benzina

Esodo con salasso. Diesel alle stelle

Esodo con salasso. Diesel alle stelle

Il diesel acquistato in Italia è in assoluto il più caro in Europa, mentre il prezzo della benzina è il quarto più alto di quelli acquistabili nei Paesi dell Unione europea. A renderlo noto è una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro realizzata su dati del Ministero dell’Economia e della Commissione Europea. Per il diesel il costo al litro sul territorio italiano è di 1,487 euro, ben al di sopra degli 1,329 euro della media europea. Supera dell 11,1% la media continentale anche la benzina, che costa 1,599 euro al litro: il pieno in questo caso costa il 4,5% in più rispetto alla Francia, l’11,4% in più rispetto alla Germania e addirittura il 26,3% in più rispetto all’Austria. Peggio in Europa fanno soltanto Paesi Bassi, Grecia e Danimarca con un costo al litro rispettivamente di 1,681, 1,629 e 1,620 euro. Il prezzo pagato dai consumatori finali, sempre per quanto riguarda la benzina, risente fortemente della componente relativa a tasse e accise: il prelievo statale rappresenta il 63,5% del prezzo finale contro il 60,2% della media europea, il 61,8% della Francia, il 61,6% della Germania e il 52,9% della Spagna. Non va molto meglio, da questo punto di vista, quando si parla di diesel: il 59,6% del prezzo finale è costituito da tasse, contro una media europea pari al 54,9%. Peggio fa solo il Regno Unito, con un valore pari al 60,5%. «Questi numeri preoccupano soprattutto perché non sono state ancora individuate le risorse per disinnescare le clausole di salvaguardia», osserva il presidente di ImpresaLavoro, Massimo Blasoni, segnalando che – in assenza di coperture alternative – dal primo gennaio 2020 i rincari sulle accise peserebbero per 400 milioni l anno. Attualmente incidono sul prezzo del carburante ben 17 diverse accise, deliberate dal 1935 ad oggi e legate alle voci di spesa più disparate: dalla Guerra di Etiopia all’acquisto di autobus ecologici, dal rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004 all’emergenza migranti causata dalla crisi libica. Senza dimenticare che attraverso l aumento delle accise si sono affrontate le principali emergenze italiane: il terremoto in Emilia (2012), il terremoto in Friuli (1976) e in Irpinia (1980), le alluvioni di Firenze (1966) e Liguria (2011). In molti casi si tratta chiaramente di voci di emergenze concluse. Il gettito totale per accise nel complesso è aumentato di 5,2 miliardi negli ultimi 10 anni. Le accise su prodotti energetici, loro derivati e prodotti analoghi garantivano alle casse dello stato 20,3 miliardi nel 2008.

Carburanti: diesel italiano il più caro in Europa, benzina al quarto posto

Carburanti: diesel italiano il più caro in Europa, benzina al quarto posto

Il diesel acquistato in Italia è in assoluto il più caro in Europa mentre il prezzo della nostra benzina è il quarto più alto di quelli acquistabili nei Paesi dell’UE. A renderlo noto è una ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro, realizzata su dati MEF e Commissione Europea.

Con 1,599 euro al litro, il costo del nostro carburante è dell’11,1% più alto di quello della media europea: il pieno in Italia costa il 4,5% in più rispetto alla Francia, l’11,4% in più rispetto alla Germania e addirittura il 26,3% in più rispetto all’Austria. Peggio di noi in Europa fanno soltanto Paesi Bassi, Grecia e Danimarca con un costo al litro rispettivamente di 1,681, 1,629 e 1,620 euro.

Il prezzo pagato dai consumatori finali risente fortemente della componente relativa a tasse e accise. Nel nostro Paese il prelievo statale rappresenta il 63,5% del prezzo finale contro il 60,2% della media europea, il 61,8% della Francia, il 61,6% della Germania e il 52,9% della Spagna.

Il diesel acquistato in Italia risulta essere invece il più caro in assoluto tra i Paesi dell’UE. Il costo al litro è infatti pari a 1,487 euro, superando di molto la media europea (pari a 1,329 euro), la Germania (1,242 euro) e la Spagna (1,213 euro).

