Tre buchi aperti dal Tfr in busta

Massimo Fracaro e Nicola Saldutti – Corriere della Sera

La liquidazione, per chi ancora ce l’ha, rappresenta da sempre per i lavoratori una retribuzione differita. Una sorta di polizza sul futuro da usare per comprare una casa per le vacanze, far studiare i figli, aiutarli a mettersi in proprio. Il governo, alle prese con la necessità di rilanciare la crescita, sta studiando la possibilità di anticipare l’utilizzo di questo risparmio e, dal primo gennaio 2015, restituirlo direttamente in busta paga (si parla al 50%, forse in via transitoria e per scelta volontaria).

Un cambiamento epocale, con l’obiettivo di rimettere in moto la macchina inceppata dei consumi. Una finalità senza dubbio condivisibile che però suscita alcuni dubbi, da dissolvere in fretta. La coperta del Tfr (Trattamento di fine rapporto o liquidazione) non può, infatti, bastare a servire due padroni: i consumi e i risparmi degli italiani. Addirittura tre se si considera che, in base alla legislazione attuale, il Tfr è considerato il principale strumento di finanziamento della previdenza integrativa. Pochi l’hanno utilizzato a questo scopo. Se il fine è quello di mettere più soldi in busta paga, la strada maestra resta quella di ridurre le tasse.

Il premier Matteo Renzi ha già chiarito che la riforma potrà partire solo dopo la firma di un protocollo tra l’Associazione bancaria (Abi), la Confindustria e il governo. Un accordo che dovrebbe garantire alle piccole imprese i finanziamenti necessari a coprire l’esborso. E qui si cominciano a delineare i primi ostacoli. Gli accantonamenti annuali per il Tfr ammontano a 25 miliardi, secondo i calcoli di Alberto Brambilla, l’autore della norma sul trasferimento del Tfr nei fondi pensione. Di questi, 5,2 confluiscono nella previdenza complementare, 6 vengono versati dalle imprese con più di 50 dipendenti all’Inps e ben 14 sono finanziamenti per le piccole imprese. Con quel Tfr si costruiscono capannoni, si fa ricerca.

Mettendo il Tfr in busta paga si aprirebbero, senza interventi compensativi, tre buchi: all’Inps verrebbero a mancare tre miliardi l’anno, i fondi pensione potrebbero contare su meno risorse e la previdenza integrativa continuerebbe ad avere vita stentata. E le aziende, all’improvviso, si vedrebbero private di una fonte di credito decisiva, proprio mentre la politica dei prestiti non è delle più agevoli. L’allarme dei piccoli c’è già, bisogna ascoltarli. Da chiarire anche quale sarà il trattamento fiscale di queste somme ricevute in anticipo. Dovrà essere analogo a quello attuale; la liquidazione non può fare cumulo con gli altri redditi, altrimenti l’unico a guadagnarci sarebbe il Fisco. Con buona pace dei consumi.