Ai minimi la fiducia delle imprese
Luca Orlando – Il Sole 24 Ore
Scegliete un dato, uno qualunque. Perché sia che si tratti di prodotto interno lordo o produzione industriale, di domanda interna o export, di erogazione di credito o investimenti, le conclusioni sono pressoché identiche: l’economia italiana va male. Si può discutere sui dettagli, aggrapparsi a qualche zero virgola di differenza nelle stime sul Pil 2014, ma il senso delle statistiche offre in realtà un quadro omogeneo e negativo, rimandando a data da destinarsi ogni possibilità di ripresa.
In un quadro fosco l’ottimismo diventa merce rara. E così, per il secondo mese consecutivo, la fiducia delle imprese ingrana la retromarcia tornando a ridosso dei livelli di inizio anno, a quota 86,6. Ancora peggio il dato della manifattura, dove l’indice arretra per la quarta volta di fila: per trovare un livello più basso occorre tornare ad agosto 2013. Una discesa corale dove cedono terreno industria e servizi, commercio e costruzioni, accomunati dalla debolezza della domanda. Alla cronica assenza del mercato interno si aggiunge infatti ora anche la stasi dell’export, capace di generare nei primi sette mesi dell’anno un magro progresso dell’1,3%, quasi certamente da ritoccare al ribasso alla luce dei pessimi dati extra-Ue di agosto.
Per la prima volta dall’inizio del 2013 i giudizi sui ricavi oltreconfine sono negativi mentre le attese volgono al peggio, appesantite senza dubbio non solo dal rallentamento del commercio mondiale indicato dalla Wto ma anche dai focolai di guerra e dalle tante crisi che si sviluppano attorno a noi, a cominciare da quella aperta con Mosca. Fiducia in calo soprattutto perché osservando il portafoglio ordini le aziende continuano a vedere nero, soprattutto in casa: a considerare “alto” il livello degli ordini nazionali è una sparuta pattuglia, il 5% del campione tra le realtà manifatturiere, mentre all’estremo opposto, insoddisfatte del livello attuale delle commesse interne sono ben 43 imprese su 100. Appena un poco meno sbilanciato il dato se la domanda riguarda l’economia nazionale, vista in crescita da sei aziende su 100, in calo da 28.
Sulla manifattura pesa come un macigno il rallentamento della produzione industriale, tornata dopo otto mesi di oscillazioni esattamente sugli stessi livelli di un anno fa. Risultato poco brillante per chi deve recuperare un 25% di gap rispetto ai valori pre-crisi, anche se forse su una crescita “zero” altri comparti metterebbero la firma. A cominciare dalle costruzioni, la cui fiducia scende per il secondo mese consecutivo dopo un timido tentativo di rimbalzo estivo. Del resto si tratta del comparto che forse più di altri ha pagato il crollo della domanda, per definizione solo interna, con una caduta produttiva che ancora procede a doppia cifra, giù del 10,2% a luglio. Rispetto al 2010 manca all’appello il 27% del mercato e a cascata questo provoca ondate telluriche sui tanti settori legati al mattone: dalle caldaie alle piastrelle, dagli infissi ai rubinetti, iniziando ovviamente dal cemento. I cui consumi a fine anno dovrebbero scendere in Italia al di sotto dei 20 milioni di tonnellate, un livello che non si vedeva nel Paese dall’inizio degli anni ’60.
Ottimismo in fase calante anche nel settore del commercio al dettaglio dove ormai l’unico canale a resistere è quello dei discount. Ed è proprio qui, tra i commercianti, che si verifica l’arretramento maggiore dell’indice, un calo di oltre cinque punti che riporta indietro le lancette di quasi un anno. Un dato brutto, quello di settembre, che secondo l’economista di Intesa Sanpaolo Paolo Mameli non solo rende ora «molto probabile» un calo del Pil italiano nel terzo trimestre ma mette anche a rischio la previsione di una ripresa dell’attività economica nell’ultima parte dell’anno.