Anche in questo caso l’incidenza delle tasse sul prezzo finale è molto alta: il 59,6% del prezzo finale è costituito da tasse, contro una media europea pari al 54,9%. Peggio di noi fa solo il Regno Unito, con un valore pari al 60,5%.

Attualmente incidono sul prezzo del carburante ben 17 diverse accise, deliberate dal 1935 ad oggi. Paghiamo con la benzina le voci di spesa più disparate: dalla Guerra di Etiopia all’acquisto di autobus ecologici; dal Rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004 all’emergenza migranti causata dalla crisi libica. Senza dimenticare che attraverso l’aumento delle accise si sono affrontate le principali emergenze italiane: dal terremoto in Emilia (2012) fino ai terremoti in Friuli (1976) e Irpinia (1980) o alle alluvioni di Firenze (1966) e Liguria (2011). In molti casi si tratta chiaramente di voci di emergenze concluse ma su cui comunque continuiamo a versare allo stato importanti risorse ogni qualvolta facciamo il pieno di benzina alla nostra auto.

Il gettito totale per accise nel nostro Paese nel suo complesso è aumentato di 5,2 miliardi negli ultimi dieci anni. Le accise su prodotti energetici, loro derivati e prodotti analoghi garantivano alle casse dello stato 20,3 miliardi nel 2008. Gli aumenti successivi hanno fatto crescere questa cifra del 25,6% in dieci anni portando il gettito del 2018 a 25,5 miliardi di euro, una cifra sostanzialmente stabile negli ultimi anni (25,4 miliardi nel 2016, 25,7 miliardi nel 2017).

“Questi numeri preoccupano soprattutto perché non sono state ancora individuate le risorse per disinnescare le clausole di salvaguardia” osserva l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro Studi ImpresaLavoro. “In assenza di coperture alternative, esse scatterebbero dal primo gennaio 2020 facendo aumentare l’Iva (dal 22% al 25,2% quella ordinaria e dal 10% al 13% quella agevolata) e le accise sui carburanti per un valore pari a 400 milioni di euro l’anno. Al momento il 63,5% del prezzo finale della benzina è costituito da tasse e non dimentichiamo che l’Iva si applica anche sulle accise”.

Accise, ImpresaLavoro: gettito aumentato di 5 miliardi negli ultimi 5 anni

Accise, ImpresaLavoro: gettito aumentato di 5 miliardi negli ultimi 5 anni

Il gettito per accise nel nostro paese è aumentato di 5 miliardi tra il 2011 e il 2016, una vera e propria stangata nascosta tra i consumi di famiglie e cittadini. A renderlo noto è una ricerca effettuata dal Centro Studi ImpresaLavoro.

Le accise su prodotti energetici, loro derivati e prodotti analoghi garantivano alle casse dello stato 20,4 miliardi nel 2011. Gli aumenti successivi hanno fatto crescere questa cifra del 24,7% in soli 5 anni portando il gettito del 2016 a poco più di 25 miliardi di euro, una cifra sostanzialmente stabile negli ultimi anni (25,6 miliardi nel 2015; 26,2 miliardi nel 2014; 24,3 miliardi nel 2013). Numeri che dovrebbero far riflettere e convincere il governo a non inasprire ulteriormente il prelievo statale su questo comparto nel tentativo di corrispondere alle richieste della Commissione Europea sull’equilibrio della nostra finanza pubblica.

Il prezzo della nostra benzina è già oggi il terzo più caro d’Europa. Con 1,5437 euro al litro, il costo del nostro carburante è del 11,52% più alto di quello della media europea: il pieno in Italia costa il 9,27% in più rispetto alla Francia e il 10,50% in più rispetto alla Germania. Peggio di noi in Europa fanno soltanto Olanda e Grecia con un costo al litro rispettivamente di 1,5720 e 1,5460 euro.

Il prezzo pagato dai consumatori finali risente fortemente della componente relativa a tasse e accise. Nel nostro paese il prelievo statale rappresenta il 65,22% del prezzo finale contro il 62,34% della media europea e il 54,45% della Spagna, il 62,82% della Germania e il 63,34% della Francia.

