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Sotto tiro anche gli altri fabbricati

Sotto tiro anche gli altri fabbricati

Il Sole 24 Ore

Non solo prima casa. In una città su due, la Tasi colpisce anche gli immobili diversi dall’abitazione principale. Come dimostrano le elaborazioni del Caf Acli sulle delibere ufficiali, in più di 3.800 Comuni su 7.405 la nuova imposta sui servizi indivisibili comunali si aggiunge all’Imu sugli immobili locati, i fabbricati produttivi, le aree edificabili, gli edifici rurali strumentali. Le regole locali variano secondo molte sfumature, ma la sostanza è che la Tasi – oltre a essere l’erede dell’Imu sulla prima casa – costituisce spesso una sorta di addizionale impropria dell’Imu: stessa base imponibile, identico limite di prelievo dato dalla somma delle due aliquote e scadenze di versamento parzialmente allineate (acconto Tasi al 16 ottobre per i Comuni che non avevano deliberato a maggio, saldo Tasi e Imu al 16 dicembre per tutti i contribuenti).

L’aliquota media della Tasi sugli “altri immobili” è pari all’1,31 per mille. Lontana dall’1,95 per mille della Tasi sull’abitazione principale, ma pur sempre al di sopra del livello base dell’1 per mille. Oltretutto, in questo caso bisogna considerare che c’è anche un limite generale fissato dalla legge, per cui la somma di Tasi e Imu può superare il 10,6 per mille solo se il Comune sfrutta il margine di aumento straordinario dello 0,8 per mille, con un tetto massimo dell’11,4 per mille. È probabile, quindi, che molti dei Comuni che non hanno istituito la Tasi sugli immobili diversi dalla prima casa avessero già l’Imu al massimo e non abbiano voluto fare una sorta di “scambio” tra i due tributi.

A complicare il quadro c’è il fatto che molti Comuni hanno previsto aliquote differenziate tra le diverse tipologie di “altri immobili”, modulando il prelievo in modo diverso – ad esempio – tra abitazioni locate, case sfitte, negozi, capannoni e così via. Sugli immobili affittati, ad esempio, l’aliquota media è pari all’1,33 per mille, mentre la quota a carico dell’inquilino ammonta al 18,4% e si piazza a metà della forchetta dal 10 e il 30% prevista dalla legge. A quanto pare, molti amministratori locali si sono discostati dalla quota minima – che secondo le previsioni della vigilia avrebbe dovuto essere la più usata – per evitare che l’imposta dovuta si riducesse a pochi spiccioli, finendo così sotto la soglia minima di versamento e diventando quasi impossibile da riscuotere in caso di mancato pagamento. È tutto da dimostrare, però, che l’aumento della quota a carico dell’inquilino sia sufficiente a superare questo difetto di costruzione del tributo: oltretutto, a dover pagare non solo gli inquilini, ma gli occupanti in generale, e quindi anche i comodatari, che detengono un immobili in prestito dai parenti, i titolari di contratti di leasing, le badanti e i conviventi non sposati con il proprietario.

La beffa Tasi, più cara dell’Imu. Detrazioni solo in un comune su tre

La beffa Tasi, più cara dell’Imu. Detrazioni solo in un comune su tre

Mario Sensini – Corriere della Sera

Il termine è scaduto alla mezzanotte di ieri e i Comuni che non hanno deliberato in tempo le aliquote della nuova Tasi dovranno accontentarsi, a dicembre, di un incasso ridotto. Tutti gli altri sindaci possono sorridere, ed i loro cittadini preoccuparsi. Messe tutte le carte sul tavolo – le delibere comunali – l’imposta destinata a superare l’Imu rischia di essere ben più salata della progenitrice nella maggior parte dei Comuni per molte famiglie italiane, in particolare quelle più povere e quelle con i figli. E più leggera per chi sta meglio. L’Associazione dei Comuni dice che nei municipi dove le aliquote sono state già fissate a maggio, sulla prima casa, si è pagato il 30% in meno, ma i Caf e molti centri studi sono convinti che, alla fine, il conto complessivo sarà più salato dell’Imu 2012, che fu di 4,4 miliardi.

