Cento giorni per mettere in rotta la barca Italia
Carlo Bastasin – Il Sole 24 Ore
Il peggioramento dello scenario economico e il modesto risultato dell’ultima iniezione di credito della Bce hanno suggerito a molti analisti che si stia avvicinando il momento in cui la Banca centrale europea debba ricorrere all’acquisto di titoli sovrani dell’area euro. Sarebbe un errore pensare che l’eventuale intervento della Bce sia il capolinea delle preoccupazioni italiane e che sia sufficiente galleggiare fino ad aggrapparsi a quel salvagente. Infatti, se dietro l’aspettativa dell’intervento della Bce c’è una logica economica abbastanza lineare, perché questa logica prevalga è necessario che si realizzi in Europa un equilibrio politico molto delicato a cui l’Italia dovrà dare un proprio contributo decisivo entro i prossimi cento giorni.
La logica economica è semplice: gli ultimi dati segnalano un nuovo rallentamento nell’attività delle imprese manifatturiere europee. Si spiega così la debole domanda di credito e quindi, in parte, anche lo scarso successo dell’offerta di prestiti della Bce. È poco probabile che le condizioni dell’economia cambino radicalmente entro dicembre quando la Bce offrirà nuovi prestiti a basso costo. Questo fa prevedere che la Banca debba ricorrere in ultima istanza all’acquisto di titoli sovrani con l’obiettivo di modificare la composizione del portafoglio delle banche. Sostituendo i titoli pubblici con nuova liquidità, si porterebbero le banche a utilizzare la liquidità per attività più rischiose come i prestiti alle imprese. In un’analisi pubblicata dalla Sep (Luiss), Lorenzo Bini Smaghi prevede che la domanda di fondi delle banche europee resterà modesta nel medio termine e che ciò comporti una riduzione tendenziale delle dimensioni del bilancio della banca centrale. Come abbiamo osservato venerdì scorso, l’annunciato programma di acquisto di titoli con collaterale (Abs) non servirebbe a incrementare granché il bilancio della Bce.
Il recente rifiuto di Francia e Germania di offrire una garanzia pubblica sulle componenti più rischiose degli Abs riduce sensibilmente, infatti, l’ammontare di titoli che la Bce può acquistare sul mercato aperto. In sostanza, l’unico modo di riportare il bilancio della Bce alle dimensioni del 2012 sarebbe di acquistare titoli di Stato, altrimenti l’impronta della politica monetaria resterebbe ancora restrittiva in una fase di prezzi calanti e lontani dall’obiettivo del 2%. Esistono tuttavia serie obiezioni giuridiche all’acquisto di titoli sovrani da parte della Bce. La minaccia di farle valere davanti alla Corte costituzionale è spesso evocata a Berlino anche da esponenti di governo per giustificare la contrarietà tedesca a nuove azioni della Bce. I vincoli sono in ultima istanza di natura politica: anche se la cancelliera Merkel può godere di una pausa insolitamente lunga nel ciclo elettorale tedesco, la pressione del partito anti-europeo è sempre più forte. “Alternativa per la Germania” si è ormai stabilizzata sopra l’8%, ma può pescare in un bacino del 20-25% dell’elettorato tedesco. Non a caso il “circolo di Berlino”, costituito da “neo-con” della Cdu, spinge il partito della Merkel a rincorrere “Alternativa”, la quale a sua volta si sta spingendo su posizioni ancora più radicali selezionando i nuovi parlamentari regionali tra gli esponenti della destra estrema.
È possibile che all’ultimo momento la cancelliera, come ha già fatto nel 2012, si schieri con la Bce anziché con la Bundesbank e con gli euro-scettici, riconoscendo la necessità che la Banca centrale difenda la stabilità dei prezzi contro il rischio di deflazione. Ma resteranno pur sempre da superare gli ostacoli giuridici, cioè l’obiezione che gli acquisti di titoli pubblici rappresentino un finanziamento degli Stati vietato dai Trattati. Per superare questi ostacoli, in passato la Bce ha potuto intervenire solo quando la crisi era diventata così grave da mettere in pericolo la stabilità dell’area euro nel suo complesso. Solo in tali circostanze, diventano giustificabili interventi che estendono l’interpretazione letterale del Trattato e fanno prevalere l’obbligo di difendere la stabilità della moneta, sia in osservanza dello statuto della Bce, sia per rispettare il requisito posto dalla Corte tedesca alla partecipazione della Germania all’euro e cioè che appunto l’euro fosse una moneta stabile.
Perché le obiezioni politiche e giuridiche siano superabili, in quello che rappresenta un po’ il “mezzogiorno di fuoco” della crisi europea, è necessario che l’Italia si presenti in condizioni coerenti prima dell’acuirsi della crisi. Un Paese incapace di tagliare la spesa e fare le riforme renderebbe insormontabili le obiezioni politiche e quelle giuridiche. Draghi nell’audizione di lunedì al Parlamento europeo ha osservato che in passato gli interventi della Bce sono stati sprecati dagli Stati: la spesa pubblica non è diminuita come doveva e le riforme non sono state realizzate. Uno studio della Dg Ecfin sull’impatto delle riforme osserva che lo slancio dei governi italiani per le riforme si è fermato a metà 2013, nemmeno un anno dopo il primo “salvataggio” di Draghi, e che successivamente si sono visti annunci nella direzione giusta, ma pochi fatti. Il paradosso è invece che per arrivare all’ultima spiaggia bisogna prima mettere la barca in condizioni di navigare, se l’Italia non fosse in grado di sfruttare gli interventi della Bce per ritrovare la crescita, avrebbe sprecato anche l’ultima carta. Ma prima di verificare se la Bce interverrà o meno sui titoli di Stato, dovremo comunque attendere dicembre e gli effetti della prossima tranche di prestiti a lungo termine. È il tempo a disposizione per rimettere a posto la barca. A occhio quindi non abbiamo mille giorni, ma forse poco più di cento.