Il fisco in Italia rispetto al resto d’Europa

Giuseppe Pennisi, presidente del board scientifico di ImpresaLavoro, è stato docente di Economia al Bologna Center della John Hopkins University e alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. È Consigliere del Cnel e insegna all’Università Europea di Roma.

Non sono uno specialista di scienza delle finanza o di diritto tributario. Tuttavia, in Italia il nodo centrale è l’oppressione fiscale più che la pressione fiscale. Ho vissuto 15 anni a Washington: di norma dedicavo una sera (dopo il lavoro) agli adempimenti nei confronti dell’imposta federale sul reddito e la sera successiva agli adempimenti relativi all’imposta sul reddito del Distretto di Columbia (dove risiedevo) e alla ‘real estate tax’ (ossia all’imposizione immobiliare e per i servizi comuni indivisibili). Di norma il credito d’imposta, che spesso vantavo, veniva liquidato entro due mesi dall’Agenzia delle Entrate (a Philadelphia) tramite l’invio di un assegno. Nell’arco di 15 anni la modulistica è cambiata solo due volte ed era molto chiara.
Quando nel giugno 1982, mi sono trasferito in Italia alle prime scadenze tributarie ho dovuto servirmi di un commercialista (che mi assiste ancora adesso) a ragione della molteplicità di adempimenti le cui procedure sembrano mutare di anno in anno. A una pressione fiscale tra le più alte al mondo (in termini di Pil e di reddito disponibile delle famiglie) si aggiunge un’oppressione fiscale che è, a mio avviso, una delle prime cause del fenomeno della evasione. Un fisco semplice e comprensivo delle difficoltà dei contribuenti (individui, famiglie, imprese) invita a collaborare. Un fisco ossessivo incoraggia invece a fuggire. È il vecchio teorema di Albert Hirschman su lealtà, protesta ed uscita che temo sia poco conosciuto da coloro che plasmano il sistema tributario italiano. Più un sistema tributario è complicato e in continuo movimento più si favoriscono elusione ed evasione.
È noto che numerose imprese stabiliscono la loro sede legale al di fuori dell’Italia proprio per potere essere soggetti di un sistema tributario più semplice e più ‘amichevole’. È anche noto che artisti e pure imprenditori di rango diventano, per questa ragione, soggetti fiscali stranieri. È meno nota la migrazione di pensionati, anche di pensionati che hanno servito lo Stato per 40 e più anni verso gli Stati Uniti e la stessa Francia che ha aliquote elevate ma non in un moto perpetuo al segno della incertezza. Questi sono esempi di legittima elusione. Ma un fisco oppressivo e ossessivo dopo i tentativi di assecondarlo e le proteste di fronte all’inutilità delle proposte spinge a trovare meccanismi illegali per scappare, quindi evadere.
Mi associo, quindi, alle osservazioni del prof. Zecchini ed all’analisi del dr. Monsurrò. Ma voglio porre l’accento su questo tema specifico nella speranza che le autorità ne tengano finalmente conto.