Attualmente incidono sul prezzo del carburante ben 17 diverse accise, deliberate dal 1935 ad oggi. Paghiamo con la benzina le voci di spesa più disparate: dalla Guerra di Etiopia all’acquisto di autobus ecologici; dal Rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004 all’emergenza migranti causata dalla crisi libica. Senza dimenticare che attraverso l’aumento delle accise si sono affrontate le principali emergenze italiane: dal più recente terremoto in Emilia (2012) fino ai terremoti in Friuli (1976) e Irpinia (1980) o alle alluvioni di Firenze (1966) e Liguria (2011). In molti casi si tratta chiaramente di voci di emergenze concluse ma su cui comunque continuiamo a versare allo stato importanti risorse ogni qualvolta facciamo il pieno di benzina alla nostra auto.

“Il ricorso all’aumento delle accise sui carburanti – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro Studi ImpresaLavoro – è un sempreverde italiano. Non c’è Governo o Ministro dell’economia che non sia ricorso a questo espediente per fare cassa. Un prelievo straordinario e giustificato spesso da emergenze contingenti che finisce per trasformarsi in una tassa perenne, silenziosa e per questo meno dibattuta ma che incide sui bilanci delle famiglie italiane indipendentemente dal loro reddito e, quindi, con poca equità.”

La nostra benzina a peso d’oro: siamo i terzi più cari d’Europa

La nostra benzina a peso d’oro: siamo i terzi più cari d’Europa

Gian Maria De Francesco – Il Giornale

Estate, tempo di viaggi in auto. Il mese di agosto è quello che mette gli italiani dinanzi a una realtà che nel resto dell’anno si può anche evitare di vedere: benzina e diesel sono troppo cari, nonostante il prezzo del petrolio abbia recuperato solo parzialmente la gran discesa dei prezzi dell’ultimo biennio.

In Italia, però, di tutto questo non c’è evidenza: il costo dei carburanti è superiore dell’11,9% rispetto alla media europea. In particolare, il differenziale è del +10,4% rispetto alla Germania, del +12,6% rispetto alla Francia, del +20,7% rispetto alla Slovenia e addirittura del +30,4% rispetto all’Austria. Non si può, pertanto, non provare un po’ di invidia per friulani e altoatesini che hanno una possibilità di scelta, negata invece al resto dei connazionali. La ricerca, elaborata dal Centro studi ImpresaLavoro in base ai dati Weekly Oil Bulletin della Commissione europea, evidenzia come la «resistenza» rispetto alle oscillazioni ai prezzi di mercato sia legata all’eccessivo carico fiscale sulle benzine. Tasse e le accise pesano in media per il 68,8% sul prezzo finale praticato al consumatore. L’Italia si colloca al terzo posto di questa speciale graduatoria, a pari merito con la Gran Bretagna e subito dopo Olanda (70,9%) e la Svezia (68,9%). Il malcostume non è solo italico: in tutta Europa l’incidenza delle tasse sul prezzo finale non scende mai sotto il 53,07% della Bulgaria. Anzi, la media dei 28 Paesi è del 66%, dunque quasi tutti i cittadini europei finanziano i loro stati con i due terzi del costo dei carburanti. La prassi, però, ha molto più senso laddove le imposte sui redditi sono più basse e il carico fiscale si sposta, pertanto sui consumi. In Paesi come l’Italia, la Svezia, la Danimarca, la Francia e il Belgio, invece, i contribuenti sono tassati due volte: quando guadagnano e quando spendono.

In valore assoluto un litro di benzina Euro-Super 95 costa, secondo i dati dell’Ue, 1,4325 euro, in calo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un prezzo che in Europa è inferiore solo a Olanda (1,4510) e Danimarca (1,4438). In Germania un litro dello stesso carburante costa 1,2970 euro, in Francia 1,2714 euro e in Spagna 1,1345 euro. Solo in Bulgaria (0,9973) e in Polonia (0,9972) un litro di benzina costa meno di un euro.

