti e più depositi nel 2014

Udine20.it

Nei primi dieci mesi del 2014 i prestiti del sistema bancario del Friuli Venezia Giulia a imprese e famiglie sono scesi di 6,3 miliardi di euro, rispetto a un aumento dei depositi di 5,1 miliardi. Il dato emerge da un report del Centro Studi ImpresaLavoro, che ha analizzato l’andamento dell’attività bancaria in regione.

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Caccia aperta al contribuente

Caccia aperta al contribuente

Carlo Lottieri – L’Intraprendente

Non può sorprendere più di tanto il dover constatare che, entro una classifica realizzata individuando una decina di Paesi rappresentativi delle varie aeree d’Europa, l’Italia finisca all’ultimo posto per lo scarso rispetto che riserva ai propri contribuenti. Grazie al contributo di ricercatori universitari di dieci diverse realtà (Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Lituania, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Svezia e Svizzera), il centro studi “ImpresaLavoro” ha esaminato il sistema fiscale in Europa e la conclusione a cui è giunto è che in un continente oppresso dalle imposte l’Italia si trova proprio in fondo alla classifica. La ricerca condotta dall’istituto friulano ha infatti individuato quattro fattori, diversamente pesati, e sulla base di questi (la pressione complessiva, l’ITR in relazione al reddito tassabile da lavoro, capitale e consumi; la semplicità delle procedure per l’adempimento degli obblighi tributari; la localizzazione e la responsabilizzazione del prelievo) ha stilato una graduatoria che pone la Svizzera al primo posto e l’Italia all’ultimo, un po’ peggio della stessa Francia.

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Un anno di governo Renzi: il fact checking definitivo passo dopo passo

Un anno di governo Renzi: il fact checking definitivo passo dopo passo

Angelo Romano, Antonio Scalari, Vincenzo Marino – La Gazzetta di Reggio

«I tempi delle riforme non possono più essere considerati una variabile indipendente», così aveva esordito Matteo Renzi, un anno fa, nel discorso di fiducia al Senato. Da qui, l’annuncio di un cronoprogramma che prevedeva una riforma al mese, che Valigia Blu ha seguito con il countdown . Poi il successo alle elezioni europee e il cambio di passo. Dalla frenesia di promesse con brevi scadenze al piano dei mille giorni , da verificare passodopopasso . A marzo 2014 il governo si presentò agli italiani con le slides della “Svolta Buona”. Molte le riforme e gli interventi previsti. Se alcuni provvedimenti, come il “bonus 80 euro”e il rafforzamento del fondo di garanzia per le PMI, sono stati rispettati, altri lo sono stati solo in parte. Per altri ancora, gli obiettivi che il governo si era proposto rimangono lontani, come per il piano per l’edilizia scolastica o lo sblocco dei debiti della Pa.

[…]

Marzo 2014: «Sblocco immediato e totale pagamento debiti PA, 68 miliardi entro luglio». Matteo Renzi, a Porta a Porta , promette di pagare tutti i debiti della Pubblica Amministrazione entro il 21 settembre. A Febbraio 2015, il Ministero dell’Economia annuncia che i pagamenti effettuati ai creditori ammontano a 36,5 miliardi. Secondo ImpresaLavoro si tratterebbe di meno della metà di quanto dovuto dalla Pubblica Amministrazione ai creditori.

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