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Sanità digitale, per l’Italia necessario un deciso cambio di passo

Sanità digitale, per l’Italia necessario un deciso cambio di passo

Panorama Sanità – Nella prospettiva della Strategia Europa 2020 il processo di digitalizzazione della sanità italiana appare ancora in ritardo rispetto alla maggioranza dei Paesi UE sulla base degli indicatori disponibili. Le performance insufficienti rispecchiano il basso livello di spesa eHealth dell’Italia, pari nel 2015 all’1,2% della spesa sanitaria pubblica, rispetto alla media UE compresa fra il 2 e il 3%, con punte vicine ai 4%. Per inquadrare nel medio periodo le prospettive della Sanità Digitale italiana in termini di fabbisogno finnziario, lo studio Censis-Impresalavoro, presentato lo scorso 5 luglio a Roma, esamina tre scenari al 2020.

«Il primo scenario di tipo più conservativo», spiegano Censis e ImpresaLavoro, «ipotizza il raggiungimento a fine periodo di un target del 2% di spesa eHealth su spesa sanitaria pubblica. Il secondo scenario ipotizza un target intermedio pari al 3%. Il terzo scenario prende in esame un target più espansivo del 4%, come indicazione di un deciso salto di qualità dell’impegno pubblico nel settore». I risultati dell’analisi mostrano come il Servizio Sanitario Nazionale debba realizzare nei prossimi anni un deciso cambio di passo nelle risorse finanziarie da investire in Sanità Digitale, per stare al passo con i Paesi europei più avanzati in questo settore.

I tre scenari considerati indicano che l’accelerazione dell’impegno finanziario al 2020 richieda risorse aggiuntive per la Sanità Digitale comprese in un range fra 2 e 7,8 miliardi di euro, rispetto al fabbisogno tendenziale di 7,5 miliardi, per arrivare ad un impegno complessivo stimato fra 9,5 e 15,2 miliardi di euro. «Senza questo cambio di policy», affermano gli autori dello studio, «il Servizio Sanitario Nazionale non potrà valersi pienamente dei benefici attesi dai servizi e dagli strumenti di Sanità Digitale, che – attraverso una più evoluta condivisione delle informazioni e una più avanzata interazione fra pazienti, medici, operatori e strutture sanitarie – consentono un guadagno di efficienza, un’ottimizzazione nell’erogazione dei servizi, una riduzione dell’errore medico, un incremento della sicurezza dei paziente, un miglioramento della gestione delle patologie croniche».

Peraltro la questione degli investimenti è un fattore necessario ma non sufficiente per lo sviluppo della Sanità Digitale e per il conseguimento dei benefici connessi. «Occorre affrontare contestualmente il tema del ridisegno complessivo del sistema salute, quello del digital divide, quello della costruzione di una governance nazionale dell’innovazione e di una strategia architetturale complessiva, quello della definizione di una chiara politica della sicurezza e della privacy. Mentre resta ancora aperta a livello internazionale la questione di una corretta misurazione e valutazione dei benefici e dei ritorni dell’investimento in Sanità Digitale».

Fascicolo sanitario elettronico

COMMISSIONE EUROPEA: IN ITALIA ANCORA MANCA UNA STRATEGIA NAZIONALE

«La performance digitale dell’Europa su scala mondiale è buona, ma alcuni paesi potrebbero fare meglio. Per questo diamo qualche consiglio per aiutare gli Stati membri dell’UE a migliorare la loro performance digitale a beneficio delle loro società e delle loro economie per contribuire a creare un mercato unico digitale». È quanto ha affermato Günther H. Oettinger, Commissario europeo responsabile per l’Economia e la società digitali, in occasione della pubblicazione della Relazione 2016 sulla performance digitale nell’UE che evidenzia squilibri tra gli Stati membri. La Commissione ha pubblicato inoltre la relazione completa su un nuovo indice internazionale sulla performance digitale (IDESI), che confronta gli Stati membri dell’UE con 15 altri Paesi. Secondo i dati internazionali, i Paesi in vetta alla classifica nell’UE (Svezia, Danimarca e Finlandia) primeggiano anche su scala internazionale, davanti a Corea del Sud e Stati Uniti. L’ltalia è al 25° posto nella classiflca del 28 Stati membri dell’UE. Nell’ultimo anno, evidenzia la Commissione europea, ha fatto pochi progressi in relazione alla maggior parte degli indicatori.

