alessandro sallusti

Tanto rumore per nulla

Tanto rumore per nulla

Alessandro Sallusti – Il Giornale

Cominciamo col dire che non è vero che il governo ha varato una riforma del lavoro, come oggi qualcuno vorrà fare intendere. Al di là della propaganda, Renzi ieri si è solo fatto dare dai senatori – con la forza, mettendo cioè la fiducia sul voto – l’autorizzazione a pensare una riforma del lavoro, che è cosa utile ma ben diversa. Siamo quindi lontani sicuramente mesi, probabilmente anni, da beneficiare eventualmente di effetti concreti che nuove norme, una volta varate davvero, dovessero produrre.

Per ora del contenuto della riforma conosciamo solo le linee guida allegate alla richiesta di fiducia: parliamo di un libro dei sogni generico e già n partenza depotenziato dell’effetto-svolta: non c’è traccia infatti, nelle parole, dell’abolizione dell’articolo 18. All’ultimo, quindi, Renzi non se l’è sentita di andare allo scontro vero e decisivo con l’ala sinistra del suo partito e conla Cgil: non cita l’articolo 18 ma anche sì, nel senso che nei fatti il divieto di licenziare potrebbe saltare per altre vie. È la solita storia: a noi Renzi piace nei preliminari: deciso, enuncia principi liberali e striglia i post comunisti, annuncia sfracelli, litiga con i sindacati e dice di rottamare il vecchiume. Sulla riforma del lavoro, per esempio, ci aveva quasi convinto. Il problema è che quando si arriva al dunque l’uomo svicola, divaga e si fa risucchiare dal suo mondo, che tra l’altro lui detesta (ben ricambiato).

La verità è che ieri, in un gioco delle parti probabilmente concordato in ogni dettaglio, la sinistra ha superato senza gravi danni uno scoglio non da poco. Si salvano il premier, il governo, il partito, la legislatura e, scommetto, alla fine anche i sindacati, perché ognuno può sostenere di averle cantate agli altri. Il problema è che, al momento, gli unici a non salvarsi sono il mondo del lavoro e quello dell’impresa, che restano ben inchiodati a riti e regole del secolo scorso. Un mondo che non c’è più, difeso in Senato, con le solite sceneggiate, oltre che dai comunisti, dai grillini e dai leghisti. Che tanto a fare casino, anche contro l’interesse dei tuoi elettori, un bel titolo sui giornali lo porti sempre a casa. È un lavoro anche questo.

Visibilità ottima

Visibilità ottima

Alessandro Sallusti – Il Giornale

Era il 1994 quando il Corriere della Sera salottiero e la Cgil barricadiera lanciarono tenendosi a braccetto l’assalto al neopremier e astro nascente della politica Silvio Berlusconi, da pochi mesi insediato a Palazzo Chigi. Il famoso avviso di garanzia recapitato via stampa al G8 di Napoli e lo sciopero generale contro le riforme di lavoro e pensioni furono un uno-due micidiale che costrinse il centrodestra a mollare il governo in mano a un tecnico, Dini, e alla sinistra più retriva. Sono passati vent’anni e la storia si ripete.

In settimana è partito l’affondo del Corriere contro il neopremier, ieri la Camusso ha chiuso il cerchio minacciando, sulla riforma del lavoro targata Renzi, lo sciopero generale. Anche il tintinnio di manette c’è, più ovattato rispetto al ’94, ma c’è. E pure i vescovi non stanno alla finestra. Del resto quando mai lo sono stati? Basti ricordare che il governo Monti nacque in un convento e il suo partito in una sacrestia. Tutto lecito, per carità. Sacra è la libertà di opinione e di informazione, legittima è la protesta sindacale, liberi i giudici di indagare e i preti di pregare che le cose vadano secondo i piani del loro personalissimo Dio. Ma vogliamo mettere almeno sullo stesso piano la libertà dei governi di governare e delle maggioranze di legiferare? Già i politici ci costano un occhio della testa, se poi li costringiamo a non far niente perché a decidere devono essere altri, be’ almeno non lamentiamoci poi dell’inutilità della casta.

