carlo pelanda

La ripresa rischia di spaccare l’Italia

La ripresa rischia di spaccare l’Italia

Carlo Pelanda – Libero

Nel secondo trimestre 2015 è prevista l’inversione della crescita del Pil da negativa a positiva. La ripresa avrà effetti omogenei o differenziati per settori economici e territori? Saranno differenziati perché la stimolazione sarà incompleta: monetaria, ma non fiscale. Per capirci, se il governo decidesse di tagliare 100 miliardi di spesa pubblica (in tre o quattro anni) e di 70 miliardi le tasse, lasciando un margine di 30 per gestire l’equilibrio di bilancio statale, il capitale così liberato, via più investimenti e consumi privati, darebbe un impulso fortissimo e diffuso a tutta l’economia nazionale. Nel simulatore, una tale mossa, combinata con la megastimolazione monetaria attuata dalla Bce, porterebbe la crescita del Pil nel 2015 ad oltre il 4%, vicino al 6% nel 2016, per poi stabilizzarsi al 3% negli anni successivi (a condizione di una media stabilità globale). Per inciso, va considerato che un euro intermediato dallo Stato, in un modello politico socialistoide che alloca il più dei denari fiscali per finanziare apparati invece di investimenti modernizzanti, produce circa 0,90 euro per anno, cioè perde valore, mentre un euro lasciato nel mercato ne genera almeno 2. Da questo cenno si può intuire l’importanza stimolativa, nonché la diffusività sociale, di una defiscalizzazione massiva.

Vi sarebbero alcuni punti delicati: la minor spesa pubblica colpirebbe nel breve termine le aree meridionali, comporterebbe lo spostamento di una parte dei dipendenti pubblici al mercato privato, ecc. Da un lato, tali problemi sarebbero risolvibili in un momento di allentamento monetario che, rendendo possibili crescite forti e rapide, permetterebbe di assorbire velocemente più trasferiti dal pubblico al privato nonché di sostituire con capitale di investimento (incentivato) il minor denaro pubblico nelle aree meno sviluppate (se bonificate dalla criminalità). Dall’altro, non avverrà perché è impensabile che una maggioranza di sinistra voglia farlo e che il governo abbia la tecnicità per attuarlo in modo liscio, pur azione fattibile. Pertanto bisogna assumere la continuità del modello socialistoide e contare solo sull’effetto di maggiore liquidità e svalutazione competitiva.

Il punto: proprio l’inerzia riformatrice del governo produrrà un effetto selettivo sulle unità economiche, basato sulla maggiore vicinanza o lontananza dai settori-territori stimolati dalla Bce. La svalutazione dell’euro favorirà l’export delle aziende internazionalizzate ed il loro indotto nei territori dove queste sono più dense, cioè il Nord e parte della costa adriatica. L’effetto sarà maggiore o minore in relazione all’intensità e durata della svalutazione competitiva e, al riguardo dell’indotto, in base alla quantità di investimenti. L’effetto complessivo sarà espansivo, ma non così propulsivo e rapido per le reazioni contrarie del dollaro e di altre valute all’eurosvalutazione e perché prima di fare nuovi investimenti ed assunzioni le imprese useranno la capacità inutilizzata, questa rilevante. Un effetto positivo e spalmato è atteso dall’importazione di turismo da aree non-euro, moltiplicato dalla fortunata coincidenza dell’Expo. Ma la crescita in questi due settori non riuscirà a smuovere la stagnazione dei consumi e del settore delle costruzioni, lasciando milioni di piccole imprese industriali, artigianali e commerciali nei guai, complicati da una restrizione del credito che, pur di meno, continuerà.

In conclusione, la stimolazione solo monetaria e non fiscale causerà una ripresa incompleta che spaccherà l’Italia in tre settori: a) più ricchi, i territori ad alta densità di aziende internazionalizzate (Lombardia, Veneto, Piemonte e, meno, Emilia); b) galleggianti, ma senza vera ripresa, quelli con minore densità di imprese esportatrici, ma con certa capacità turistica (Centro italia); c) più poveri i territori meridionali nonostante un incremento del turismo stagionale. Come è sempre stato? Attenzione: la differenziazione per ricchezza tra persone e territori diventerà più marcata e ciò si trasformerà in un grave problema di governabilità della nazione. L’assenza della stimolazione fiscale (detassazione) in presenza di quella monetaria, oltre a ridurre i potenziali di ripresa, potrebbe disgregare l’Italia. Va segnalata a Mattarella la relazione tra integrità nazionale, di cui è tutore, e cambiamento di un modello economico inadeguato, esercitando la dovuta pressione su un governo orbo e/ o non ostacolando la sua sostituzione quando una destra inevitabilmente rinnovata ritroverà consistenza.