Per quanto riguarda i servizi pubblici digitali, «le prestazioni dell’ Italia – si legge nella Relazione – sono al di sotto della media e i progressi sono nella media UE. Dal lato della disponibilità, l’ltalia ha compiuto progressi, ma vi sono margini di miglioramento in termini di riutilizzo delle informazioni tra le amministrazioni per facilitare la vita ai cittadini. Tuttavia, l’uso dell’eGovernment rimane uno dei più bassi nell’UE28». E la sanità digitale in Italia? «Le ricette elettroniche – ricorda la Commissione – sono iniziate nel marzo 2016 per i medicinali e saranno estese gradualmente agli esami clinici e alle visite specialistiche. Per quanto riguarda il fascicolo sanitario elettronico, d’altro lato, non vi è ancora una strategia nazionale: solo alcune regioni l’hanno già messo in atto e non sempre garantendo l’interoperabilità fra i diversi sistemi. Sarebbe importante avere un fascicolo sanitario interoperabile a livello nazionale, migliorando in questo modo l’efficienza e l’efficacia del sistema sanitario».

Sanità digitale, senza investimenti impossibile colmare il gap con l’Europa

Sanità digitale, senza investimenti impossibile colmare il gap con l’Europa

di Marcello Longo – AboutPharma

Si fa presto a parlare di “rivoluzione digitale” per la sanità italiana. Ma abbiamo fatto bene i conti? C’è un ampio gap fra noi e l’Europa, per colmarlo servono investimenti. Molte più risorse di quante se ne investano oggi: da due a 7,8 miliardi in più entro il 2020, per una spesa complessiva fra i 9,5 e i 15,2 miliardi di euro. A ipotizzare queste cifre è uno studio presentato a luglio da Censis e Centro Studi ImpresaLavoro.

Una forbice così ampia dipende dalla percentuale di spesa per eHealth sul totale della spesa sanitaria pubblica che ci si pone come obiettivo: i numeri si basano infatti su tre scenari diversi – con percentuali dal 2 fino al 4% sul totale della spesa sanitaria – proiettati nell’arco temporale 2016-2020. Dal primo al terzo, scenari che appaiono oggi tutti molto ambiziosi, visto lo stato dell’arte: il processo di digitalizzazione della sanità italiana è in netto ritardo rispetto alla maggioranza dei Paesi Ue e le performance insufficienti rispecchiano il basso livello di spesa eHealth dell’Italia, pari nel 2015 all’1,2% della spesa sanitaria pubblica, rispetto alla media che oscilla fra il 2 e il 3%, con punte vicine al 4% in Paesi come Finlandia e Regno Unito. Dati comunque al di sotto delle previsioni ottimistiche del Piano d’azione Ue per la sanità elettronica del 2004, dove si diceva che la spesa per l’eHealth avrebbe assorbito “il 5% del bilancio complessivo della sanità dei 25 Stati membri”. Non a caso, la versione più recente del Piano (2012-2020) non indica previsioni in merito.

Gli scenari ipotizzati dallo studio mostrano l’impegno finanziario aggiuntivo richiesto al Servizio sanitario nazionale (Ssn) per stare al passo con i Paesi europei più avanzati in questo settore rispetto al tendenziale della spesa per eHealth così come risulterebbe dalla serie storica 2010-2015. Per il calcolo del fabbisogno finanziario eHealth tendenziale sono state utilizzate le stime del ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) sul Pil e sulla spesa sanitaria pubblica al 2019. Senza interventi ad boc e quindi “a invarianza di politiche pubbliclic per la sanità digitale”, l’incidenza della spesa eHealth sulla spesa sanitaria totale crescerà nel 2020, ma non andrà oltre l’1,36%, pari a un fabbisogno finanziario cumulato di 7.483 milioni di euro.