Sugli 8.057 Comuni italiani, quelli che hanno fissato le aliquote Tasi entro la scadenza definitiva sono stati 7.405. Nei poco più di 600 municipi che non hanno voluto o non sono stati in grado di decidere, la Tasi sulla prima casa si pagherà il 16 dicembre in una sola rata, con l’aliquota di base dell’1 per mille (applicata allo stesso imponibile della vecchia Imu: rendita catastale rivalutata del 5% e moltiplicata per 160). Negli altri Comuni la tassa sulla casa di abitazione, dovuta in due rate il 16 ottobre e il 16 dicembre, sarà ben più cara.

Secondo i calcoli del Caf si pagherà l’1,95 per mille, ma è una media di tutti i Comuni, piccoli e grandi: nelle città maggiori il conto sarà di sicuro più salato. Secondo il Servizio Politiche Territoriali della Uil, l’aliquota media deliberata dai municipi capoluogo di provincia è del 2,6%. La Cgia di Mestre sostiene che in un grande Comune su due la Tasi sarà più cara dell’Imu. Tra i capoluoghi di provincia, vale la pena di sottolineare, la Tasi non si paga solo a Olbia e a Ragusa. È tuttavia e soprattutto il meccanismo caotico delle detrazioni, più delle aliquote, a generare gli effetti meno gradevoli. Con l’Imu c’era una detrazione fissa di 200 euro, più 50 euro per ogni figlio a carico, mentre stavolta i sindaci sono stati lasciati liberi di scegliere, potendo applicare una maggiorazione dello 0,8 per mille proprio per finanziare le detrazioni, e si sono sbizzarriti con la fantasia. A conti fatti, però, le agevolazioni sono state drasticamente tagliate.

Solo il 35,9% dei Comuni ha previsto uno sconto. Il 15% ha optato per una detrazione fissa, il 19% le ha legate alla rendita catastale della casa, e solo il 13,3% del totale (appena 869 Comuni) le ha concesse per i figli a carico, e quasi in tutti i casi solo a partire dal terzo o quarto figlio. Uno sparuto gruppo di 37 Comuni ha tarato le agevolazioni sul reddito del proprietario, altri 173 si sono affidati all’Isee. Ma solo 179 hanno tenuto conto dei figli con handicap, e 146 hanno previsto sconti in base all’età dei proprietari. Premiando i più anziani, over 65 e over 70, quando uno degli effetti dell’Imu era quello di spostare il carico fiscale dalle nuove alle vecchie generazioni.

Quel poco di funzione redistributiva della vecchia Imu, in ogni caso, non c’è più. Un esempio di come sono destinate a cambiare le cose lo fa Paolo Conti, direttore generale del Caf Acli. Con la vecchia Imu del 2012 (nel 2013 è stata sospesa, e solo in alcuni Comuni si è pagato una quota minima) su una prima casa con valore catastale di 60 mila euro, tassata all’aliquota massima del 4 per mille, si pagavano 40 euro: 240 d’imposta meno i 200 della detrazione fissa. Se ci fosse stato anche solo un figlio, addirittura niente. In un Comune dove non sono previste detrazioni, e sono i due terzi del totale, con la Tasi al 2 per mille (il tetto massimo è il 2,5), quest’anno si pagheranno 120 euro. Al contrario, una casa di abitazione più lussuosa, con un valore di 150 mila euro, se pagava 400 euro di Imu (600 di imposta meno 200 di detrazione), domani pagherà 300 euro di Tasi.

Nei Comuni che hanno optato per le detrazioni è molto più difficile capire fin d’ora, basandosi sulle carte, come andrà a finire. Anche perché la maggiorazione poteva essere spalmata anche sulle seconde case, i terreni, gli esercizi commerciali, i capannoni industriali, dove la Tasi si somma all’Imu, e dove i sindaci, ad ogni buon conto, non hanno rinunciato a fare cassa. Là dove l’Imu non era già ai livelli massimi, e dunque si potevano alzare le tasse, in tanti ci hanno infilato anche la Tasi: metà dei Comuni ha «arrotondato» con la Tasi l’Imu sulle seconde e terze case, sugli esercizi commerciali e gli studi professionali, sulle aree edificabili, sugli immobili agricoli, sui capannoni industriali. Pochissimi, appena il 5%, hanno assimilato alla prima casa gli immobili concessi in comodato ai figli. La metà dei Comuni, piuttosto, ha imposto la Tasi anche sulle case affittate, colpendo anche gli inquilini. Pagheranno, in media, poco meno del 20%. Molti, tra l’altro, ne sono ignari. Ed è un’altra complicazione, perché inquilini e proprietari dovranno provvedere ciascuno per proprio conto ai calcoli e al pagamento della Tasi. Se l’inquilino non paga la sua quota, riceverà prima o poi una cartella esattoriale, ma dopo esser stata esclusa, ora è prevista la responsabilità solidale dei proprietari, che alla fine potranno esser chiamati a pagare.

