Il “miracolo” delle grandi opere

Valerio Castronovo – Il Sole 24 Ore

Particolari sconti fiscali per le infrastrutture figurano nel decreto legge “Sblocca Italia”, previsto nel Consiglio dei ministri di fine agosto. Le opere pubbliche, insieme all’edilizia, erano le leve su cui faceva affidamento anche lo “Schema” per lo sviluppo del reddito e dell’occupazione (a cui venne dato poi il nome di “Piano”) che il ministro del Bilancio, Ezio Vanoni, mise a punto insieme a Pasquale Saraceno, 60 anni fa, nell’agosto 1954, durante alcuni giorni di vacanza che essi passarono in Valtellina, a Morbegno e in Val Masino.
Ministro del Commercio estero nel 1947, Vanoni aveva svolto un ruolo di rilievo dal 1948 al 1953, quale titolare delle Finanze (a lui si dovevano, fra l’altro, la riforma tributaria e l’istituzione dell’Eni); Saraceno, un veterano dal 1933 dell’Iri (dove dirigeva il Servizio studi), era stato fra i promotori della Svimez e proprio nell’ambito dell’Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno (un cenacolo di autorevoli meridionalisti e giovani studiosi di valore) s’era avviato – in coincidenza con la redazione di un documento presentato in aprile all’Oece sulla struttura dualistica dell’economia italiana – un progetto inteso a individuare e valutare quali avrebbero potuto essere i fattori propulsivi per una crescita dell’economia e del lavoro e per la riduzione del divario fra Nord e Sud.

L’annuncio da parte di De Gasperi, in giugno, al Congresso della Dc a Napoli, che Vanoni stava lavorando a un piano in grado di «assicurare a ciascuno un lavoro, una casa, una sussistenza degna di un uomo libero», suscitò naturalmente molte aspettative. Si era ormai esaurita la spinta impressa all’economia italiana dal recupero nel dopoguerra degli impianti non totalmente utilizzati, dalla ripresa fisiologica dell’agricoltura e dagli aiuti straordinari del Piano Marshall; inoltre s’era manifestato un disavanzo complessivo della bilancia commerciale, che registrava saldi attivi soltanto con la Svizzera e la Germania occidentale.
In pratica, lo “Schema” di sviluppo a cui lavorò, sotto la regìa di Vanoni, un gruppo di esperti della Svimez e di consulenti stranieri (tra i quali Paul Rosenstein Rodan e Jan Timbergen) era una sorta di “manifesto”, di disegno di programmazione, per una politica economica di lungo periodo, che assicurasse un efficace coordinamento dei provvedimenti dello Stato e un buon funzionamento del mercato. In sostanza, nell’arco di un decennio ci si proponeva di conseguire tre obiettivi: la creazione di quattro milioni di posti di lavoro nei settori industriale e terziario, che compensassero la riduzione dell’occupazione agricola (destinata a scendere, stando alle previsioni, dal 41 al 33% del totale); il superamento del divario Nord-Sud attraverso la promozione degli investimenti nel comparto industriale; il raggiungimento dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Affinché tutto ciò si realizzasse, si calcolava che ci sarebbero voluti un tasso di sviluppo medio annuo del 5%, un costante aumento della propensione al risparmio, e un mutamento della ripartizione settoriale e territoriale degli investimenti, sostenuti in particolare dallo Stato e dalle imprese pubbliche.

Approvato alla fine del 1954 dal Governo centrista presieduto da Mario Scelba, questo “Piano” raggiunse, alla fine del decennio, alcuni risultati di rilievo: come, l’aumento di 2,6 milioni di addetti nell’occupazione extra-agricola (sebbene l’esodo dalle campagne fosse stato superiore alle previsioni) e l’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Inoltre, il varo dello “Schema Vanoni” concorse alla decisione della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo di incrementare i suoi prestiti, di cui venne a beneficiare la Cassa del Mezzogiorno.
Tuttavia, furono soprattutto l’aumento della produttività per unità di lavoro e gli effetti dei progressi tecnologici e organizzativi, con le relative economie di scala, nonché l’incipiente espansione della domanda di beni di consumo durevoli, a determinare un salto di qualità, nel giro di pochi anni, rispetto all’idea di un’evoluzione assai più graduale in cui s’imperniava il Piano Vanoni. D’altra parte, agì da acceleratore l’adesione dell’Italia nel marzo 1957 alla Comunità economica europea e, quindi, l’impegno per una progressiva liberalizzazione degli scambi. Sta di fatto che mano pubblica e mano privata posero, ognuna per la propria parte, le basi del “miracolo economico”.