Il primo scenario dello studio, di tipo più “conservativo”, ipotizza il raggiungimento entro il 2020 di un target del 2% di spesa eHealth sulla spesa sanitaria pubblica: in questo caso al Ssn si richiederebbe di soddisfare un fabbisogno finanziario cumulato 2016-2020 per la sanità digítale di 9.559 milioni di euro, con un investimento aggiuntivo cumulato pari a 2.076 milioni di curo.

Il secondo scenario ipotizza un target intermedio pari al 3%: il fabbisogno finanziario 2016-2020 arriverebbe a 12.503 milioni, con un investimento aggiuntivo cumulato richiesto alle politiche pubbliche pari a 5.021 milioni di euro.

Il terzo scenario prende in esame un target più espansivo (4%), come indicazione di un “deciso salto di qualità” dell’impegno pubblico nel settore: il fabbisogno finanziario 2016-2020 sarebbe pari a 15.243milioni di euro, con un investimento aggiuntivo richiesto di 7.767 milioni. Soltanto in questo caso – sottolinea lo studio – l’ltalia si ritaglierebbe “un ruolo di leadership in Europa sulla sanità digitale alla pari con gli altri Paesi battistrada, che già adesso prevedono di avvicinarsi alla quota del 4%”. Tuttavia, non è detto che, da soli, gli investimenti bastino a determinare un cambio di rotta di radicale.

Secondo lo studio Censis-ImpresaLavoro bisogna affrontare almeno altre quattro questioni. La prima è il “ridisegno complessivo” del sistema salute: “Il nodo centrale non è tanto la tecnologia in sé e la digitalizzazione dell’esistente, quanto la riorganizzazione del sistema per favorire la continuità assistenziale ospedale-territorio, l’empowerment di medici e pazienti, l’integrazione socio-sanitaria, il potenziamento della prevenzione, lo sviluppo di forme domiciliari di assistenza, la riprogettazione delle cure primarie e la definizione di adeguati percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali (Pdta)”.

Poi c’è una questione socio-culturale, quella che riguarda “la partecipazione degli utenti al processo, la facilitazione dell’acquisizione di una avanzata cultura digitale dei servizi e il contrasto a forme di divide culturale”.

La terza priorità, invece, riguarda la definizione di una diversa governance di sistema: “La sanità digitale ha bisogno di svilupparsi ad un passo cbe la burocrazia non regge. Per questo va realizzata una governance nazionale dell’innovazione che coinvolga i diversi livelli regionali e territoriali e che definisca una griglia di indicatori per la misurazione dell’efficacia degli investimenti in ICT, sia in termini di output e uutcuine sanitari, sia a livello organizzativo.

Infine, ciò che servirebbe è “la definizione di una chiara politica della sicurezza e della privacy per i dati sanitari trattati in ambiente digitale, come presupposto per creare fiducia nei pazienti verso l’uso di questi strumenti”. Senza investimenti e politiche adeguate per l’eHealt, non solo l’Italia rinuncia a competere con i Paesi europei che già da tempo hanno colto il senso di questa sfida, ma sacrifica i vantaggi che la sanità digitale può portare all’intero sistema: “Senza un cambio di policy – si legge nello studio – il Ssn non potrà avvalersi pienamente dei benefici attesi dai servizi e dagli strumenti di sanità digitale, che – attraverso una più evoluta condivisione delle informazioni e una più avanzata interazione fra pazienti, medici, operatori e strutture sanitarie – consentono un guadagno di efficienza, un’ottimizzazione nell’erogazione dei servizi, una riduzione dell’errore medico, un incremento della sicurezza del paziente, un miglioramento della gestione delle patologie croniche”.