Debito, tasse e statali: le tre mosse per far ripartire il Paese

Debito, tasse e statali: le tre mosse per far ripartire il Paese

Carlo Pelanda – Libero

Nei prossimi 3 anni l’Italia galleggerà a pelo d’acqua. Tutte le proiezioni correnti prevedono una crescita attorno allo 0,5% nel 2015 e a cavallo dell’1%, più sotto che sopra, nel 2016-17. Meglio che affondare? Attenti, stagnazione prolungata significa impoverimento sistemico: figli che migrano, figlie costrette ad umiliarsi. Possibile? Il governo non sta alleggerendo i pesi che soffocano la crescita. Infatti l’uscita dalla recessione nel secondo trimestre 2015 non sarà spinta dalla politica economica, ma da fattori diversi: (a) la svalutazione dell’euro che facilita l’export e l’importazione di turismo; (b) un minimo aumento dei consumi dovuto al fatto che tante famiglie, pur con poca fiducia nel futuro, dovranno comprare una nuova auto o il guardaroba del bimbo che cresce, ecc., cioè il fenomeno della «ripresa passiva»; (c) un leggero miglioramento del credito grazie alla stimolazione monetaria della Bce; (d) una riduzione (temporanea) dei costi dell’energia importata. L’insieme di questi fattori potrebbe dare una spinta ben maggiore alla crescita, ma il mantenimento di pesi fiscali eccessivi farà continuare la caduta recessiva di parte del mercato interno. Pertanto la somma tra fattori di spinta e caduta mostra come risultato un misero 0,5% nel 2015, cioè il galleggiamento, poi seguito dalla «stabilizzazione destabilizzante» della stagnazione.

La stimolazione
Un’analisi simile ha portato S&P a declassare l’affidabilità di lungo termine del debito italiano, nell’ambito di una previsione di non peggioramento nel medio termine. Significa che l’Italia in mero galleggiamento potrà ripagare il debito nei prossimi due o tre anni, ma che poi, senza cambiamenti, potrebbe non riuscirci più perché dopo recessioni e stagnazioni prolungate è probabile, senza discontinuità di modello, una spirale depressiva. Mi spiace considerare di efficacia nulla l’azione del governo Renzi che sta rompendo tanti tabù, ma la verità è che il suo progetto di stimolazione economica è e sarà insufficiente: sposta le tasse senza ridurle, modifica in modo irrilevante le norme protezioniste sul lavoro e, soprattutto, mostra poca reattività concreta alla crisi. Ed è ovvio: una maggioranza di sinistra, anche se guidata da un pragmatico, non vorrà mai ridurre le tasse in quanto i suoi elettori in stragrande maggioranza vivono di denaro pubblico. Il punto: senza detassazione stimolativa, cioè senza trasferire una gran massa di capitale dall’intermediazione burocratica al mercato, non sarà possibile invertire la stagnazione-declino. Italia condannata? Non necessariamente, perché la maggioranza degli italiani vive di mercato e se fosse possibile condensare in forma politica la rappresentanza dei loro interessi vi sarebbe il consenso per un’operazione mega-stimolativa: (1) abbattimento della spesa pubblica di circa 100 miliardi; (2) riduzione delle tasse di 70, lasciandone 30 di margine al servizio dell’equilibrio di bilancio; (3) abbattimento di circa 500 miliardi del debito pubblico (2.100 miliardi, circa) con una operazione «patrimonio contro debito» (ripagare parzialmente con obbligazioni basate sul rendimento del patrimonio pubblico i possessori di titoli invece di emettere nuovo debito) allo scopo di portarlo vicino e poi sotto al 100% del Pil, così risparmiando ¼ della spesa annua per interessi nonché altri soldi per il rifinanziamento del debito residuo grazie ad un aumento del rating.

La simulazione
Questi numeri sono usciti da una simulazione, continuamente aggiornata dal 2010, fatta dal mio gruppo di ricerca con l’obiettivo di trovare le quantità allo stesso tempo utili e possibili per invertire il destino dell’Italia, in costanza dei vincoli europei. Semplificando, con tale operazione l’Italia volerebbe rapidamente verso una crescita prolungata oltre il 3% annuo perché la tassazione (totale) sulle imprese andrebbe al 20% e quella sulle famiglie sarebbe ridotta di almeno 1/5. Non dovrebbe essere fatta tutto e subito, ma basterebbe renderla credibile per far scontare al mercato immediatamente il buon esito futuro, bilanciando così con un effetto fiducia – che scongela il risparmio – l’impatto deflattivo momentaneo del taglio di spesa. Il dissenso da parte degli statalisti sarà violento. Ma dobbiamo dirci la verità: senza una tale operazione, che per altro non riduce la socialità dello Stato, l’Italia è finita. Suggerisco, infatti, di chiamare l’operazione tecnica detta sopra «operazione verità», luce che spero illumini il popolo del mercato affinché si compatti e salvi se stesso e la nazione sostenendo l’unica soluzione veramente efficace.

