massimo blasoni

Certificati di malattia: i dipendenti pubblici si ammalano in media quasi il doppio dei dipendenti privati

Certificati di malattia: i dipendenti pubblici si ammalano in media quasi il doppio dei dipendenti privati

I circa 3,2 milioni di dipendenti pubblici si ammalano in media quasi il doppio delle volte dei circa 14 milioni di dipendenti privati registrati presso l’INPS. Lo dimostra una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro condotta su elaborazione dei dati raccolti dall’Istituto Nazionale di Previdenza.

Grazie a una riuscita riforma organizzativa delle modalità di trasmissione dei certificati di malattia, promossa dall’allora ministro della PA e Innovazione Renato Brunetta, dall’aprile del 2010 tutti i lavoratori dipendenti non sono più costretti a inviare a proprie spese i loro certificati di malattia tramite due raccomandate all’INPS e al proprio datore di lavoro. A sbrigare questa pratica tramite il proprio pc sono adesso i medici di famiglia e ospedalieri, che hanno finora trasmesso via web all’INPS più di 71,5 milioni di documenti: 2,6 milioni nel 2010 (periodo in cui il sistema telematico non era ancora entrato a regime), 16,4 milioni nel 2011, 17,2 milioni nel 2012, 17,8 milioni nel 2013 e 17,5 milioni nel 2014.

Dal 2011 al 2014 le giornate di malattia nel settore privato sono state all’incirca 312 milioni 134 mila, mantenendosi stabili ogni anno dopo aver registrato un calo iniziale di 2,4 milioni dal 2011 al 2012 (79,8 milioni nel 2011, 77,4 milioni nel 2012, 77,6 nel 2013 e 77,1 milioni nel 2014). Nello stesso periodo di tempo sono invece costantemente aumentate le giornate di malattia nel settore pubblico, per un totale di oltre 116 milioni 770 mila (25,8 milioni nel 2011, 28,5 milioni nel 2012, 30,7 milioni nel 2013 e 31,5 milioni nel 2014). Limitando l’analisi ai certificati per malattia trasmessi nel 2014, si registra rispetto all’anno precedente un calo del 3,2% nel settore privato e un lieve aumento dello 0,8% nella Pubblica pubblica amministrazione.

Osservando meglio questi dati si osserva poi un dato curioso: dal 2010 a oggi il giorno della settimana in cui ha inizio la malattia è sempre stato di gran lunga il lunedì. Una circostanza confermata anche nel 2014, che ha registrato in quel giorno 22 milioni 994mila giornate di malattia per il settore privato (29,8%%) e 8 milioni 888mila giornate di malattia per la pubblica amministrazione (28,2%).

Massimo Blasoni, imprenditore e presidente del Centro studi ImpresaLavoro, osserva infine che «i dati Inps segnalano come il numero medio di eventi di malattia e la loro durata aumentano con l’aumentare della dimensione aziendale: è un segnale evidente del fatto che le assenze dal lavoro nel settore privato, sopratutto nelle piccole imprese, sono limitate anche da eventuali sanzioni che arrivano dagli stessi colleghi. Nel pubblico impiego, invece, i controlli e le censure sembrano essere molto meno efficaci: solo così si può spiegare un’incidenza delle giornate di malattia per lavoratore quasi doppia rispetto al settore privato».

Immigrati, le risorse da Bruxelles sono inadeguate

Immigrati, le risorse da Bruxelles sono inadeguate

Massimo Blasoni – Metro

Quanto spendiamo ogni anno per salvare e accogliere profughi e clandestini? Sembra incredibile ma non esiste ancora una contabilità ufficiale. Eppure il fenomeno riguarda ormai 300mila persone sbarcate in due anni e quasi 100mila migranti ospitati nei nostri centri di accoglienza. Uno studio di ImpresaLavoro, pubblicato integralmente sul nostro sito, ha provato a colmare questo deficit di trasparenza.

