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Tre milioni di fantasmi nei sindacati

Tre milioni di fantasmi nei sindacati

Nicola Imberti – Il Tempo

Quando si parla dei numeri del sindacato, bene che vada, si finisce in tribunale. Oppure, come capitato ieri con l’accusa lanciata dall’eurodeputata Pd Pina Picierno nel salotto televisivo di Agorà, si scatena la solita e annosa polemica che ruota attorno ad una semplice domanda: quanti sono veramente i lavoratori iscritti? I numeri, come ha spiegato la Cgil, non sono segreti. Basta visitare i siti delle tre principali confederazioni per sapere che, nel 2013, il sindacato guidato da Susanna Camusso contava 5.686.201 tesserati (26.432 in meno del 2012), la Cisl 4.372.280 (-70.470), la Uil 2.206.181 (+9.739). Ma a questo punto si insinua il dubbio: sono tutti veri?

Rispondere non è semplice. Ci provò due anni fa la Confsal, Confederazione generale dei sindacati autonomi dei lavoratori, che, dati alla mano, lanciò un’accusa non molto distante da quella di Picierno. L’analisi prendeva come base di riferimento gli iscritti 2010 delle cinque confederazioni principali: Cgil, Cisl, Ugl, Uil e Confsal. In totale 16.671.308 lavoratori. Le prime anomalie riguardavano i pensionati. Secondo l’Inps (numeri certificati al 1° gennaio 2012) quelli tesserati dalle cinque sigle sindacali ammontavano a 4.907.363. Aggiungendo quelli Inpdap (427.517) e i 347.195 di altri istituti si arrivava a un totale di 5.682.075. Peccato che Cgil & Co. avessero dichiarato 6.957.126 pensionati iscritti. Esattamente 1.275.051 in più dei dati ufficiali.

Non andava meglio con gli altri lavoratori. Anche se qui, purtroppo, bisognava affidarsi a stime e dati più o meno ufficiali. Come quello che indicava nel 33,8% il tasso medio di sindacalizzazione in Italia. Confsal fissa in 19.650.000 gli impiegati nel settore privato. Applicando il tasso di riferimento elaborava che 6.641.700 di questi erano iscritti al sindacato. Ma anche qui le confederazioni ne avevano dichiarati quasi due milioni in più, esattamente 8.623.585. Una semplice somma ed ecco il risultato choc: esisteva uno scarto di 3.240.051 lavoratori tra quelli dichiarati e quelli che figuravano nelle statistiche ufficiali e certificate. Oltre 3 milioni di «fantasmi» di cui nessuno continua a parlare.

Certo, qualcuno può obiettare che lo studio della Confsal si riferisce a due anni fa. Ma la verità è che ad oggi quella denuncia è rimasta sostanzialmente inascoltata. Erano numeri che avrebbero dovuto aprire una riflessione. Soprattutto perché, in alcuni casi, la discrepanza tra i pensionati «dichiarati» e quelli «certificati» registrava percentuali significative come il +91,08% dell’Ugl (che attaccò duramente lo studio), ma anche un +8,34% della stessa Confsal.

Invece nulla è cambiato. Basta dire che poco meno di un mese fa si è conclusa, con l’assoluzione di tutti gli imputati, una vicenda che sembra confermare le oscure manovre attorno alle tessere sindacali. Una vicenda iniziata nel 2009 quando i carabinieri di Piacenza, dopo un esposto dell’allora segretario Cgil Gianni Coppelli, avevano scoperto che 129 persone erano iscritte a loro insaputa allo Spi-Cgil, il sindacato dei pensionati, subendo ogni mese un prelievo di 6-7 euro (tra di loro anche la madre del giudice per le indagini preliminari). Nel mirino dei magistrati erano finite 5 persone, ma alla fine il pm ne ha chiesto l’assoluzione perché «non è stato possibile stabilire con chiarezza chi abbia iscritto i pensionati». E Piacenza non è l’unico caso di tesseramenti anomali. Lo scorso marzo la Cgil di Grosseto è stata costretta a diramare una nota in cui spiegava di non avere nulla a che fare con dei «tentativi di truffa» in cui qualcuno, non si sa bene chi, cercava di vendere tessere false ad anziani.