Con questa sinistra la ripresa è passiva

Con questa sinistra la ripresa è passiva

Carlo Pelanda – Libero

Molti lettori, inquieti per un deludente 2014, chiedono quale sia tendenza economica più probabile per il 2015-16: recessione, stagnazione o crescita? Risponderò alla fine, prima è utile descrivere il fenomeno della “ripresa passiva”, lentissima, che è in atto, come inquadrata dal mio gruppo di ricerca. Fino a poco fa la maggioranza delle famiglie italiane temeva catastrofi. Per tale motivo ha massimizzato, chi poteva, il risparmio, riducendo i consumi. La perdita della fiducia, insieme alla restrizione del credito ed all’aumento del drenaggio fiscale, è stata, ed è, la causa principale della recessione del mercato interno a partire da metà 2011. Da qualche mese un numero crescente di famiglie sta realizzando che la catastrofe non si è attualizzata e comincia a valutare, pur ancora con prudenza, più decisioni di spesa. Da metà 2013 la recessione ha iniziato ad attutirsi non grazie ad azioni stimolative di politica economica o monetaria, ma grazie alla riduzione della paura. Per questo si può definire “ripresa passiva”. Se così, allora è probabile che, pur senza interventi stimolativi di politica economica e monetaria, il Pil italiano resti stagnante, ma non più recessivo. Questo scenario ne illumina un altro: se senza stimolazioni anticrisi il sistema economico italiano riesce a riemergere per sua robustezza intrinseca, basterebbero poche politiche giuste e mirate per metterlo su una linea di crescita forte e rapida.

Possiamo sperare che questo govemo ne sia capace? Vediamo quello che dovrebbe fare: (a) “operazione patrimonio contro debito” per ridurre il secondo di almeno 300-400 miliardi; (b) in 2 o 3 anni taglio di 100 miliardi di spesa ed almeno 70 di tasse, lasciando un margine di 30 per rispettare i vincoli di pareggio di bilancio, dando così un superstimolo all’economia, in particolare agli investimenti; (c) alleggerire i carichi fiscali del settore immobiliare e delle costruzioni che è il motore principale della crescita nel mercato interno italiano; (d) detassare i fondi di investimento per aumentare il finanziamento non-bancario delle imprese e gli investimenti esteri veicolati via fondi italiani; (e) fare un megafondo di garanzia statale per ripatrimonializzare le imprese destabilizzate dalla crisi, ma ancora vive, e dare loro accesso al credito; (f) liberalizzare il mercato del lavoro.

Tali politiche certamente porterebbero il mercato interno in forte crescita prolungata, anche considerando eventuali turbolenze globali con impatto sull’export e sulle Borse: l’Italia diventerebbe locomotiva europea, la disoccupazione sarebbe riassorbila in un triennio, il pareggio di bilancio sarebbe rispettato ed il rapporto debito/Pil scenderebbe rapidamente verso un più rassicurante 100%, forse sotto, dal 130% circa di oggi. Ma il governo Renzi farà persino fatica a flessibilizzare un po’ le norme sul lavoro e non ha nemmeno in programma le cose dette nella misura utile a dar loro efficacia stimolativa.

Non voglio essere ingiusto, ma un governo che stimola la domanda (gli 80 euro) quando la domanda stessa è depressa per mancanza di fiducia, invece di tentare stimolazioni tiscali sul lato dell’offerta per ricostruire la fiducia stessa, dimostra o incompetenza oppure un ancoraggio all’irrealismo della cultura economica di sinistra, o propensione alla demagogia, che non può far sperare troppo. Anzi fa ridere, amaramente, per tanta incompetenza.

Pertanto non è probabile che nel 2015-16 si avveri quella crescita fortissima che sarebbe teoricamente possibile liberando la forza intrinseca del sistema. Ma proprio questa forza ci permette di sperare in un effetto maggiore della svalutazione competitiva dell’euro ora pilotata dalla Bce, unica vera stimolazione, pur non tra le migliori, in atto nell’Eurozona. Pertanto scommetterei su una ripresa ancora lentissima nel 2015, ma più robusta nel 2016, sopra l’1%, in grado di almeno far galleggiare l’Italia nonostante un governo ed un personale politico-tecnico incapaci di guidare una “ripresa attiva”. Non aspettiamoci dalla sinistra cose che non può fare, concentriamoci invece sulla ricostruzione e riqualificazione del centrodestra per sostituire la sinistra stessa il prima possibile e tentare la liberazione del gigante Italia incatenato. Ma nel frattempo non affonderemo, motivo di fiducia.