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Su Bot e Btp troppe tasse

Su Bot e Btp troppe tasse

di Massimo Blasoni – Metro

Prestare soldi allo Stato non conviene più. Anzi, le famiglie italiane che continuano a investire parte della loro ricchezza in Bot o Btp ci stanno addirittura rimettendo, spesso senza rendersene nemmeno conto. Vediamo di capire perché. Negli ultimi tempi si è assistito a un sempre maggiore calo nei rendimenti dei titoli del debito pubblico italiano per effetto delle misure straordinarie adottate dalla Bce in risposta alla crisi dei Paesi periferici scoppiata nel 2011: taglio dei tassi fino allo 0,05%, operazioni straordinarie di rifinanziamento a più lungo termine (Ltro e Tltro) nonché acquisto di titoli pubblici sul mercato (Quantitative Easing). Risultato? Un risparmio notevole per il Tesoro ma anche un calo drastico della redditività di tale investimento nelle tasche delle famiglie italiane che, secondo i dati Bankitalia relativi a fine 2013, detengono in titoli di Stato ben 180,8 miliardi di euro della loro ricchezza (il 4,7% del totale).

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Enti Pubblici e produttività privata

Enti Pubblici e produttività privata

di Massimo Blasoni – Il Tempo

Nel nostro Paese gli enti pubblici proliferano e non di rado prendono le sembianze di una gramigna che soffoca il bilancio dello Stato. Per intenderci, tra questi si annovera ancora (vai a capire perché) anche l’Unione Italiana Tirassegno… Una qualche riflessione meritano però anche altre istituzioni, le cui funzioni appaiono spesso ridondanti e costose. È il caso dell’Automobile Club Italiano, che dal 2012 riveste una duplice veste: da un lato è un ente pubblico non economico senza scopo di lucro a base federativa (in relazione alla gestione del pubblico registro automobilistico e all’acquisizione dei relativi contributi); dall’altro è una federazione sportiva automobilistica privata riconosciuta a livello internazionale. L’Aci ha 106 sedi provinciali, 13 direzioni regionali e 3.500 dipendenti a libro paga – in esubero in molte sedi provinciali – che costano oltre 158 milioni di euro l’anno. Per tenere aggiornato il Pubblico Registro Automobilistico (PRA), che contiene le informazioni relative alle proprietà dei veicoli in circolazione, riceve ogni anno dagli automobilisti italiani compensi per 190 milioni di euro. Peccato che, attraverso la Motorizzazione Civile, il Ministero dei Trasporti gestisca in contemporanea l’Archivio Nazionale dei Veicoli (ANV), che registra i dati dell’omologazione fino alla cessazione della circolazione.

A noi pare una ragione più che sufficiente perché il Governo si decida finalmente a predisporre un’unica Banca dati nazionale per la circolazione e la proprietà dei mezzi automobilistici, come peraltro correttamente dispone la legge di riforma della Pubblica Amministrazione. Non si vede però cosa sostanzialmente potrebbe cambiare se tutti i dipendenti Aci dovessero essere travasati in una nuova agenzia del Ministero. I veri e sostanziali incrementi di produttività e diminuzione dei costi si potrebbero realizzare soltanto con l’applicazione di un classico principio liberale: mantenere pubblica una funzione (in questo caso la tenuta di un registro dei veicoli) ma affidarne la gestione operativa a operatori privati. Gli automobilisti italiani beneficerebbero così di significativi risparmi per la tenuta del PRA e la riscossione dei tributi grazie a società in concorrenza tra loro, che impiegano razionalmente il proprio personale e si sfidano sul terreno dell’innovazione tecnologica degli strumenti informatici.

Ammortizzatori sociali troppo onerosi in Italia

Ammortizzatori sociali troppo onerosi in Italia

di Massimo Blasoni – Metro

Nel 2014 la nostra spesa per ammortizzatori sociali è stata pari a 22 miliardi 976 milioni di euro, con un saldo negativo di 13 miliardi 824 milioni a carico della fiscalità generale dello Stato. Anche questa volta il sistema è stato pertanto finanziato solo parzialmente dalle imprese (per una quota di 9 miliardi 152 milioni di euro), chiamate a contribuire a diverso titolo e in base a norme specifiche a seconda della diversa tipologia di intervento.

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Le sfide del lavoro e il sistema scolastico

Le sfide del lavoro e il sistema scolastico

di Massimo Blasoni – Il Tempo

Un recente rapporto del Labor Department degli Stati Uniti ha spiegato che studiare potrebbe non essere più sufficiente per garantirsi un posto di lavoro adeguato. Il 65% dei ragazzi che oggi siede su un banco di scuola si troverà a fare un lavoro che ancora non esiste. La tecnologia sta provocando un mutamento storico del mercato del lavoro: è già successo in passato (si pensi alla Rivoluzione industriale) ma mai con questa rapidità.