Ogni anno sulle famiglie fardello fiscale da 15.330 euro. Con Tasi e Iva peserà di più

Ogni anno sulle famiglie fardello fiscale da 15.330 euro. Con Tasi e Iva peserà di più

Roberto Petrini – La Repubblica

La montagna di tasse e contributi, pari a 15.330 euro l’anno, che grava sulle spalle degli italiani sposta in avanti il cosiddetto «tax freedom day». Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, con una pressione fiscale che per il 2014 è destinata a toccare il record storico del 44 per cento, quest’anno i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino alla prima decade di giugno: precisamente l’11 giugno, cioè 161 giorni. Ben 12 giorni in più di quanto avevano fatto nel 1995, quando, però, la pressione fiscale era inferiore di oltre 3 punti percentuali.

Del resto, sempre secondo la Cgia, su ogni famiglia italiana grava un carico fiscale medio annuo di quasi 15.330 euro: considerando l’Irpef e le relative addizionali locali, le ritenute, le accise, il bollo auto, il canone Rai, la tassa sui rifiuti e i contributi a carico del lavoratore. Ogni nucleo famigliare versa all’erario, alle Regioni e agli enti locali mediamente 1.277 euro al mese: un importo che, dice la Cgia, corrisponde allo stipendio medio percepito mensilmente da un impiegato. Nel 2013, spiega il presidente del centro studi Giuseppe Bortolussi, grazie all’abolizione dell’Imu sulla prima casa, il prelievo medio annuo era sceso a 15.329 euro: ben 325 euro in meno rispetto a quanto versato nel 2012. Per l’anno in corso, invece, il gettito è destinato ad aumentare ancora a causa dell’introduzione della Tasi e degli effetti legati all’aumento dell’aliquota Iva avvenuto nell’ottobre scorso.

Intanto si avvicina la data del versamento della Tasi. Secondo la Confedilizia sono più di cinquemila, precisamente 5.050, i Comuni che hanno emanato dopo il 31 maggio le delibere relative al pagamento della tassa sugli immobili. Tra le grandi città compaiono Roma, Palermo, Firenze, Trieste. La questione fiscale è nell’agenda del governo. «Per stabilizzare gli 80 euro bisogna evitare l’errore fatto con l’Imu», ha detto il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, a margine del Meeting Confesercenti. «Un intervento spot – ha aggiunto – che non venne bilanciato da un intervento sulla spesa cosicché la tassa è riemersa sotto altro nome».

Una finanza locale in cortocircuito

Una finanza locale in cortocircuito

Salvatore Padula – Il Sole 24 Ore

Il tormentone della Tasi si avvicina all’ennesima (ma non ultima) scadenza confermando e, anzi, rendendo ancor più evidenti i timori sull’effettivo peso del nuovo tributo sui servizi indivisibili dei Comuni. Le delibere, almeno quelle già approvate in oltre 4mila città (per le scelte sulla Tasi c’è tempo ancora fino a mercoledì), dimostrano senza ombra di dubbio che i sindaci continuano a considerare l’imposizione immobiliare come la via più semplice, anche se affatto indolore per i cittadini-proprietari, per far quadrare bilanci che da anni scontano pesanti tagli ai trasferimenti statali, regole più rigide sul Patto di stabilità interno, nuovi vincoli dettati dalla spending review.