Sulla riforma del lavoro si sono formate maggioranze strane. Berlusconi la appoggia, coerente con se stesso e i principi liberali del suo partito. Alleati con la Cgil ci sono mezzo Pd parlamentare (quello della Bindi e di Bersani), Vendola e l’immancabile Grillo, quello che doveva cambiare tutto e che è invece diventato il più feroce dei conservatori. Dentro Forza Italia c’è qualche maldipancia a dare un aiuto a Renzi anche su questo tema. Raffaele Fitto, per esempio, invoca una «opposizione visibile». Dico io, quale occasione migliore per essere visibili che votare questa legge e vendicarsi del ’94, dimostrando a Corriere, Cgil, magistrati e vescovi quanto miopi furono. È la sinistra che con Renzi, sui temi impresa e lavoro, viene sulle posizioni di Forza Italia, non viceversa. Se saprà stare unito, prevedo visibilità ottima, per il centrodestra.

Renzi non paga. Trattiamo

Renzi non paga. Trattiamo

Alessandro Sallusti – Il Giornale

Matteo Renzi ha perso la scommessa fatta in diretta tv nel salotto di Bruno Vespa, con me casuale testimone: lo Stato non è riuscito a pagare entro il 21 settembre i suoi debiti con imprese e fornitori. Mancano all’appello 35 dei 60 miliardi e poco importa se la colpa è della politica, della burocrazia o di chiunque altro. Tra le tante promesse questa era sicuramente la più importante. Altro che legge elettorale, altro che ridimensionamento del Senato o rivoluzione nella scuola. Trentacinque miliardi sono una montagna di soldi che avrebbero potuto salvare imprese e famiglie dalla morsa della crisi. Azzerare i debiti della pubblica amministrazione era e rimane la più urgente delle riforme. Se la Camusso, la Cgil e i sindacati tutti, invece che rompere i santissimi per boicottare la riforma del lavoro avessero protestato, urlato e scioperato per ottenere il pagamento dei debiti, avrebbero fatto cosa meritoria per i lavoratori e il Paese intero. Perché una cosa è certa: il lavoro lo si difende solo aiutando e proteggendo gli imprenditori, soprattutto quelli medi e piccoli. Cosa questa a cui ha rinunciato anche Confindustria, un carrozzone che negli ultimi anni, sotto la gestione di Montezemolo e della signora Marcegaglia, ha avuto colpe nella conservazione sfascista non di molto inferiori a quelle dei sindacati.

Se i destinatari dei rimborsi – in maggioranza piccole e medie imprese – fossero stati storicamente decisivi per formare il consenso elettorale della sinistra sono certo che l’impegno di Renzi a mantenere la promessa nei tempi indicati sarebbe stato ben altro. Purtroppo per loro non è così. E allora ecco la necessità che il centrodestra, che di quelle categorie è il principale referente politico, aiuti sì Renzi nella sua spallata al sindacato e in generale ai più biechi conservatorismi che ostacolano la ripresa. Ma non gratis. Chi produce beni per venderli (anche) allo Stato – così come poliziotti e carabinieri – non vale meno dei dipendenti meritevoli degli ottanta euro, degli insegnanti. Fare ostruzione sulla nomina dei membri laici della Consulta e del Csm è roba loro. Ci piacerebbe vedere presto deputati e senatori del centrodestra bloccare il Parlamento per sbloccare i 35 miliardi che mancano all’appello. Oppure appoggiare la riforma del lavoro di Renzi se unita a un decreto che sospende il pagamento degli oneri aziendali per i nuovi assunti (costo zero per l’erario). Insomma, fare – assieme a Renzi – cose liberali.

La solitudine di Renzi e le vedove inconsolabili

La solitudine di Renzi e le vedove inconsolabili

Alessandro Sallusti – Il Giornale

Ha sbagliato Matteo Renzi a non andare a Cernobbio, dove il prestigioso Studio Ambrosetti ha organizzato, come ogni anno, il suo forum internazionale con inviti iper selezionati.

Ha sbagliato perché quel paesino sulle rive del lago di Como merita davvero, è uno degli angoli più belli al mondo e i saloni che ospitano gli incontri, quelli del Grand Hotel Villa d’Este, trasudano da un secolo dei sapori della mondanità più esclusiva. Poi uno legge i resoconti di inviati e cronisti e gli viene il dubbio. Piacere della vista a parte, perché mai Renzi dovrebbe mischiarsi con quella compagnia? Prendiamo ieri. A spiegare come gira, e come dovrebbe girare il mondo c’erano, nell’ordine; Jean Claude Trichet, predecessore di Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea, cioè l’uomo che non si era accorto che stava per scoppiare la più grave crisi economica di sempre; José Barroso, presidente uscente dell’Europa, un quinquennio di disastri politici al servizio dell’asse Merkel-Sarkozy; Mario Monti, e non aggiungo altro (basta il nome); Romano Prodi, quello che poco più di un anno fa si era imbarcato su un aereo presidente della Repubblica ed era atterrato presidente dei trombati. All’ultimo ha dato forfait Enrico Letta. Peccato. Eravamo tutti ansiosi di ascoltarlo sul tema: come governare un paese a lungo e con Alfano.

