L’Europa per ora soffre di “annuncite”

Alessandro Leipold – Il Sole 24 Ore

Il governo Renzi è tacciato di soffrire di “annuncite”. La critica non è senza fondamento, ma viene da chiedersi: «Da che pulpito?». Se vi è un protagonista che del male soffre è l’Europa. Ne è un esempio la conclamata “svolta di Milano”. Intendiamoci, dei progressi alla riunione informale vi sono stati, grazie anche all’abile lavorìo ai fianchi operato dal ministro Pier Carlo Padoan.

Tra questi vi è il riconoscimento (seppur tardivo) che l’Europa soffre di carenza di domanda. Ne segue che le riforme strutturali da sole non bastano e che ci vuole un rilancio degli investimenti. Qui la novità maggiore è stata l’ammissione da parte tedesca del ruolo che tocca alla Germania. «Abbiamo bisogno di più investimenti in Europa», ha riconosciuto il ministro Wolfgang Schäuble, aggiungendo: «Anche in Germania».

Altra novità è l’attenzione posta al coordinamento delle riforme strutturali, con la riduzione del carico fiscale sul lavoro individuata come «chiara priorità». È il punto di partenza giusto. Buono anche il metodo: per la prima volta sono state usate in modo concreto le raccomandazioni indirizzate dal Consiglio europeo a ciascuno dei Paesi membri. Da una loro lettura è emerso che la riduzione del cuneo fiscale è consigliata a 11 Paesi della zona euro (compresi tutti i maggiori). Logico indicarla come una priorità collettiva.

Fin qui tutto bene. Sorge poi l’abituale abisso tra il dire e il fare. Non si decide di avviare, come sarebbe d’uopo, un’azione di riduzione fiscale congiunta, con un impatto d’assieme assai superiore a iniziative nazionali sparse. Invece di mettersi d’accordo su un “fare” concreto e tempestivo, ci si limita a elencare una serie di “princìpi”. Princìpi che sulla questione critica del finanziamento della riforma ricorrono alla litania dello «scarso spazio fiscale», insistendo che i costi «dovranno essere adeguatamente compensati» da tagli alla spesa o spostamenti ad altre tasse, «in modo da rispettare gli obiettivi di finanza pubblica del patto di stabilità».

Altro che «sfruttare al meglio la flessibilità insita nelle norme esistenti del patto», come annunciato dal Consiglio di giugno. Le «norme esistenti» permetterebbero deviazioni dagli obiettivi prestabiliti per coprire i costi di riforme strutturali che «innalzano il potenziale di crescita». Gli stessi ministri dell’Eurogruppo hanno sostenuto che ridurre il carico fiscale sul lavoro «ha la potenzialità di sostenere i consumi, stimolare l’offerta di lavoro e l’occupazione, migliorare la competitività e la profittabilità delle imprese… contribuendo al buon funzionamento dell’unione monetaria». Eppure neanche in un caso così esemplare si è ritenuto di poter applicare la clausola di flessibilità. Insistere sulla copertura significa evirare lo stimolo della misura. Per l’Italia, poi, significa tarparne del tutto le ali, riducendola a cosa ben modesta. C’è da chiedersi: se non ora, e per una tale «priorità politica», quando mai sarà applicata la flessibilità prevista dal patto per le riforme strutturali?

Anche sul fronte dell’altra “svolta”, quella sugli investimenti, sorgono dubbi. La disponibilità del ministro Schäuble ad aumentare gli investimenti in Germania è sconfessata dai fatti: alcuni giorni prima, ha annunciato al Bundestag il raggiungimento anticipato degli obiettivi di finanza pubblica, e l’intenzione di tenere ferma la barra, ponendo l’avanzo di bilancio come obiettivo perpetuo. Eppure la banca statale KfW ha stimato che la Germania potrebbe investire 150 miliardi in più senza violare le proprie regole. Ma, si dirà, vi è l’iniziativa europea, il pacchetto Juncker di 300 miliardi di euro. Dopo tanti vertici sul rilancio degli investimenti e dopo una serie ininterrotta di iniziative (Europa 2020 in poi), i ministri hanno però ritenuto necessario un ennesimo studio, dando mandato alla Commissione e alla Bei «di presentare un rapporto sulle misure concrete e su progetti di investimento profittevoli». Il presidente della Bei ha subito ammonito che sarebbe bene non nutrire «attese esuberanti» su quanto potrà fare la Banca. Quest’ultima ha regolarmente schivato simili chiamate nel timore di intaccare il rating triple-A. I ministri torneranno a parlare della questione in ottobre, intanto l’Europa langue. Speriamo che almeno qui applichino un’altra norma di flessibilità del patto di stabilità, quella sugli investimenti, permettendo l’esclusione dei co-finanziamenti nazionali ai progetti europei.

Nello stesso modo in cui l’Europa chiede al governo Renzi di mostrare concretezza nelle riforme, così l’Europa è tenuta a trasformare i propri annunci in azione concreta. Altrimenti entrambi potrebbero risultare afflitti da un male comune. Senza però mezzo gaudio alcuno.