Il sistema scolastico appare oggi inadatto ad affrontare queste sfide. Diventa fondamentale modificare il modo in cui si affrontano e si risolvono i problemi, passando da un sistema di insegnamento fondato sul trasferimento di nozioni a uno capace di trasmettere metodo e di incentivare creatività e capacità di adattamento. Se stiamo parlando di qualcosa che ancora nemmeno esiste dobbiamo anche avere l’umiltà di ammettere che non serve immaginare percorsi di formazione specifici e basati su un mondo che non esiste. Dobbiamo invece abituare studenti e lavoratori all’idea che, fornite le basi tecniche e di conoscenza, l’apprendimento non è più una fase della vita circoscritta alla giovinezza ma deve diventare un aspetto con cui convivere sempre.

Chi oggi frequenta un qualsiasi corso di informatica sa già che sta incamerando informazioni che probabilmente saranno ormai superate quando avrà finito il suo percorso scolastico: vale per chi siede su un banco del primo anno del liceo scientifico così come per chi sta sostenendo il primo esame universitario di ingegneria informatica. I neolaureati o neodiplomati in materie informatiche o statistiche hanno iniziato la loro formazione quando su LinkedIn, il popolare social network dedicato ai professionisti, erano iscritti 89 sviluppatori di applicazione per iPhone, 53 sviluppatori di applicazioni per Android, 25 esperti in gestione di social network, nessun analista di Big Data e 195 specialisti in servizi cloud. In meno di un lustro questi posti di lavoro si sono moltiplicati: gli sviluppatori di app per iPhone sono 142 volte quelli del 2009, quelli che si occupano di sviluppare applicativi per Android 199 mentre gli esperti di Big Data sono oggi 3.340 volte quelli di allora. Nessuno dei loro professori gli aveva mai spiegato che con un telefono si sarebbe potuto operare sui conti correnti bancari, ascoltare musica o che l’analisi dei dati avrebbe aiutato i Governi di tutto il mondo a migliorare le proprie scelte di politica pubblica.

Tasse, ancora timida la Legge di Stabilità

Tasse, ancora timida la Legge di Stabilità

di Massimo Blasoni – Metro

Puntuale come ogni anno, ecco irrompere il dibattito sulla Legge di Stabilità. Il premier e il ministro dell’Economia, dopo averne inviato in sede europea una sintesi molto succinta, hanno illustrato i suoi principali contenuti sotto forma di slide dalla grafica accattivante. A quel punto hanno iniziato a rincorrersi le dichiarazioni di deputati e senatori, che a seconda della loro collocazione politica ne elogiano o criticano l’impostazione. Solo dopo una settimana il testo è approdato finalmente in Parlamento e al solito verrà emendato in maniera significativa durante il suo iter di approvazione. Col risultato che i cittadini si ritroveranno con un provvedimento assai diverso da quello presentato.

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Debiti Pa: nel 2014 il mancato pagamento è costato alle imprese 6,4 miliardi

Debiti Pa: nel 2014 il mancato pagamento è costato alle imprese 6,4 miliardi

I dati illustrati oggi da Bankitalia (in un paper che cita tra le sue fonti anche una ricerca di ImpresaLavoro) confermano purtroppo l’analisi da noi elaborata diverse settimane or sono. Nonostante le ripetute promesse, il governo di Matteo Renzi non ha affatto risolto l’ingente stock di debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese fornitrici, che resta secondo Bankitalia pari a ben 71,6 miliardi di euro.
Ne consegue altresì che il ritardo del Governo nel pagamento di questi debiti sia costato nel 2014 alle imprese italiane la cifra di 6,4 miliardi di euro. Questa stima è stata effettuata prendendo come riferimento il costo medio del capitale che le imprese hanno dovuto sostenere per far fronte al relativo fabbisogno finanziario generato dai mancati pagamenti. Elaborando i dati trimestrali di Bankitalia, stimiamo pertanto che questo costo sia stato nel 2014 pari all’8,97% su base annua (in leggero calo rispetto al 9,10% nel 2013).
A questa grave situazione se ne aggiunge anche un’altra che potenzialmente sarebbe ancora più grave: se lo Stato italiano dovesse infatti adeguarsi alla direttiva europea sui pagamenti della Pa e riconoscesse ai creditori gli interessi di mora così come stabiliti a livello comunitario, le casse dello Stato sarebbero gravate da un esborso fino a 4,1 miliardi di euro.
Il fenomeno dei ritardi di pagamento della nostra PA assume dimensioni che non hanno pari rispetto ai nostri partner europei. Per pagare i suoi fornitori lo Stato italiano impiega 41 giorni in più della Spagna, 50 giorni in più del Portogallo, 82 giorni in più della Francia, 115 giorni in più della Germania e 120 giorni in più del Regno Unito.
Osserva Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro: «Questi dati assumono ancor più rilevanza se ricordiamo – come attesta il report “European Payment 2015″ di Intrum Justitia – che il 38% delle nostre imprese si dichiara disposta a effettuare più assunzioni a fronte di un miglioramento significativo dei tempi di pagamento».
Gli stranieri costano due miliardi l’anno

