Il miope abbraccio all’icona
Pierluigi Battista – Corriere della Sera
Il carro di Alexis Tsipras è sempre più affollato di sostenitori del giorno dopo, ma non è solo il consueto e patetico affannarsi nel soccorso del vincitore. Esultano a sinistra e a destra. Marine Le Pen e Matteo Salvini ammirano il «mostruoso schiaffone» assestato all’euro. I partiti che in Europa sono normalmente vituperati come xenofobi ed eurofobi, guardano ad Atene come alla nuova Gerusalemme che sconfiggerà l’euroburocrazia di Bruxelles e le rapaci «oligarchie bancarie». Del resto, oramai le barriere ideologiche del passato paiono molto fragili se in poche ore in Grecia l’estrema sinistra ha fatto un governo con un partito nazionalista che sembra quello del deploratissimo Farage in Gran Bretagna. A sinistra si rincorre il modello Syriza, il nuovo cavaliere che sgominerà il «liberismo selvaggio». Ma anche nel fronte della moderazione riformista di destra e sinistra, se non c’è proprio esultanza, affiora compiacimento. Forza Italia parla di «memorabile lezione». E Matteo Renzi, lungi dal temere la tentazione di una sinistra vecchio stampo che potrebbe sentirsi galvanizzata dal trionfo di Atene, si dice confortato dal possibile appoggio di Tsipras alla battaglia «anti austerità» (anche se l’Italia rischia di vedere svanire i circa 40 miliardi di cui è creditrice con la Grecia).
Ma se è così, per l’Unione Europea si tratta di una disfatta simbolica, e di un pericolo mortale. Come se tutto quello che è stato fatto sinora fosse da buttare in una discarica. E il pareggio di bilancio messo in Costituzione? E le riforme come «compiti a casa» amari ma necessari per superare la bufera? E i parametri da rispettare, i conti da tenere a bada, i debiti pubblici questi sì «mostruosi» da domare? Se, come è stato detto in queste ore, ci si commuove per le note di Bella ciao nelle piazze di Atene come simbolo di «liberazione» dalla dittatura finanziaria, così come quella trascinante canzone è il simbolo della liberazione dalla dittatura fascista, quale immagine dell’Europa esce da questo unanime stringersi al profeta dell’anti austerità Alexis Tsipras?
Il successo di Tsipras sembra funzionare come una ricerca collettiva di autoassoluzione. Se siamo messi così male, così recita il nuovo coro, non è perché abbiamo fatto le cicale nel passato, perché abbiamo accumulato debiti statali spaventosamente elevati, perché non abbiamo tenuto sotto controllo la spesa pubblica, perché nell’Europa soprattutto latina e mediterranea i bilanci in ordine sono stati un concetto un po’ troppo elastico e incompatibile con la ricerca di un consenso voracemente costoso. No, la colpa è «dell’Europa» e segnatamente, inutile girare attorno al vero nucleo che calamita su di sé ostilità e risentimenti sconfinati, della spietata Germania, e anzi, per dare un volto e un bersaglio, «della Merkel», che non è più una persona fisica, ma l’emblema stesso delle nostre difficoltà.
Ma se questo accade è perché l’Europa è stata costruita male, dando il senso di una sovranità usurpata, di una moneta senz’anima, di un carattere privo di ogni base culturale e soprattutto di ogni passione «popolare», come quella che pure ha preso forma nella configurazione moderna degli Stati nazionali e delle democrazie liberali. È questo deficit democratico che l’Europa, se vuole sopravvivere, deve saper guardare con coraggio per colmarne le lacune. Non solo una questione di conti virtuosi e di debiti da onorare. Altrimenti, stritolata dall’eurofobia montante di destra e di sinistra, l’Unione Europea ne uscirà travolta. Non c’è più molto tempo per correre ai ripari.