Se è vero, come ricorda spesso Piero Fassino, presidente dell’Anci, che i Comuni tra il 2008 e il 2013 hanno avuto una riduzione di risorse pari a 17 miliardi, tra minori trasferimenti e «contributi al Patto di stabilità interno», allora non è difficile cogliere il senso delle scelte con cui molte città si sono misurate o si stanno misurando. A ciò va aggiunto che la spesa dei municipi – pur con un andamento più virtuoso rispetto a quello di altre amministrazioni – non ha davvero invertito la direzione di marcia: secondo i dati del Siope (uscite per cassa), nel 2013 le spese correnti hanno toccato i 55 miliardi, contro i 48 del 2008, mentre le spese in conto capitale sono scese l’anno scorso a 13 miliardi dai 20 del 2008. Le spese correnti tra il 2008 e il 2013 sono quindi cresciute del 14,5% rispetto a un’inflazione nel periodo dell’11 per cento. Certo, non va scordato che le uscite dei Comuni scontano nel 2013 l’effetto positivo dei piani per i pagamenti dei debiti alle imprese, ma non tutto il differenziale è (purtroppo) finito in quella direzione.

La combinazione di questi fattori spiega – ma non giustifica – il perché di un ricorso così spregiudicato all’utilizzo della leva tributaria. L’anno scorso i sindaci hanno incassato solo per Imu e addizionale Irpef quasi 20 miliardi (rispettivamente, 15,7 e 3,9), ai quali vanno aggiunti i 4,5 ottenuti dallo Stato come “rimborso” per l’Imu non pagata sulla prima casa. Nel 2008 si era ben distanti: 12,6 miliardi tra Ici e addizionale Irpef, più 3,3 di rimborsi Ici prima casa.

Viste le cifre in gioco, l’equazione è presto scritta: meno finanziamenti dallo Stato, spesa difficilmente contenibile, uguale pressione fiscale ai livelli massimi. Anzi, vien da pensare che quest’ultima finisca per diventare la “variabile dipendente”, determinata meccanicamente dall’andamento delle altre due voci. Ed è questa la spirale viziosa che va spezzata. Il rischio che a una riduzione dei trasferimenti e a maggiori vincoli sul Patto di stabilità i Comuni facessero fronte non con politiche di contenimento della spesa ma agendo sull’aumento delle tasse non era così imprevedibile (e anzi era stato ampiamente previsto).

La verità è che è giunto il momento di guardare avanti e uscire dalla vecchia disputa su chi pesa di più tra Imu e Tasi. C’è un sistema di prelievo sugli immobili da ripensare, cogliendo l’occasione della riforma del Catasto, che è importante ma che da sola non rimetterà tutto a posto ed eliminerà solo in parte le storture del prelievo attuale. Allo stesso modo, occorre immaginare meccanismi in grado di correggere la logica per cui lo Stato taglia e riduce, ma scarica sugli enti la responsabilità di trovare nuove risorse, cosa che i sindaci fanno puntualmente agendo sulle tasse. Serve, cioè, un progetto organico di finanza locale, non estemporaneo, capace di definire con chiarezza i rapporti tra centro e periferia. Ma capace anche di incidere realmente sulla spending review, di agire sugli sprechi e di restituire efficienza agli enti locali.

Imu, Tasi e Tari: il percorso (impossibile) delle tasse sulla casa

Imu, Tasi e Tari: il percorso (impossibile) delle tasse sulla casa

Gino Pagliuca – Corriere della Sera

È cominciato l’autunno delle tasse sulla casa. Da qui a metà dicembre infatti il calendario è punteggiato di appuntamenti che riguarderanno in pratica tutti coloro che occupano un’abitazione. Tre sono i tributi che incombono: la Tasi, a carico del proprietario se la casa non è locata, altrimenti va suddivisa tra proprietario (che deve pagare tra il 70 e il 90%) e l’inquilino; la Tari (tassa sui rifiuti) dovuta da chi occupa l’immobile; l’Imu, sempre a carico del proprietario. Oltre al danno c’è spesso la beffa: oltre a dover pagare, molti contribuenti dovranno farlo in tempi stretti perché le amministrazioni comunali se la stanno prendendo comoda con le delibere delle tariffe. Dal data base presente sul sito del ministero delle Finanze ieri risultava infatti che su un complesso di 8.057 Comuni italiani sono state pubblicate 3.243 delibere Imu, 4.567 delibere Tasi e 2.982 delibere Tari. Ma vediamo che cosa succederà nei prossimi mesi tributo per tributo.