Quanto al diesel, il suo costo medio in Italia è di 1,2894 euro al litro: anche in questo caso si tratta del terzo prezzo più caro in Europa, dopo quello praticato nel Regno Unito (1,3299 euro al litro) e in Svezia (1,2896 euro al litro), a fronte di un prezzo medio europeo di 1,1203 euro al litro. I cinque Paesi nei quali è più conveniente rifornirsi sono la Bulgaria (0,9673 euro), la Lettonia (0,9627 euro), la Lituania (0,9625 euro), la Polonia (0,9427 euro) e soprattutto il Lussemburgo (0,9120 euro). Anche per il diesel, sono le tasse a portar via larga parte del prezzo finale praticato al consumatore. Imposte e accise pesano per il 68,2% del prezzo finale nel Regno Unito, il 65,9% in Italia e il 63,3% in Francia. Anche in questo caso, in tutta Europa, l’incidenza delle tasse rimane sempre sopra il 50% del prezzo finale (60,9% la media Ue). Il fatto di essere tartassati non è comunque un buon motivo per non godersi le vacanze.

Benzina più cara d’Europa: il petrolio cala, le tasse no

Benzina più cara d’Europa: il petrolio cala, le tasse no

di Antonio Castro – Libero

Ogni estate è la stessa storia: gli italiani si mettono al volante e il prezzo della benzina lievita (prezzo medio ieri 1,432 euro/litro, diesel prezzo medio 1,272). Un costo/litro che in Europa è inferiore solo a Olanda (1,4510) e Danimarca (1,4438). Pochi centesimi di ritocco certo (siamo lontani dai 2 euro al litro toccati nell’agosto 2012), però, a ben guardare, 4 anni fa il prezzo del petrolio viaggiava verso i 115 dollari al barile (il Wti a 97,41 dollari, il Brent a 115,1). Ieri a Wall Strett il greggio di tipo Wti (quello più pregiato), faceva fatica a reggere i 41,7 dollari al barile, mentre il Brent superava di poco i 44,2 dollari. E allora sorge il dubbio: perché se i prezzi sono dimezzati, il costo di un litro di carburante si è ridotto di meno di un quarto?

Esistono due risposte: una tecnica, noiosissima e un po’ traballante. E una molto più semplice. Quella tecnica scansiona gli equilibri mondiali, la geopolitica e le fluttuazioni sui mercati finanziari. Tutto vero, per carità. Poi c’è quella papale papale: paghiamo la benzina uno sproposito perché oltre il 69% del prezzo di questo (e il 66% del gasolio), è fatto di tasse, accise, Iva e balzelli vari (dati Unione Petrolifera). In teoria c’è dentro l’addizionale per la guerra d’Etiopia (1935), una manciata di terremoti e disastri (l’ultimo quello in Emilia del 2012), e pure il “Salva Italia” di Monti del 2011.

Il problema dell’iper tassazione dei prodotti petroliferi è comune a tutta Europa. Ma noi in Italia siamo speciali: nel nostro Paese il prezzo dei carburanti continua a restare tra i più alti in Europa: +11,9% rispetto alla media europea e in particolare +10,4% rispetto alla Germania, +12,6% rispetto alla Francia, +20,7% rispetto alla Slovenia e addirittura +30,4% rispetto all’Austria. Il Centro studi ImpresaLavoro, ha elaborato i dati della Commissione Europea e messo in colonna la classifica dei più tartassati.

L’Italia si colloca al terzo posto di questa speciale graduatoria, subito dopo l’Olanda (70,9%) e la Svezia (68,9%). Tralasciando il dettaglio che in questi due Paesi i governi finanziano generosamente chi intende passare a vetture a impatto zero (elettriche, idrogeno). Loro alzano le tasse per scoraggiare comportamenti inquinanti, da noi solo per fare cassa. «Le entrate derivanti dalle accise sugli oli minerali, energia elettrica e gas naturale nel corso del 2015 si sono attestare a circa 31,3 miliardi di euro», spiega la Relazione 2016 dell’Up. Una torta troppo grande golosa per rinunciarvi.

