Matteo come Cirino Pomicino
Keyser Söze – Panorama
È diventato il grande imbuto del governo Renzi. Quello che il premier indica come l’appuntamento in cui si risolveranno tutti i problemi e tutti i mali. Si tratta della legge di stabilità. A sentire l’inquilino di Palazzo Chigi la questione dei precari della scuola troverà una soluzione lì. Sempre lì si troveranno anche i soldi per rilanciare le grandi opere e, magari, anche il modo per allargare la platea degli 80 euro, totem per eccellenza del verbo renziano. Il rischio è che la prima legge di stabilità renziana sia scritta secondo i codici democristiani di un tempo, secondo la furbizia del gioco delle tre carte che fu la filosofia del ministro andreottiano per eccellenza, Paolo Cirino Pomicino. Anche lui grande estimatore dell’arte del rinvio. «Renzi discepolo di Pomicino» inorridisce l’azzurro Daniele Capezzone «è un’immagine che si attaglia al momento». Un epilogo che molti danno per scontato. Basta dare un’occhiata allo stato della nostra economia. Delle due l’una: o la legge di stabilità diventa il presupposto di quel lungo elenco di riforme che Renzi finora ha solo enunciato, il che significa un provvedimento severo e impopolare; o si trasforma in un grande minestrone, in cui il prestigiatore di Palazzo Chigi mescola le promesse, i sogni, gli impegni presi in una confusa melassa insapore, che serve solo a confondere ancora gli italiani. Inutile dire che l’ipotesi più probabile sia la seconda.
Tutti i protagonisti della politica, estimatori o meno del premier, su un dato si trovano d’accordo: Renzi non persegue una strategia chiara. «O meglio» si infervora Pier Luigi Bersani «non l’ha proprio». «Le sue proposte» ammette Silvio Berlusconi «sono ben al di sotto della tragica crisi che stiamo vivendo». «Invece di elencare una riforma al giorno» dice Sergio Marchionne «basterebbe che si concentrasse solo su tre: lavoro, certezza del diritto, burocrazia». Ma Renzi è nelle condizioni di farlo? Probabilmente no: l’autunno caldo sottoporrà il Pd al richiamo della foresta del sindacato, della piazza. E l’assenza di una strategia economica e di una formula politica definita renderà difficile anche l’aiuto del Cav: se Berlusconi non accetterà di rappresentare una vera alternativa a Renzi, qualcun altro ci proverà visto che l’establishment italiano è affollato di disoccupati di lusso. Corrado Passera docet. E il premier, come reagirà? Rilancerà sul piano dell’immagine, ma nella sostanza rinvierà ancora. In fondo la scuola democristiana è nel suo Dna.