Insomma, anche se è difficile capire quanto sia realmente esteso, il problema esiste. E molto spesso, come nel caso di Piacenza, è la stessa Cgil a denunciare che qualcosa non va. Altre volte, invece, se qualcuno come Picierno si azzarda a pronunciare la parola «tessere false» esplode la polemica. E intanto, sullo sfondo, restano 3 milioni di «fantasmi» di cui nessuno vuole parlare.

Matteo e quei sei milioni “buttati”

Matteo e quei sei milioni “buttati”

Nicola Imberti – Il Tempo

Il documento è datato maggio 2012. Qualche settimana dopo, l’8 giugno, Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, avvierà l’iter per le primarie di coalizione. Solo a settembre Matteo Renzi, arrembante sindaco di Firenze, romperà gli indugi e ufficializzerà la propria candidatura.

Dopo mesi passati a «rottamare» ha deciso di giocarsi la sua grande occasione. Se vince sarà lui a guidare il centrosinistra alle elezioni Politiche del febbraio 2013. Renzi è lanciatissimo eppure a maggio il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato del ministero dell’Economia e delle Finanze (il titolare è ancora Mario Monti che a luglio passerà il timone a Vittorio Grilli ndr ), invia un documento che riguarda una «verifica amministrativo-contabile alla Provincia di Firenze».

Il periodo sotto esame è quello in cui Matteo governava, il quinquennio 2004-2009. E il quadro dipinto da via XX Settembre è tutt’altro che entusiasmante. Ci si sofferma, in particolare, sul ruolo giocato da Florence Multimedia, la società esterna nata nel 2005 per volere dello stesso Renzi che ha preso il posto dell’ufficio stampa della Provincia.

L’accusa è pesante. Secondo il ministero dal 2006 al 2009 «sono stati contrattualizzati, nella forma di contratto, convenzione, disciplinare di servizio, affidamenti al lordo per euro 9.213.644,69».

Nessun problema se non fosse che subito dopo si legge: «Ovviamente, non essendo stata prodotta alcuna evidenza documentale a supporto di quanto asserito, si può solo prendere atto». Insomma non ci sono documenti. Per questo la relazione sottolinea che «sarebbe interessante sapere quale grado di contezza abbia avuto l’Organo Consiliare di questi affidamenti “complementari” il cui importo, a ben vedere, triplica quello dei “Contratti di servizio base”».

Tradotto per i non addetti ai lavori il presidente-sindaco, forse all’insaputa dell’istituzione, avrebbe allegramente «buttato» 6 milioni di euro. Non certo una bazzecola. Per altro «ricondotta ad altre fattispecie piuttosto evanescenti (“integrazioni economiche di precedenti contratti” o “affidamenti con contestuale approvazione di un progetto contenente gli elementi essenziali della prestazione”)».

Non avete capito niente? Normale. Nemmeno gli ispettori del ministero. Proprio per questo invitavano a «fornire ulteriori elementi in ordine ai rilievi ancora da regolarizzare». La vicenda, infatti, era iniziata a dicembre del 2011. Ma a maggio restavano dei punti oscuri da chiarire.

Cosa sia successo poi non è dato sapere. C’è un processo avviato davanti alla Corte dei Conti, ma riguarda la nomina di quattro direttori generali (anche di questi si parlava nella relazione del maggio 2012). L’ipotesi è che si sia configurato un danno erariale e la prossima udienza è fissata per settembre.

Ma dei soldi alla Florence Multimedia nessuno ha più parlato. Nel frattempo il «rottamatore» ha perso le primarie del 2012, si è leccato le ferite, è tornato in pista per quelle del 2013, è diventato leader del Pd e poi, per via extraparlamentare, è arrivato a Palazzo Chigi. Un’ascesa fulminea su cui oggi si allunga l’ombra di quei 6 milioni. Il documento del ministero dell’Economia, infatti, dovrebbe essere parte integrante della denuncia che l’avvocato Carlo Taormina, difensore del dipendente comunale Alessandro Maiorano (il «nemico pubblico numero uno» di Renzi), sta preparando e presenterà nei prossimi giorni. L’obiettivo è capire perché quei soldi siano stati spesi e perché, nonostante la richiesta di chiarimenti, nulla si sia mosso. Chissà se stavolta le spiegazioni saranno più convincenti. E documentate.