Carburanti, prezzi record in Italia: +17% sulla media UE

Carburanti, prezzi record in Italia: +17% sulla media UE

Francesca Basso – Corriere della Sera

Come sempre i dati vanno intrecciati. Se da un lato in questi giorni abbiamo assistito a una rafflca di ribassi sui carburanti per effetto della depressione dei mercati petroliferi internazionali (ieri però è tomata un po’ di calma e il prezzo medio nazionale praticato in modalità self della verde andava da 1,580 a 1,615 euro al litro, pompe no-logo a 1,572), dall’altro il prezzo di benzina e diesel nel nostro Paese continua a rimanere alto se paragonato al resto d’Europa: +17% rispetto alla media Ue, +9% nei confronti della Germania, +13% della Francia, +19% rispetto alla Slovenia e +26% all’Austria.
Una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro, su elaborazione dei dati della Commissione europea (Weekly Oil Bulletin, 27 Luglio 2015), mette in evidenza che per l’incidenza di tasse e accise siamo sul podio: bronzo all’Italia con un peso del 63%, argento all’Olanda con il 64% e oro alla Gran Bretagna con il 66%. Tradotto sul prezzo della verde: 1,6164 euro al litro in Italia, 1,6460 euro in Olanda e 1.6338 euro al litro in Gran Bretagna, a fronte di un prezzo medio europeo di 1,3872 euro al litro. I cinque Paesi nei quali è più conveniente rifornirsi sono la Repubblica ceca (1,2245 euro al litro), la Lettonia (1,2217 euro), la Polonia (1,2135), la Bulgaria (1,1801) e l’Estonia (1,1710). Nel diesel siamo i secondi più cari d’Europa con 1,4329 euro al litro. Il primato resta al Regno Unito con 1,6410 euro, mentre il prezzo medio europeo è di 1,2206 euro.

20150807CorrieredellaSera

Record italiano nel prezzo dei carburanti

Record italiano nel prezzo dei carburanti

Nonostante la sensibile riduzione del costo del petrolio, in Italia il prezzo dei carburanti continua a restare tra i più alti in Europa: +17% rispetto alla media europea e in particolare +9% rispetto alla Germania, +13% rispetto alla Francia, +19% rispetto alla Slovenia e addirittura +26% rispetto all’Austria. Lo attesta una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro su elaborazione dei dati della Commissione Europea (Weekly Oil Bulletin, 27 Luglio 2015).
maggior costo
A incidere in maniera determinante sul caro carburanti nel nostro Paese sono le tasse e le accise, che incidono infatti per il 63% sul prezzo finale praticato al consumatore. L’Italia si colloca al terzo posto di questa speciale graduatoria, subito dopo il Regno Unito (66%) e l’Olanda (64%) e un gradino sopra Grecia (62%), Finlandia, Irlanda e Francia (tutte al 61%).
incidenza
In particolare, il costo della benzina in Italia è di 1,6164 euro al litro: si tratta del terzo prezzo più caro in Europa – dopo quello praticato in Olanda (1,6460 euro al litro) e Regno Unito (1,6338 euro al litro) – a fronte di un prezzo medio europeo di 1,3872 euro al litro. I cinque Paesi nei quali è più conveniente rifornirsi sono la Repubblica ceca (1,2245 euro al litro), la Lettonia (1,2217 euro al litro), la Polonia (1,2135 euro al litro), la Bulgaria (1,1801 euro al litro) e soprattutto l’Estonia (1,1710 euro al litro).
prezzo benzina
Quanto al diesel, il suo costo in Italia è di 1,4329 euro al litro: si tratta addirittura del secondo prezzo più caro in Europa – dopo quello praticato nel Regno Unito (1,6410 euro al litro) – a fronte di un prezzo medio europeo di 1,2206 euro al litro. I cinque Paesi nei quali è più conveniente rifornirsi sono l’Austria (1,1310 euro al litro), la Polonia (1,1171 euro al litro), la Lettonia (1,1006 euro al litro), l’Estonia (1,0570 euro al litro) e soprattutto il Lussemburgo (1,0361 euro al litro).
prezzo diesel
Oro nero