Lo sviluppo dell’eHealth viene annoverato tra le azioni prioritarie della “Strategia per la crescita digitale 2014-2020” messa a punto dal governo per “portare l’Italia entro il 2020 in linea con gli altri Paesi europei”. In particolare, la digitalizzazione della sanità viene descritta come “passaggio fondamentale per migliorare il rapporto costo-qualità dei servizi sanitari, limitare sprechi e inefficienze, ridurre le differenze tra i territori, nonché innovare le relazioni di Front-end per migliorare la qualità percepita dal cittadino”. In questa direzione vanno una serie di iniziative avviate dal ministero della Salute su Fascicolo sanitario elettronico (Fse), ricetta elettronica (ePrescription), dematerializzazione di referti medici e cartelle cliniche, Centri unici di prenotazione (Cup) e telemedicina. Così come il Patto per la sanità digitale – previsto dal Patto per la Salute 2014-2016 – approvato a luglio dalla Conferenza Stato-Regioni. Dopo una lunga attesa.

Il necessario cambio di passo della sanità digitale

Il necessario cambio di passo della sanità digitale

di Carla Colicelli* – Sole 24 Ore**

Una recente indagine Censis del 2015 sul tema della digitalizzazione della Pubblica amministrazione ha mostrato che tra coloro che usano internet il 39% si dichiara poco o per nulla in grado di utilizzare i servizi online della Pa, quota che sale al 49% tra gli ultrasettantacinquenni; mentre i servizi online più usati sono quelli legati alla comunicazione e all’informazione, e tra gli utilizzatori dei servizi online circa il 66% ha utilizzato la posta elettronica, il 39,8% ha letto giornali online, oltre il 36% frequenta social network. Quote più basse hanno svolto attività transattive, quali lo svolgimento di operazioni bancarie (24%), l’acquisto di beni e servizi (15,6%, comprese prenotazioni di visite mediche), la gestione di pratiche con gli uffici pubblici (12,7%, comprese richieste di servizi).

Questi ed altri dati certificano un sostanziale gap tra Italia ed altri paesi europei nella diffusione della utilizzazione dei servizi informatici che riguardano la pubblica amministrazione e i suoi servizi, e ciò nonostante la evidente ampia propensione degli italiani ad accogliere di buon favore le innovazioni tecnologiche e le loro applicazioni in altri ambiti. Ugualmente ampi sono, al tempo stesso, i benefici attesi a seguito della diffusione della digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche e soprattutto in area sanitaria, in termini di efficienza e qualità. Le motivazioni che stanno alla base delle attese in tema di processo di digitalizzazione in sanità sono sia di natura sociale che di natura economica. Dal punto di vista sociale il valore sta principalmente nella opzione di rendere il cittadino fulcro dei processi di cura, offrendogli strumenti perché riesca ad assumere un ruolo maggiormente attivo nella gestione della propria salute. In questa prospettiva, i cittadini vengono considerati non tanto utenti finali dei servizi digitali quanto veri e propri co-protagonisti della digitalizzazione del sistema. A questo proposito fondamentali sono gli obiettivi della condivisione delle informazioni, della interazione fra pazienti, operatori e strutture, della riduzione dell’errore medico e della gestione delle patologie croniche. Non mancano al tempo stesso, dal punto di vista sociale, importanti criticità legate ad alcune implicazioni sociali e culturali, quali la partecipazione degli utenti al processo, la facilitazione della acquisizione di una avanzata cultura digitale dei servizi ed il contrasto delle forme di divide culturale esistenti e future, che rischiano ed ancora più rischieranno di rendere vani gli sforzi. Da questo punto di vista è evidente che per transitare verso una sanità moderna ed efficiente, alla quale la digitalizzazione può dare un contributo primario, occorre agire sulle carenze informative, sulle lacune tecnologiche ed in particolare informatiche, sulla scarsa considerazione del ruolo che spetta al fattore umano nella relazione terapeutica, e sulla effettiva fruibilità dei canali tecnologici.

Dal punto di vista economico, invece, va innanzitutto sottolineato che ancora troppo poco si è indagato sui risparmi possibili grazie alla utilizzazione della strumentazione informatica in chiave prospettica, per la scelta delle terapie più appropriate, per la personalizzazione delle cure, per l’integrazione dei servizi e per il superamento delle lungaggini burocratiche. E troppo poco si è riflettuto sulla necessità di consolidare gli investimenti rendendoli quanto più possibile fruttuosi.

