I cinque scogli che separano il premier dai sindacati

Paolo Baroni – La Stampa

Certo l’articolo 18 e il nodo del reintegro. Il rischio di «scardinare» lo Statuto dei lavoratori contrapposto alla necessità di «aggiornarlo». Ma i punti «indigeribili» del pacchetto-Poletti per una larga fetta del sindacato, in primis la Cgil (e quindi anche per la minoranza Pd), sono molti. E sono tutti concentrati nell’articolo 4 della legge delega.

Primo scoglio, la «revisione della disciplina delle mansioni». Il governo parla di contemperare «l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale, con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento». La Cgil invece denuncia esplicitamente il rischio di demansionamento, un’operazione «inaccettabile». Per questa via, sostiene l’ex sindacalista Giorgio Airaudo oggi deputato di Sel, si cerca solo di ridurre gli stipendi. Tutte accuse che l’ex ministro Maurizio Sacconi (Ncd), uno dei registi della riforma, respinge evocando «mansioni flessibili» in relazione «ai nuovi modi di lavorare che richiedono comportamenti più duttili, autonomi e più responsabili». Mediazione possibile? Sì alla flessibilità, ma solo con l’accordo tra le parti e a salario invariato.

Altra scelta che rischia di aumentare la precarietà anziché ridurla è il comma che prevede la possibilità di estendere a tutti i settori produttivi, anche alzando la soglia massima di reddito, l’utilizzo dei voucher impiegato oggi per i lavori saltuari (stagionali, colf, baby sitter…). Anche in questo caso si paventa il rischio che, allargando le maglie, le imprese alla fine ne possano abusare. Quindi, per far passare la norma, la condizione è una sola: deve resta l’attuale soglia dei 5 mila euro di reddito.

Ancora un tabù, ancora un problema: il controllo a distanza dei lavoratori. Lo «Statuto» è nato quando Internet manco esisteva ed è chiaro che molte norme oggi risultano superate. Per questo il governo punta alla «revisione» di tutta questa distanza, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore». Definizione forse un po’ generica, ma poi nemmeno troppo. Epperò la minoranza Pd fa muro anche su questo: «si controllino le macchine, non le persone». Per Sacconi invece, «la doverosa tutela della dignità del lavoratore», che ovviamente resta confermata in pieno, «non deve diventare motivo di inibizione per il migliore impiego delle nuove tecnologie, incluse le opportunità di telelavoro fin qui trascurate».

Quarto «scoglio», il riordino dei contratti. In seguito all’introduzione del contratto unico si punta a disboscare l’attuale selva fatta di 47 differenti modelli. La norma inserita nella delega è abbastanza chiara: parla esplicitamente di «abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato» e punta «eliminare duplicazioni» e «difficoltà interpretative e applicative». Ma anche questa formulazione, per la minoranza Pd , è troppo generica. Ma altrettanto generica però è la sua controproposta.

Infine, c’è il nodo dei soldi. Renzi punta a stanziare 2 miliardi nella prossima legge di Stabilità per estendere gli ammortizzatori sociali ai co.co.co: il sospetto di molti è che però si tratti degli stessi soldi oggi usati per la cassa in deroga e gli altri ammortizzatori. Vero? Falso? Certo è che così, alla vigilia della direzione Pd di domani e poi del confronto/scontro in Senato, la partita si complica ancor di più.