Oro nero

Enrico Cisnetto – Il Foglio

Petrolio sotto i 60 dollari: c’è una rivoluzione in corso? No, c’è già stata. Nella storia delle politiche petrolifere si è aperto un nuovo e inedito capitolo: ex uno, plures. Se, infatti, semplicemente aumentando o tagliando l’estrazione del greggio, nei decenni passati pochi produttori stabilivano i prezzi, condizionando i mercati e gli assetti geopolitici del pianeta, oggi non c’è più né il monopolio delle fonti, né un unico canale di trasmissione. La vecchia catena lineare di estrazione, raffinazione e distribuzione è finita schiacciata dalla ruota della modernità e il solo e unico custode del rubinetto mondiale dell’oro nero non è più né unico, né solo, né tantomeno in grado di influire in modo diretto e immediato sull’economia del pianeta. Anzi, il mondo dell’energia in generale, e degli idrocarburi in particolare, si è evoluto in una realta policentrica e poliarchica, stratificata e complessa, con reti interconnesse e interressi incrociati. Le catene di distribuzione dell’energia sono ormai più importanti dei produttori stessi, e proprio in ragione delle novità sono chiamati a svolgere un ruolo strategico, di equilibrio del sistema energetico planetario.

Dal 1973 per ognuna delle sette volte che il prezzo del petrolio è calato oltre il 30 per cento in meno di sei mesi come in questa fase, l’industria manifatturiera statunitense è cresciuta significativamente per almeno un anno e gli indici di Borsa sono saliti in media del 18 per cento in America e del 12 per cento in Europa. Questa volta, per, potrebbe essere diverso, come dimostrano le crescenti tensioni sui mercati dovute a Grecia e Cina. Cosa può fare la differenza?

Innanzitutto, c’è stata la rivoluzione delle rinnovabili: i costi di produzione del fotovoltaico sono calati del 96 per cento in 40 anni, e in Italia, per esempio, il costo del kWh eolico si è ridotto del 58 per cento e quello fotovoltaico del ’78 per cento solo tra il 2009 e il 2014. Inoltre, con il recente accordo sul clima tra Usa e Cina (due nazioni responsabili complessivamente del 40 per cento delle emissioni globali) e la Conferenza sul clima di Parigi del 2015, le emissioni di gas serra dovrebbero calare dal 40 al 70 per cento a livello globale entro il 2050. Nonostante ciò, fino al 2030, il 65 per cento della generazione globale si baserà comunque ancora su fonti fossili. Ma, attenzione, tra le fossili c’è la “novità” dello shale gas americano, che sembra poter reggere la concorrenza dei fossili tradizionali anche con un costo del barile intorno ai 50 dollari, smentendo la teoria dell’Opec che ne riteneva antieconomica l’estrazione sotto i 75 dollari al barile: la produzione americana da “scisto” dovrebbe infatti continuare a crescere, arrivando l`anno prossimo a 9,4 milioni di barili al giorno, un record che in America non si vedeva dal 1972. Quindi mind the fracking, perché la tecnica estrattiva che ha rotto il vecchio oligopolio dei produttori e ha scatenato una guerra ribassista, ha profondamente alterato gli equilibri energetici internazionali.

Con il crollo delle quotazioni, per esempio, piange la Russia, che realizza oltre metà del suo bilancio pubblico dall’esportazione di energia e che ha inoltre, alti costi estrattivi e di trasporto sia economici che politici, come dimostrano la crisi in Ucraina e l’alleanza con la Turchia, acerrimo nemico di Mosca sulla vicenda siriana. Ridono invece i paesi importatori (Corea del sud e Giappone in primis) e con i loro crescenti consumi sorridono gli emergenti (India, Brasile e Cina). L’Arabia Saudita, con le sue immense riserve, ha deciso di non tagliare la produzione, sia per non perdere quote di mercato sia per mettere in difficoltà l’odiato e vicino Iran. E, intanto, gli Stati Uniti cercano di capire quanti danni possa provocare il deprezzamento in corso: con il petrolio sotto i 60 dollari, gli investimenti in shale potrebbero dimezzarsi e la produzione smettere di crescere. In ogni caso, l’unico importatore che subisce contraccolpi è l’Eurozona, che con il deprezzamento degli idrocarburi rischia di alimentare la deflazione. Oltre alle ripercussioni finanziarie, l’Europa paga per la propria incapacità strategica, sia dei singoli paesi sia come continente. Ogni stato membro si è nel tempo singolarmente affidato a fornitori inaffidabili e ballerini (l’Italia, per esempio, a Libia e Algeria), senza così riuscire a programmare nessun investimento a lungo termine. E quando è stato fatto, come nel caso del South Stream, sono sorti problemi.