Gli stranieri costano due miliardi l’anno

di Andrea Morigi – Libero

Nel 2015 l’emergenza migranti potrebbe costare all’Italia 2,1 miliardi di euro. Cifra che dovrebbe salire ad almeno 2,6 miliardi il prossimo anno. Lo rivela un’indagine pubblicata da Panorama sul numero in edicola e realizzata del centro studi lmpresaLavoro, che ha cercato di calcolare in modo analitico, voce per voce, ogni singola spesa che riguarda il fenomeno immigrazione: nonostante l’emergenza coinvolga 300mila persone sbarcate in due anni e quasi 100mila migranti ospitati nei centri di accoglienza italiani, non è stata ancora istituita una contabilità analitica dei costi sostenuti.
La più importante voce di costo è quella dell’accoglienza in senso stretto, cioè il vitto e alloggio, a cui va aggiunto il sussidio quotidiano che si somma alle spese di mantenimento, dei soggetti per cui si è provveduto allidentificazione e all’inserimento nelle liste di coloro che hanno richiesto asilo: un importo di circa 643 milioni per l’anno scorso, destinato a diventare di quasi 1,3 miliardi a fine 2015. Al secondo posto le spese militari, che si aggirano sui 400 milioni. Al terzo, le spese sanitarie che nel 2015 risulterebbero pari a quasi 290 milioni di euro, in aumento di circa 20 milioni rispetto al 2014 e con un potenziale aggravio di altri 12 milioni per il 2016.
Potrebbe sembrare un bilancio normale o almeno proporzionato al numero degli sbarchi, se in quelle cifre miliardarie non fosse compreso anche un enorme spreco di risorse. Per risparmiare, lo Stato potrebbe intervenire sui tempi per l’esame delle domande di asilo, che si sono notevolmente dilatati. Benché le commissioni territoriali chiamate a occuparsene siano raddoppiate, passando da 20 a 40 rispetto al periodo precedente l’emergenza, le richieste sono quintuplicate e talvolta decuplicate rispetto al passato, a seconda degli anni. E non sempre vi è piena collaborazione da parte dei Comuni, chiamati a integrare le commissioni con loro rappresentanti.
Da qui i ritardi, aggravati dalle inefficienze della macchina amministrativa. Le ricadute sono gravi, non solo in termini finanziari, ma anche di decoro delle persone e di ordine pubblico. Chi presenta domanda di asilo e poi viene lasciato per mesi a trascorrere le sue giornate nell’ozio, in attesa della decisione della Commissione, può più facilmente essere reclutato da gruppi terroristici presenti in Italia o da gruppi criminali. Infine, manca una lista dei «Paesi sicuri», che non vanno ritenuti luoghi di persecuzione o fonte di protezione umanitaria. Disporne, consentirebbe di escludere a priori le richieste di chi proviene da quegli Stati. Senza quell’elenco, invece, le commissioni sono costrette a istruire le domande, perdendo tempo prezioso che potrebbe essere impiegato a favore dei veri rifugiati. Se la metà degli importi dispersi fosse investita per costituire nuove commissioni, i tempi si ridurrebbero e i benefici riguarderebbero tutti, incluse le casse dello Stato. E comunque, in attesa di far gli hot­spot, il lavoro delle commissioni dovrà essere accelerato. Se si vogliono ricollocare i profughi nel resto del territorio comunitario, bisogna identificarli al più presto.

20151023Libero