Quando si parla di crescita il Governo la spara grossa
di Francesco De Dominicis – Libero
Il bollino blu sulla crescita zero nel secondo trimestre, sfoderato venerdì dall’Istat, ha riaperto un tema essenziale. Quanto sono attendibili le previsioni economiche? Secondo le statistiche ufficiali, il prodotto interno lordo, in Italia, si attesta per ora allo 0,8%: tutto questo scommettendo sull’assenza di rallentamenti tra giugno e dicembre di quest’anno (e i segnali registrati a luglio e agosto, complessivamente, non sono proprio positivi). Sta di fatto che quel più 0,8% tendenziale è, in ogni caso, un valore decisamente più basso rispetto alla stime del governo. Stime che, come ha spiegato ieri il Centro studi ImpresaLavoro, si rivelano sempre meno precise: dal 2002 al 2016, in 14 casi su 15 le indicazioni ufficiali dell’esecutivo non sono state «azzeccate». E solo due per difetto. Sfortuna? No, la cabala non fa parte di questa faccenda.
Spieghiamo. Torniamo al pil e alle indicazioni di palazzo Chigi. A settembre del 2015, nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza che per prassi «accompagna» la presentazione della legge di stabilità, il Tesoro aveva «previsto», per quest’anno, una crescita del pil dell’1,6% (esattamente il doppio rispetto al ritmo a cui viaggia attualmente la nostra economia). Undici mesi fa, più di qualcuno aveve dubitato sulle probabilità che il pil potesse raggiungere una vetta così alta: del resto, il 2014 era stato chiuso in territorio negativo (-0,4%) e il 2015 si apprestava a riportare il pil in positivo dopo diversi anni, ma con uno zero virgola non entusiasmante (a dicembre sarà appena più 0,9%). L’Italia cominciava a respirare, ma l’onda lunga della crisi non era ancora stata superata del tutto. Di qui, i dubbi: uno dopo l’altro, dalle grandi organizzazioni di categoria ai principali enti internazionali (Fmi, Ocse e non solo) hanno smontato i numeri del governo. Ragion per cui, già ad aprile, lo stesso Tesoro ha tagliato le stime del pil, portandolo dall’1,6% all’1,2%. Niente da fare: nella migliore delle ipotesi, messa sul tavolo dallo stesso istituto di statistica, il pil si attesterà all’1%. Basterà, tuttavia, qualche fattore interno o ulteriori turbolenze internazionali, per far crollare anche questa stima. I segnali non lasciano ben sperare: vuoi il clima di fiducia di imprese e consumatori, vuoi l’effetto a catena di problemi internazionali.
C’è da dire che questa ondata di ottimismo eccessivo accomuna il governo di Matteo Renzi ai vari esecutivi che si sono succeduti a partire dal 2002 (Berlusconi un paio di volte, Prodi, Monti, Letta). Nessuno, insomma, è stato infallibile con le stime e le previsioni. Hanno sbagliato tutti: nemmeno il governo di tecnici e di professori guidato da Mario Monti si è distinto per precisione. L’unico anno «preso»? Il 2007 (pil all’1,5%). Siamo al sesto anno consecutivo sballato: dal 2011 le previsioni sono state sovrastimate con scostamenti enormi. «Sulle ipotesi di crescita – spiega ImpresaLavoro – si basano le simulazioni di sostenibilità sul nostro debito pubblico e sul nostro sistema pensionistico nel medio-lungo periodo». Il punto è proprio questo: nessuno ha il «coraggio» di dire la verità in anticipo, tant’è che, nel periodo in esame, non sono mai state presentate dai governi stime negative, nonostante il pil sia andato sotto zero per ben cinque volte (2008, 2009, 2012, 2013, 2014). A correggere il tiro – e i conti pubblici, con manovre di bilancio che portano più tasse per i contribuenti – si fa sempre in tempo. Prima, si spara grossa.