Eppure sono tutti indignati che Renzi non si è presentato ad ascoltare e omaggiare tali maestri. Tutti lo vogliono, il premier. Ieri a piangere era anche il direttore del Fatto Quotidiano, l’amico Antonio Padellaro. Un intero fondo per lamentarsi che il Matteo non sarà alla festa del Fatto che è partita a Forte dei Marmi. Sdegno rafforzato da ben due pagine fitte fitte di Marco Travaglio sulle promesse tradite o rinviate dal suddetto premier.

Manco fosse una bella donna: da Cernobbio a Forte dei Marmi è tutto un lamentìo di sedotti e abbandonati da quel mascalzone fiorentino. Mi faccio due domande. Se l’uomo sta così sulle palle perché lo invitano? Ma soprattutto: che diavolo avrà mai da dire Renzi di così interessante che qui è tutto un disastro? E comunque, se queste devono essere le compagnie, meglio la solitudine, che porta consigli più utili di quelli di Monti e Travaglio, vedove inconsolabili in un fine estate da brivido dentro e appena fuori i nostri confini.

Mangiasoldi di Stato

Mangiasoldi di Stato

Alessandro Sallusti – Il Giornale

Nell’ultimo anno sono stati scritti fiumi di inchiostro per analizzare il fenomeno Grillo e quello dell’astensionismo. Si tratta di diversi milioni di voti in libera uscita da quella che è chiamata la «politica tradizionale». E giù spiegazioni sociologiche, a volte antropologiche. A mio avviso la questione è molto ma molto più semplice, e solo in piccola parte ha a che fare con il disgusto per gli scandali grossi e piccoli che la politica ha offerto alle cronache. L’esempio del doppio canone Rai per artigiani, commercianti e partite Iva è illuminante.

Milioni di italiani si sentono – giustamente – vittime di un’estorsione di Stato ma non un partito alza un dito, nessuno ascolta la loro rabbia, non uno che provi a porre rimedio al problema. Parliamo di almeno cinque milioni di cittadini che sull’argomento sono rimasti senza rappresentanza politica. Tace quel furbetto di Renzi, che a parole promette basta tasse e basta burocrazia ma che nei fatti si guarda bene dal tutelare i contribuenti dagli esattori abusivi della Rai. Tace, dispiace dirlo, Forza Italia, probabilmente timorosa di essere accusata di volere penalizzare la Rai a vantaggio di Mediaset. In generale tacciono tutti, perché la Rai ancora prima che tv di Stato è tv della politica, quindi cosa loro. Che se poi uno ci mette la faccia rischia pure la ritorsione di non essere più invitato a Ballarò o in una delle tante trasmissioni-passerella.

Mi metto nei panni di uno dei cinque milioni di italiani costretti a pagare una nuova e ingiusta tassa occulta. Che faccio alle prossime elezioni? Semplice: punisco chi mi ha gabbato, o almeno non ha provato a difendermi come avrei meritato. Oppure risolvo il problema a modo mio, andando a ingrossare, per legittima difesa, le file degli evasori fiscali. Perché l’evasione non è solo figlia della furbizia o della disonestà. Il più delle volte è un’inevitabile risposta a una tassa eccessiva o ingiusta, come lo è quella che la Rai vuole imporre a possessori di computer teoricamente in grado di connettersi con un canale tv.

Così come è successo sulla casa, la doppia tassa sul canone è la prova che il governo Renzi fa il gioco delle tre tavolette. Taglia gli sprechi ai comuni e alla Rai e poi permette che questi si rifacciano su di noi. Non c’è quindi da stupirsi che il cinquanta per cento degli italiani non vada a votare e un altro venti scelga Grillo. Sicuramente non è la strada per risolvere i problemi, ma a volte vendicarsi può lenire il senso di abbandono e quello di ingiustizia.