Tasi: il rebus di acconti e saldi
E cominciamo dalla Tasi, la nuova tassa sui servizi indivisibili. Per i tempi di pagamento bisogna tener conto dell’epoca della pubblicazione della delibera sul sito www.finanze.it. Nei circa duemila Comuni in cui le amministrazioni sono riuscite a pubblicare entro fine maggio e che non abbiano deciso tempistiche diverse, i contribuenti hanno già pagato la prima rata entro il 16 giugno e dovranno versare il saldo entro il 16 dicembre. Nei Comuni che avranno deliberato le aliquote tra inizio giugno e il 10 settembre, con pubblicazione entro il 18 settembre, i contribuenti dovranno versare la prima rata entro il 16 ottobre e il saldo il 16 dicembre. In questa situazione si trovano, tra gli altri, i proprietari di casa di Milano e di Roma. Ci sono però ancora circa 3.500 amministrazioni che hanno solo poco più di due settimane di tempo per deliberare. Nei Comuni che infine non pubblicassero entro il 18 settembre la delibera, si pagherà tutto a saldo il 16 dicembre: i proprietari di abitazione principale dovranno pagare sulla base dell’aliquota dello 0,1%; sugli immobili diversi dall’abitazione principale invece si pagherà lo 0,1% solo se l’aliquota Imu non supera lo 0,96%, altrimenti si pagherà un’aliquota che sommata a quella dell’Imu arrivi all’1,06% (esempio se l’aliquota Imu 1,03%, la Tasi sarà allo 0,03%). Siccome si parla tanto in questi mesi di semplificazioni diciamo che in questo campo c’è molto spazio per esercitarsi. La base imponibile della Tasi è la stessa dell’Imu ma il meccanismo delle detrazioni per la prima casa è diverso da quello del vecchio tributo perché i Comuni hanno un’ampia discrezionalità nel determinare le agevolazioni. Per questo se si vuol fare da sé (i comuni non mandano infatti i modelli F24 precompilati) è necessario leggere attentamente la delibera sul sito del ministero. Da mesi infuria la polemica se la Tasi sulla prima casa sia più cara rispetto all’Imu. Una risposta univoca, basata su medie alla Trilussa, non sarebbe attendibile. Rimane però chiaro che il meccanismo della Tasi è più «regressivo» rispetto a quelle dell’Imu, nel senso che favorisce i proprietari di immobili di alto valore fiscale e penalizza le case piccole. Nella tabella che abbiamo elaborato si evidenzia, ad esempio, che una casa civile di 70 metri quadrati a Milano paga 228 euro, 63 in più rispetto all’Imu 2012; un’abitazione medio signorile di 120 metri, invece, paga 530 euro, con un risparmio di 118 rispetto a due anni fa. A Roma, dove l’aliquota Imu era dello 0,5%, si risparmia praticamente sempre. Tra le città da noi considerate il peggiore aggravio l’avrà Frosinone: per la casa da 70 metri nel 2012 il proprietario non pagava e ora dovrà sborsare 121 euro.

Tari: la caccia alla posizione tributaria
Minori incombenze per la Tari, nuove denominazione della tassa sui rifiuti. Per pagare bisogna infatti aspettare la richiesta del Comune: di norma viene calcolata una prima parte in acconto sulla base della tariffa del 2013 e il saldo a conguaglio sulla base della tariffa nuova. Ai Comuni è lasciata anche per quest’anno la facoltà di usare, adeguandole, le vecchie tariffe Tarsu ma la maggior parte delle amministrazioni già lo scorso anno aveva adottato un sistema di determinazione dei costi per il residenziale basato sull’incrocio tra numerosità del nucleo familiare e superficie dell’alloggio. Il calcolo, una volta che si disponga della delibera, non è particolarmente complesso ma farselo non servirebbe a nulla. Per pagare infatti è necessario indicare nel modello F24 il numero della posizione tributaria di cui evidentemente non si dispone. Nei Comuni che non hanno variato metodologia di calcolo la tariffa è rimasta simile a quelle del 2013. Da un’analisi di Federconsumatori emerge che una famiglia con tre persone in una casa di 100 metri quadrati a Milano quest’anno risparmierà 7 euro, a Roma pagherà lo stesso e a Lodi spenderà 49 euro in più. Al saldo della tassa del 2013, però, si era pagato un contributo fisso (pari a 0,30 centesimi per metro quadrato) a titolo di contributo per i servizi indivisibili, ora è assorbito dalla Tasi.

