Il mattone sbriciolato
Vittorio Feltri – Il Giornale
Di questi tempi il mestiere più facile è quello del profeta. Basta dire che va tutto in malora e ci azzecchi sempre, impossibile sbagliare. Lo dimostrano i dati emessi pressoché quotidianamente dalle fonti ufficiali. Gli ultimi – drammatici – giungono dalla Banca d’Italia e sono relativi al crollo dell’edilizia. Il giro d’affari nel settore è diminuito del 30 per cento dal 2008 – inizio della crisi – al 2014, e continua a calare a ritmo sostenuto. Significa che il mattone (anche quale bene rifugio) è stato sbriciolato, causa una politica fiscale dissennata, cui nessuno finora ha cercato di porre rimedio.
Le tasse sulla casa si pagano in ogni Paese (non soltanto) europeo, ce lo ricordano i tassatori in qualsiasi circostanza. Ma nel nostro si cominciano a pagare ancora prima di acquistarla e divenirne realmente in possesso. Mi riferisco all’imposta di registro, che varia dal 4 al 10 per cento del valore dell’immobile, inesistente in altre nazioni. Se si tratta di prima abitazione l’acquirente se la cava con l’aliquota minima; se si tratta di seconda, terza o quarta si salvi chi può: la tariffa è quella massima. Se l’alloggio costa 500mila euro, devi sborsarne 550mila sull’unghia, perché 50mila se li succhia lo Stato. Non dico nulla di nuovo, ma pochi sanno che la tassa di registro così aspra è una specialità tutta nostrana. Le menti ottuse degli occupanti (spesso abusivi) di Palazzo Chigi nel corso degli anni si sono inventate altri balzelli: l’Ici, l’Imu e una serie di ulteriori sigle (un ginepraio in cui è difficile raccapezzarsi) che comunque pesano sul conto finale delle somme da versare ai vampiri fiscali.
A forza di imposte, il proprietario di quattro mura si è dissanguato, e non c’è più un cane che, avendo risparmiato quattro soldi, abbia intenzione di comprare un quartierino da affittare: non conviene. Di conseguenza i costruttori non costruiscono (o costruiscono poco), muratori e carpentieri rimangono disoccupati, i geometri vanno a fare i poliziotti (se c’è un concorso, e non ce ne sono). E il settore rotola sempre più in basso, al punto da incidere sul Pil (Prodotto interno lordo) per un bel -1,5 per cento. Cifra che indica un fallimento senza precedenti. Del quale occorre ringraziare anche alcuni economisti che se la tirano da esperti quando, viceversa, sono talmente asini da non conoscere le regole elementari del mercato: più tasse e meno soldi circolanti, meno acquisti, meno manodopera, meno benessere. Inoltre i fan del fisco non si sono avveduti di un fenomeno grave che la loro «scienza» ha provocato: il deprezzamento del patrimonio immobiliare sia delle famiglie sia della nazione. Infatti se dieci anni fa un alloggio medio costava 300mila euro, oggi è valutato poco più di 200mila. L’impoverimento del proprietario che eventualmente volesse rivenderlo è palese, e sorvoliamo sulla disperazione di chi a suo tempo accese un mutuo per coprire quei 300mila euro e che ora possiede una casa da 200mila. Chi sgancia la differenza? Una perdita secca. Se la moltiplichiamo per il numero complessivo di case italiane, ecco che il disavanzo sale a dismisura, toccando vertici mostruosi. Chi ci governa, mentre con la mano destra cerca di creare lavoro, con la sinistra lo uccide già nella culla. Qualcuno se ne accorge?