Proprio per inquadrare nel medio periodo le prospettive della sanità digitale italiana in termini di fabbisogno finanziario e strategico, lo studio prodotto da Censis e Impresalavoro, e presentato al pubblico presso il Censis martedì 5 luglio (Le condizioni per lo sviluppo della Sanità Digitale: scenari Italia-UE a confronto), esamina lo stato dell’arte e gli scenari al 2020, prospettando la necessità di una accelerazione dell’impegno, sia in termini di investimento che in termini di architettura e governance del sistema. In particolare Giuseppe Pennisi, presidente del Board scientifico di Impresalavoro, ha analizzato i dati relativi alla spesa per sanità digitale in Italia ed Europa, gli scenari evolutivi prevedibili ed auspicabili e le implicazioni di policy. La conclusione cui si arriva è che ci sia bisogno di un cambio di passo e di risorse aggiuntive considerevoli, se vorremo contrastare l’allargamento della distanza tra noi ed il resto d’Europa che si è verificato negli ultimi anni. Ma al tempo stesso bisogna essere consapevoli del fatto che l’investimento finanziario non basta, e che bisogna mettere mano anche alla architettura del sistema di offerta e di gestione dei servizi sulla base di un nuovo approccio, che tenga conto dei modelli di valutazione del rischio e della compatibilità strategica generale.

*Advisor scientifico della Fondazione Censis
**Dal Sole 24 Ore del 12 luglio 2016

Le condizioni per lo sviluppo della Sanità Digitale: scenari Italia-UE a confronto

Le condizioni per lo sviluppo della Sanità Digitale: scenari Italia-UE a confronto

Nella prospettiva della Strategia Europa 2020 il processo di digitalizzazione della sanità italiana appare ancora in ritardo rispetto alla maggioranza dei Paesi UE sulla base degli indicatori disponibili. Le performance insufficienti rispecchiano il basso livello di spesa eHealth dell’Italia, pari nel 2015 all’1,2% della spesa sanitaria pubblica, rispetto alla media UE compresa fra il 2 e il 3%, con punte vicine al 4%.

Per inquadrare nel medio periodo le prospettive della Sanità Digitale italiana in termini di fabbisogno finanziario, lo studio esamina tre scenari al 2020 della spesa. Il primo scenario di tipo più conservativo ipotizza il raggiungimento a fine periodo di un target del 2% di spesa eHealth su spesa sanitaria pubblica. Il secondo scenario ipotizza un target intermedio pari al 3%. Il terzo scenario prende in esame un target più espansivo del 4%, come indicazione di un deciso salto di qualità dell’impegno pubblico nel settore.

I risultati dell’analisi mostrano che il Servizio Sanitario Nazionale debba realizzare nei prossimi anni un deciso cambio di passo nelle risorse finanziarie da investire in Sanità Digitale, per stare al passo con i Paesi europei più avanzati in questo settore. I tre scenari considerati indicano che l’accelerazione dell’impegno finanziario al 2020 richieda risorse aggiuntive per la Sanità Digitale comprese in un range fra 2 e 7,8 miliardi di Euro, rispetto al fabbisogno tendenziale di 7,5 miliardi, per arrivare ad un impegno complessivo stimato fra 9,5 e 15,2 miliardi di Euro.

Senza questo cambio di policy, il Servizio Sanitario Nazionale non potrà valersi pienamente dei benefici attesi dai servizi e dagli strumenti di Sanità Digitale, che – attraverso una più evoluta condivisione delle informazioni e una più avanzata interazione fra pazienti, medici, operatori e strutture sanitarie – consentono un guadagno di efficienza, un’ottimizzazione nell’erogazione dei servizi, una riduzione dell’errore medico, un incremento della sicurezza del paziente, un miglioramento della gestione delle patologie croniche.

Peraltro la questione degli investimenti è un fattore necessario ma non sufficiente per lo sviluppo della Sanità Digitale e per il conseguimento dei benefici connessi. Occorre affrontare contestualmente il tema del ridisegno complessivo del sistema salute, quello del digital divide, quello della costruzione di una governance nazionale dell’innovazione e di una strategia architetturale complessiva, quello della definizione di una chiara politica della sicurezza e della privacy. Mentre resta ancora aperta a livello internazionale la questione di una corretta misurazione e valutazione dei benefici e dei ritorni dell’investimento in Sanità Digitale.