Sono sempre stato sostenitore di una “unione energetica europea” – ottenibile unendo le rinnovabili italiane, il nucleare francese, l’idroelettrico austriaco, il carbone tedesco – per creare un sistema integrato ed equilibrato dalla grande forza politica e negoziale nella geopolitica mondiale. Oggi, però, nell’inedito scenario che ho cercato di descrivere, le nuove alleanze che possono rivoluzionare i rapporti di forza sono quelle tra i distributori, tra chi gestisce a livello sistemico il mercato. Ora che nessun produttore è più dominus assoluto, infatti, i grandi operatori possono cavalcare la rivoluzione dello shale gas, delle rinnovabili, dell’efficienza energetica, dell’auto elettrica. Uno modo per evitare la restaurazione del potere dei produttori e così smettere di essere, Italia e Ue, totalmente dipendenti da paesi da cui è bene guardarsi le spalle.

Mancano 700 milioni e Renzi senza fantasia ci aumenta la benzina

Mancano 700 milioni e Renzi senza fantasia ci aumenta la benzina

Antonio Signorini – Il Giornale

Non basterà il prezzo del petrolio ai minimi da cinque anni a rendere più piacevoli le festività agli automobilisti. Le brutte notizie per chi è costretto a fare il pieno arriveranno, tanto per cambiare, dal fisco italiano.Come ha ricordato ieri la Cgia di Mestre, dal primo gennaio scatterà una delle tante clausole di salvaguardia. Questa volta farà aumentare le accise sui carburanti di 1,8 centesimi al litro, 2,2 cent considerando l’effetto dell’Iva. Cifra approssimativa perché dovrà essere un provvedimento dell’Agenzia delle dogane a stabilire l’esatta quantificazione in modo da reperire 671 milioni nel 2015 e 17,8 milioni di euro nel 2016. Servono a coprire l’abolizione dell’Imu sull’abitazione principale decisa nel 2013. Doveva essere finanziata dall’Iva sui pagamenti della pubblica amministrazione e da un giro di vite fiscale sui giochi, ma non è bastato. Il greggio è sceso sotto i 64 dollari, però – ha osservato il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – «in Italia il prezzo dei carburanti alla pompa rimane ancora molto elevato», grazie a un’imposizione fiscale che «non ha eguali in Europa». Una gallina dalle uova d’oro il portafoglio degli automobilisti, tanto che in quattro anni i ritocchi all’insù sono stati ben nove.

Pessimismo giustificato sul calo della benzina

Pessimismo giustificato sul calo della benzina

Il Sole 24 Ore

Il prezzo del greggio è sempre più sobrio. I consumatori già pregustano nuovi ribassi di benzina e gasolio al distributore. Ma il pessimismo della ragione dice che forse non sarà così. I listini del petrolio infatti sono uniti con quelli dei carburanti da un legame lieve (e molto, molto elastico quando si tratta di ribassare). Per esempio martedì, mentre a New York le quotazioni petrolifere scendevano a rotta di collo, sui mercati italiani all’ingrosso la benzina e il gasolio rincaravano e anche in modo orgoglioso, cosi ieri alcuni distributori hanno alzato i prezzi, molti altri invece li hanno limati. Da gennaio però – segnala l’Unione petrolifera – i tributi sui carburanti potrebbero aumentare di quasi otto centesimi di euro il litro per la Legge di stabilità e altre normative. L’automobile, bancomat del Fisco, porterebbe nelle casse statali 2,4 miliardi in più.