assenteismo

Il passo del gambero sul caso dei vigili assenteisti

Il passo del gambero sul caso dei vigili assenteisti

Oscar Giannino – Il Messaggero

Sembrava una svolta drammatica, e finisce a opera buffa. Come spesso avviene in Italia e troppe volte nell’Italia “pubblica”, si parte tra pifferi e tamburi annunciando cambiamenti radicali ma il viaggio si rivela circolare, e dopo poco ci si ritrova mesti e sfiduciati allo stesso punto di prima. E quel che sta avvenendo nella vicenda dei 767 vigili urbani di Roma assenti dal servizio a Capodanno. Il presidente del Consiglio fece fuoco e fiamme annunciando sanzioni e punizioni. Il sindaco disse che la misura era piena. Ora, in capo a tre settimane, i numeri parlando da soli. E sono numeri che suscitano imbarazzo e incredulità, come capita quando ci si scopre vittima di una burla e ce la si prende con se stessi per esserci cascati. Perché di 767 vigili renitenti, i deferiti alla commissione disciplinare per malattia dubbia sarebbero in tutto e per tutto 6. Più un’altra ventina, forse non in regola per non aver risposto all’obbligo di reperibilità sostituiva.

Sei finti malati su 767 è una quantità che dice tutto. Se finirà davvero così, i sindacati dei vigili partiranno lancia in resta per chiedere le scuse ufficiali davanti a tutta Italia. E chissà che non le ottengano. Per il sindaco e per il premier sarebbe una bella figura da don Chisciotte e Sancho Panza. E per i romani e per tutti gli italiani una nuova doccia gelata di sfiducia e rassegnazione. Perché se non si schioda nulla nemmeno di fronte a un caso tanto eclatante, e come tale segnalato, vissuto e condannato dai massimi vertici politici nazionali e della Capitale, allora chiedere a tutti i cittadini di nutrire fiducia in svolte e cambiamenti pubblici diventa non un atto ragionevole, ma un atto di fede. Mettiamolo in chiaro: un esito tanto paradossale è un nuovo eclatante segnale che basta sapersi ben organizzare sul filo dei regolamenti e delle norme e si può continuare nel mondo pubblico a fare i furbi senza pagare ammenda. Altro che svolta.

Non stiamo generalizzando. Per favore ci si risparmino contestazioni sul fatto che manchiamo di rispetto ai vigili di Roma, al corpo e a tantissimi dei quasi seimila di loro. È l’esatto contrario: noi parliamo a difesa dell’onore e della dedizione di tantissimi vigili urbani e dipendenti pubblici. Non li accomuniamo ai furbi, né ai volpini sindacalisti che nella notte di Capodanno a Roma hanno orchestrato l’astensionismo di massa come sciopero non dichiarato: per il contratto, contro la rotazione, per la richiesta che la disponibilità festiva si paghi come straordinario, e per tutte le altre ragioni discutibili ma legittime se avanzate nelle forme di un magari muscolare confronto sindacale con il Comune, ma che in nessun caso e mai possono legittimare la renitenza al lavoro dietro le giustificazioni consentite a chi è malato per davvero, non a chi lo decide a tavolino.

Purtroppo, questo finale da opera buffa non ci fa ridere per niente. Conferma che le regole e i princìpi possono essere anche affermati nelle norme vigenti – visto che i falsi attestati di malattia sono già da anni causa di licenziamento per giusto motivo nel pubblico impiego – ma restano nella realtà sterili e inefficaci grida manzoniane. Comprova che, a furia di dirigenti pubblici inadempienti all’obbligo loro spettante di giudicare produttività e regolarità delle prestazioni di lavoro dei loro sottoposti, alla fine la collusione verso chi ne approfitta regna sovrana. Attesta che è inutile punire sulla carta i falsi certificati, se poi non si dispone di un servizio medico ispettivo operante in tutte le fasce del giorno per smascherare dipendenti finti malati e medici compiacenti.