Clicca qui per scaricare il paper completo curato da Censis e ImpresaLavoro

Sanità digitale: presentazione dello studio Censis-ImpresaLavoro

Sanità digitale: presentazione dello studio Censis-ImpresaLavoro

LE CONDIZIONI PER LO SVILUPPO DELLA SANITÀ DIGITALE: SCENARI ITALIA-UE A CONFRONTO

Martedì 5 luglio – ore 10.30 Censis – Piazza di Novella, 2 – Roma

Apertura e introduzione:
Giorgio De Rita – Segretario Generale Censis
Massimo Blasoni – Presidente Centro Studi ImpresaLavoro

Presentazione dello studio Censis-ImpresaLavoro:
Carla Collicelli – Advisor Scientifico Censis
Giuseppe Pennisi – Presidente Board Scientifico ImpresaLavoro

Tavola rotonda
Introduce e modera Giuseppe Greco – Segretario Generale Isimm Ricerche

Intervengono:
Tonino Aceti – Coordinatore Tribunale per i Diritti del Malato
Luigi Boggio – Presidente Assobiomedica
Massimo Casciello – Direttore Generale Digitalizzazione Ministero della Salute
Giacomo Milillo – Segretario Generale Fimmg

Conclusioni:
Federico Gelli – Commissione Affari Sociali Camera dei Deputati

I benefici attesi dalla sanità digitale in termini di efficienza e qualità sono evidenti, dalla condivisione delle informazioni, alla interazione fra pazienti, operatori e strutture, alla riduzione dell’errore medico, alla gestione delle patologie croniche. Per inquadrare nel medio periodo le prospettive della sanità digitale italiana in termini di fabbisogno finanziario, lo studio esamina lo stato dell’arte e gli scenari futuri al 2020, prospettando la necessità di una accelerazione dell’impegno, sia in termini di investimento che in termini di architettura e governance del sistema.

Rimandati e declassati

Rimandati e declassati

Giuseppe Pennisi – Avvenire

Ci è stato chiesto dai “poteri costituiti” di prendere con “spirito sportivo” la decisione dell’Unione europea di “rimandarci” alla “stagion dei fiori” (invero con Francia e Belgio) per un nuovo esame dei conti pubblici e dei progressi effettivi delle riforme. Quando il 5 dicembre Standard & Poor’s ha declassato a BBB- i nostri titoli di Stato (il gradino appena superiore a quello dei “titoli spazzatura”) ci è stato detto da compiacenti mezzi busto televisivi che le agenzie di rating sono una cricca che comunque ormai conta poco.

Purtroppo, proprio il 5 dicembre, un saggio di Iftekhar Hasan della Fordham University di New York, di Suk-Joong Kim della University of Sydney e di Eliza Wu dell’University of Technology di Sidney veniva pubblicato dalla Bank of Finland (Discussion Paper n. 25/2014): in esso si afferma che le agenzie pesano molto, specialmente nella valutazione che gli operatori danno al rischio di debito sovrano (che in Italia marcia verso il 135% del Pil).

Sempre il 5 dicembre, in quella Villa Lubin tanto agognata dalla Corte dei Conti che si è posto un articolo ad hoc nella riforma della Costituzione tra breve all’esame della Camera, veniva presentata la quarantottesima edizione del Rapporto Censis il cui tema di fondo è il capitale inagito di un’Italia dove famiglie, banche e imprese sono molto liquide, ma non investono per timore del futuro (nonostante i “road show” del volenteroso Presidente del Consiglio per infondere fiducia).

Ancora il 5 dicembre, nella Sala Emeroteca della Banca d’Italia, si è svolto dalle 9 alle 18 il consueto convegno annuale di fine anno della Banca d’Italia (solo per inviti): sono stati discussi dieci lavori scientifici sul tema “l’impatto della crisi sul potenziale produttivo e sulla spesa delle famiglie” – i lavori, come spesso avviene, saranno oggetto di un volume in primavera.