Imu: percorso collaudato
Nessuna novità infine per l’Imu, che si paga ancora per le abitazioni principali di categoria A/1, A/8 e A/9 e per tutti gli immobili diversi dalla abitazioni principali. Nelle grandi città l’aliquota era già al massimo nel 2013 e non potrà aumentare. Se il Comune non delibera si paga sulla base dell’aliquota 2013. La prima rata è stata versata il 16 giugno, la scadenza del saldo è fissata per il 16 dicembre. Chi possiede un’abitazione non affittata nello stesso comune in cui ha anche l’abitazione principale dovrà pagare anche l’Irpef sul 50% del valore catastale dell’immobile a disposizione. Per il saldo però potrà aspettare la liquidazione dell’Unico o del 730, a giugno 2015.

Dalla Tasi meno incassi rispetto alla vecchia Imu

Dalla Tasi meno incassi rispetto alla vecchia Imu

Antonio Pitoni – La Stampa

Per carità, il dato e ancora parziale e riguarda solo 2.178 comuni italiani. Circa un quarto del totale. Ma dopo le polemiche che avevano investito la transizione dalla vecchia Imu alla nuova Tasi è certamente sorprendente. Perché nelle amministrazioni che hanno già deliberato (entro la prima scadenza del 23 maggio) l’aliquota del nuovo tributo, il gettito stimato a fine 2014 sulle prime case è di 1,2 miliardi di euro, il 29,3% in meno rispetto agli 1,6 miliardi del 2012, ultimo anno in cui si pagava ancora l’Imu. Mentre i versamenti sulle seconde case e sugli «altri immobili» fanno registrare una sostanziale stabilità, con una crescita dello 0,15% (11 milioni). Insomma, almeno per ora, chi aveva ventilato il rischio di rincari e nuove stangate con il passaggio alla Tasi, sembra essere stato smentito. Ma è bene precisare che si tratta, per adesso, solo di una tendenza. Dal momento che mancano ancora all’appello i dati dei restanti Comuni (circa i tre quarti del totale). Quelli che, verosimilmente, aumenteranno le aliquote per far quadrare i bilanci. Ed è molto probabile che il gettito complessivo torni a salire compensando parte di quel gap di quasi il 30% che oggi separa, per difetto, gli introiti della Tasi rispetto all’Imu. Insomma, una buona notizia per i cittadini, certamente meno per le amministrazioni.

Se mancano scelte decise

Se mancano scelte decise

Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore

La realtà è complessa, e cercare parametri che siano in grado di abbracciarla tutta è una sfida impossibile. La vicenda dell’Imu (e ora anche della Tasi) per il Terzo settore lo dimostra bene. Sono stati necessari due anni abbondanti per definire l’attuazione, ora serve una selva di calcoli per capire quanto bisogna pagare e il risultato è sbagliato quando si chiede di sommare, invece che di rapportare fra loro, la percentuale di superficie e la quota di tempo (o di utilizzatori) occupate dalle attività commerciali. Manca un’altra prova, cioè la pioggia di ricorsi che accompagneranno gli accertamenti inevitabilmente ballerini, ma le premesse ci sono tutte e sembra solo questione di tempo. Riassumiamo: in tutti i casi di utilizzo “misto”, dalla parrocchia con sala conferenze all’ospedale con il bar e l’edicola, per capire l’imponibile bisognerà calcolare la quota di superficie occupata dall’attività commerciale, la parte di tempo o di utenti (come?) a cui è destinata, e poi inopinatamente sommarle. Il risultato è una sproporzione evidente fra la complessità dei calcoli, spesso basati su criteri non verificabili, e l’esiguità del gettito che ne verrà fuori. A creare il problema è stata la politica, che non ha voluto assumere scelte chiare su un tema spinoso e ha costretto quindi a inerpicarsi su un sentiero tortuoso di criteri e variabili ingestibili. Sarebbe stato meglio, allora, definire un’Imu ultraleggera, per esempio il 10% di quella ordinaria, per gli utilizzi misti, che probabilmente avrebbe avuto gli stessi risultati per i bilanci pubblici ma avrebbe evitato l’ennesima sfida burocratica ai contribuenti. Questa, però, sarebbe stata una scelta precisa.