Tutto questo i furbi lo sanno benissimo. Ed è di questo che si fanno forti. Questa è la ragione per la quale i sindacati insorgono contro chi considera quanto avvenuto a Capodanno una vergogna, urlando che si tratta di calunnie irrispettose. E tutto questo anche i politici lo sanno benissimo: perché sono loro per primi che da decenni non hanno spinto e obbligato i dirigenti pubblici a monitorare i comportamenti dei sottoposti, sono loro ad aver sospeso dal 2011 la comunicazione annuale al parlamento del rapporto sull’assenteismo pubblico e privato comparato. Ma, proprio per questo, politici che finalmente vogliano cambiare verso devono anche sapere che, una volta annunciata una svolta vera, che anche simbolicamente consegni al passato tanti decenni di collusione, allora tale svolta si deve vedere e toccare con mano, nei fatti e nei numeri. A Roma, sta succedendo l’esatto opposto. E vedremo se allo stesso modo finirà anche la partita del salario di produttività, se terminerà davvero l’era che lo vede spalmato a tutti in parti uguali, perché nessuno davvero giudica gli obiettivi conseguiti dal lavoro pubblico secondo veri parametri e risultati noti ex ante e misurabili ex post.

La serietà di un Paese si giudica innanzitutto dalla serietà con cui chi lo serve viene considerato e rispettato. Sei deferiti e 761 salvati vorrebbe dire non prendere sul serio non solo i cittadini romani che pagano le tasse, e quelli di tutta Italia che hanno contributo a due decreti salva-Roma in pochi anni. Significa innanzitutto non prendere sul serio e mancare di rispetto ai tantissimi dipendenti pubblici che non lo meritano, e sui quali cadrà ancora una volta il discredito popolare. Messa così non è un film che finisce in bonarie risate alla Toto e Peppino. A giudicare dalla vicenda capitolina, la riforma della PA italiana rischia di essere un film di Buñuel, che fa restare solo l’amaro in bocca.

Vigili uniti in piazza per difendere la falsa malattia

Vigili uniti in piazza per difendere la falsa malattia

Francesco Merlo – La Repubblica

“Da una malattia vera si può guarire, da quella finta no” sarà lo slogan. E dunque sciopereranno per difendere il diritto alla finta malattia i vigili urbani di tutta Italia aderenti all’Ospol-Csa, che non è il nome del medicamento del dottor Dulcamara di Donizetti “l’odontalgico mirabile liquore / dei topi e delle cimici possente distruttore”. È invece la sigla del più affollato sindacato della polizia locale, 15 mila iscritti che il 12 febbraio manifesteranno per le strade di Roma in solidarietà con i pizzardoni infingardi che, nella notte di Capodanno, essendo – veramente – finti malati, furono costretti a presentate finti certificati che il sindaco di Roma ancora oggi si ostina a non prendere per veri. Non capisce, Ignazio Marino, che nulla è più doloroso e contagioso di una malattia finta.

L’Ospol-Csa, che si attribuisce “grande senso di responsabilità”, rivendica contro il Comune e contro il Governo “le risultanze numeriche” della notte di Capodanno, e dopo avere “discusso sino all’alba del 15 gennaio a San Benedetto del Tronto” attende ancora “l’inoltro formale per le correlate verifiche” della “possibile preintesa contrattuale”, contro “la cancellazione dell’equo indennizzo, la causa di servizio e la pensione privilegiata, che si aggiunge all’usurpazione della indennità di pubblica sicurezza”. Questo linguaggio che, a differenza delle malattie e dei certificati di Capodanno, è autentico non riesce più a suonare ridicolo, perché mai si era visto un oltranzismo corporativo così cieco, mai il tribalismo italiano di un mestiere organizzato come una cosca era arrivato al punto di marciare su Roma per difendere il non lavoro, la truffa del certificato patacca, la viltà del malessere simulato per inasprire la lotta sindacale godendosi, intanto, il cenone.

Purtroppo il Comune di Roma ha fatto ballare il totale degli ammalati di comodo, ma anche se “le risultanze numeriche” dei bugiardi sbugiardabili fossero davvero scese dall’ottanta al quaranta per cento, la sostanza non cambierebbe. La notte di Capodanno un agente patogeno espertissimo in sindacalese ha decimato i vigili urbani di Roma e qualcuno di questi poliziotti ha donato il sangue, qualcun altro si è rifugiato nell’assistenza retribuita di familiari disabili per dare una credibilità morale alla diserzione commessa come un reato associativo con la complicità dei soliti medici compiacenti e con la regia dei sindacati, anche quelli confederali nel ruolo inedito dei finti malati moderati.