C’è un forte nesso tra queste notizie: il declassamento deciso da Standard & Poor’s è la punta di un complesso iceberg denso di implicazioni (come ci ricorda la Banca centrale finlandese), il lavoro Censis ne sviscera gli aspetti sociologi, gli studi della Banca d’Italia ne esaminano quelli economici.

Non è questa la sede per analizzare il Rapporto Censis o i documenti (a volte molto tecnici) presentati al convegno della Banca d’Italia. Tuttavia, il lavoro Censis mostra un’Italia delusa che si appresta a celebrare un Natale mesto. Gli studi della Banca d’Italia rappresentano un importante blocco di lavori per definire politiche a lungo termine non necessariamente in linea con quelle annunciate da Palazzo Chigi. Auguriamoci che Piazza di Priscilla (sede del Censis) e Via Nazionale (sede della Banca d’Italia) non vengano additati come covi di gufi. Invece, il Natale dovrebbe essere l’occasione per studiare e fare contrizione nei confronti del peccato capitale dell’orgoglio.

In sintesi che lezione si trae? Mutuando dal titolo di un libro di successo di Carmen Reinhart “This Time is Different”. Questa crisi (che riguarda una piccola parte dell’economia mondiale, l’eurozona, mentre il resto è in buona salute) è differente da quelle degli ultimi ottocento anni perché nella sua prima parte (2008-2010) ha sconvolto la finanza mondiale e nelle seconda (2012-2014) ha messo a nudo i danni, sulle strutture economiche, di un debito sovrano fuori controllo.

La lezione principale è che è urgente affrontare (specialmente in alcuni paesi europei, tra cui l’Italia è in prima fila) il debito sovrano non tanto per le risorse che assorbe in interessi passivi, ma perché blocca le politiche essenziali per tornare a crescere. O almeno per non distruggere ulteriormente l’industria manifatturiera, non aggravare la situazione delle giovani generazioni, non comprimere ancora i consumi delle famiglie a più basso reddito, non continuare ad aumentare la pressione fiscale e parafiscale complessiva (inclusa quella degli enti locali).

Dai lavori esce un messaggio forte: cambiare strada. Se si è ancora in tempo.

Questione di Censis

Questione di Censis

Massimo Gramellini – La Stampa

L’Italia è un Paese che umilia i giovani, denuncia l’ultimo rapporto Censis del diversamente giovane Giuseppe De Rita. Solo una sparuta minoranza immagina che l’intelligenza serva a farsi strada nella vita. Anche la cultura e l’istruzione godono di scarsa considerazione. I ragazzi italiani credono che per fare carriera servano le conoscenze giuste e i legami familiari, registra il presidente del Censis con sorpresa e, gli va riconosciuto, un certo dispiacere. Dopo di che procede alla nomina del nuovo direttore generale del Censis, l’ingegner Giorgio De Rita.

Sulle prime molti pensano a un caso di omonimia. Invece no, Giorgio è proprio figlio di Giuseppe. Fortunatamente non si tratta di raccomandazione, familismo o conflitto di interesse, fenomeni già catechízzati da De Rita (Giuseppe) in una dozzina di rapporti Censis. Dc Rita (Giuseppe) ha scelto De Rita (Giorgio) in quanto è il più bravo di tutti. E se tuo figlio è il migliore, non dargli il posto solo perché la nomina dipende da te sarebbe una discriminazione all’incontrario. Qualsiasi interpretazione diversa, sostiene De Rita (Giuseppe, ma probabilmente anche Giorgio), significa «cercare a oltranza il capello».

Il ragionamento ha una sua audacia, ma forse sottovaluta il fatto che qualsiasi altro padre interpellato dal Censis affermerebbe che suo figlio è il più bravo di tutti. Per questo nelle nazioni diverse dalla Corea del Nord vige l’usanza di impedire a un padre di assegnare incarichi di rilevanza pubblica a un figlio, sia pur bravissimo. Si tratta di clausole curiose dal nome a noi ignoto di regole. Ne scoprirà l’esistenza il prossimo rapporto del Censis.