Avevamo scritto che non c’è niente di peggio che usare le generose norme di civiltà come espedienti, come forconi, come fasci di combattimento sociale. Ebbene ci sbagliavamo. È infatti oltre ogni decenza e ogni logica l’annuncio che i finti malati d’Italia porteranno spavaldamente in corteo, da piazza della Repubblica a piazza SS apostoli, le ragioni dell’impunità, la forza antica e prepotente del clan, il diritto del topo di stare nel formaggio e del verme di avanzare nella mela. Non manifestano infatti soltanto per salvaguardare i salari proteggendo l’accumulo di piccole rendite di posizione e di incrostazioni paradossali come l’indennità stradale, la pulizia della divisa, la famosa seminotte che comincia alle 15,48… La verità è che i finti malati in piazza, al di là del pittoresco, non sono solo una deviazione sindacale estremista ma un avviso sgangherato, un assaggio della resistenza disperata dell’Italia delle corporazioni, siano essi impiegati di Stato, architetti, professori universitari, orchestrali o vigili urbani . È questa la vera malattia che i finti certificati rivelano. Perché si chiuda perfettamente il cerchio, il prossimo 12 febbraio i vigili urbani dovrebbero presentare un finto certificato medico e non andare alla manifestazione.

Assenteismo PA, costo 3,7 miliardi

Assenteismo PA, costo 3,7 miliardi

Nicoletta Picchio – Il Sole 24 Ore

Un risparmio di 3,7 miliardi di euro, a cui si aggiungerebbe, come conseguenza, una maggiore efficienza e qualità dei servizi. È un traguardo che si potrebbe raggiungere nel settore pubblico portando l’assenteismo allo stesso livello del settore privato. Sono i calcoli di un’analisi del Centro studi di Confindustria: nel 2013, anno preso in esame, i dipendenti del settore pubblico hanno totalizzato in media 19 giorni di assenze retribuite, secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, 6 in più di quanto rilevato nel mondo Confindustria per un gruppo di dipendenti comparabile. L’assenteismo nel pubblico risulta quindi del 46,3% più alto rispetto ai 13 giorni di assenze retribuite rilevate dall’indagine per gli impiegati delle imprese associate a Confindustria con oltre 100 addetti (gruppo che per qualifica e dimensione è comparabile al pubblico impiego). Portarlo al livello di quello privato comporterebbe un risparmio di 3,7 miliardi, attraverso un minor fabbisogno di personale.

Nello studio del Csc, messo a punto da Giovanna Labartino e Francesca Mazzolari, emerge che l’incidenza delle assenze nel mondo Confindustria è in calo: il peso delle ore di assenza sulle ore lavorabili si è attestato nel 2013 al 6,5% ; 0,5% in meno rispetto al 7% dell’anno precedente. L’incidenza rimane più alta nelle imprese più grandi, 7,2 in quelle con più di 100 addetti; 4,5% in quelle fino a 15. La malattia non professionale, cioè l’influenza, è il motivo di assenza più frequente (3,1% delle ore lavorabili) seguito dai congedi parentali e matrimoniali (1,3%) e dagli altri permessi retribuiti, che includono i permessi sindacali e quelli per visite mediche o di accompagnamento parentale (un altro 1,1%). Nel settore pubblico nel 2013 ai 10 giorni di assenza procapite per malattia se ne sono aggiunti 9 di altre assenze retribuite. L’indagine di Confindustria sul lavoro nel 2013 allarga il raggio anche alla diffusione dei contratti aziendali e dei premi variabili. Nell’industria in senso stretto nel 2013 due lavoratori su tre erano coperti da un accordo aziendale; una quota che sale a 5 lavoratori su 6 nelle imprese associate con almeno 100 dipendenti. La contrattazione aziendale è meno diffusa nei servizi, dove i lavoratori coperti erano il 56,9% (68% nelle imprese più grandi).

Analizzando in particolare le imprese industriali la quota con contratto aziendale passa dal 34,4 e 34,3% del Nord-Ovest e del Nord-Est al 28,1% del Centro, Sud e Isole. In ogni caso la contrattazione di secondo livello è aumentata rispetto al 2012: in base ai dati di un campione, la quota che ha applicato un contratto aziendale è cresciuta dal 26,8% al 30,1% e la percentuale dei lavoratori coperti dal 60,5% al 62,6 per cento. Per quanto riguarda i premi variabili sono stati erogati dal 70,5% delle imprese con contrattazione di secondo livello e dal 31,7% di quelle senza. La copertura dei premi variabili cresce con la qualifica: 52,5% tra gli operai, 56,3% tra gli impiegati e 63,4% tra i quadri. L’incidenza sulla retribuzione è mediamente simile e si attesta sul 5 per cento. Tra i dirigenti, solo poco più di un quarto li riceve ma, se erogati, rappresentano mediamente il 15,6% della retribuzione media annua lorda.