marco bertoncini

Sulla legge di stabilità un normale caos legislativo

Sulla legge di stabilità un normale caos legislativo

Marco Bertoncini – Italia Oggi

Il tira e molla sulla stabilità rientra nelle usuali riscritture di disegni di legge o addirittura di decreti-legge. Risultano deliberati in una seduta governativa, ma sono generici articolati da completare. È accaduto che siano perfino passate due settimane fra il voto in Consiglio dei ministri e la pubblicazione in Gazzetta di un decreto-legge: l’intervallo di per sé nega la sussistenza del requisito dell’urgenza.

Il dinamismo annunciatorio di Matteo Renzi contribuisce ai pasticci. Il bonus bebè è apparso d’improvviso, a qualche giorno dalla deliberazione del governo; alcuni tratti annunciati sono stati ridimensionati, poi, secondo un meccanismo a fisarmonica caratteristico della legislazione nostrana, riapparsi. I pasticci sono stati accresciuti dalle difficoltà frapposte dalla Ragioneria generale. È sempre avvenuto che il governo assumesse decisioni “salvo intese”, vale a dire riservandosi di approfondire specifici aspetti. Peccato che spesso si tratti di questioni tutt’altro che insignificanti. È avvenuto qualcosa del genere pure col disegno di legge di stabilità: dilatazione delle uscite prive di copertura, ricorso all’indebitamento, velati (ma non tanto) intendimenti tassatori.

Nel parlar corrente continuiamo, anche per ovvie esigenze di sintesi, a riferirci alla “legge” di stabilità. Di fatto, abbiamo avuto più stesure di un “disegno di legge”. Possiamo poi presumere che, com’è avvenuto ieri con la fiducia sul processo civile e con la posizione di fiducia sullo sblocca Italia, le modifiche apportate dalle Camere (e le nuove riscritture dello stesso governo) renderanno solo in parte riconoscibile il testo originale. Meglio: il testo annunciato in origine (senza avere un compiuto provvedimento).

Si sa dove tagliare, se si vuole

Si sa dove tagliare, se si vuole

Marco Bertoncini – Italia Oggi

Peccato che il lavoro svolto da Carlo Cottarelli sia destinato a restare in larga misura inattuato. Eppure basterebbe applicare anche soltanto una parte dei suoi suggerimenti, consigli, riflessioni, per ottenerne ampi vantaggi. Citiamo un solo caso, venuto fuori ieri nel corso della seduta della commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria: il numero dei Comuni. Il commissario alla revisione della spesa, ormai in limine vitae, ha osservato che 8.000 Comuni sono troppi, che bisognerebbe ridurli (così da consentire fra l’altro un più facile coordinamento), che occorrerebbero «meccanismi premiali» per favorire gli accorpamenti.

Andrebbe osservato che anche venti regioni sono troppe: il Molise potrebbe costituire una provincia non una micro regione a sé, popolosa come un municipio di Roma Capitale. Sono troppe pure le centodieci e oltre province: ovviamente, se ne era annunciata prima la riduzione, poi la soppressione completa, ma finora si è vista solo la soppressione del suffragio popolare. E poi sono troppe le aziende partecipate i consorzi, gli enti intermedi… Basterebbe pensare a quel che succede in questi giorni, in conseguenza dei malanni ambientali: si rimpallano le responsabilità regioni e autorità di bacino (o come si chiamano), consorzi di bonifica e comuni, protezione civile e perfino tribunali amministrativi, senza dimenticare che ci sono perfino le non dissolte province a introitare il loro sempre vivo tributo ambientale, con destinazione ignota ma pagato come addizionale sulla Tari.

Sì, Cottarelli ha ragione: bisognerebbe promuovere gli accorpamenti. Non la semplice nascita di unioni fra comuni, ma la totale dissoluzione di più comuni piccoli in un solo comune maggiore, più esteso e più popoloso. La questione non va ristretta ai cosiddetti oneri per la politica, perché in tal caso il risparmio (pur presente) sarebbe ridotto: va invece inserita in un discorso di semplificazione dei troppi e troppo invadenti e spesso conflittuali enti pubblici, per diminuirne sia il numero sia la prevalenza nella vita civile. Secondo recenti dati dell’Istat, oltre 3.500 Comuni contano meno di 2.000 abitanti ciascuno, più di 2.100 hanno una popolazione fra i due e i cinque mila abitanti, altri 1.100 e passa stanno sotto i 10mila amministrati. Sarebbe fuori luogo chiedere di accorpare, tempo un anno, almeno i quasi 140 enti che hanno meno di 150 abitanti, a livello cioè di un condominio nemmeno troppo popoloso?

Le riforme annunciate adesso non bastano più

Le riforme annunciate adesso non bastano più

Marco Bertoncini – Italia Oggi

L’invito del commissario europeo Katainen (Non basta mettere in agenda le riforme, bisogna applicarle) riecheggia stimoli di molti commentatori. Siccome la fase fabulatoria di Matteo Renzi procede, è invitato a smetterla con frasi a effetto, messaggini, battute. Gli arrivano esortazioni a riflettere sulle priorità.

Nella situazione economica e finanziaria, nella condizione dei conti pubblici, con la salita del debito e del peso fiscale, anche da personaggi favorevoli al riformismo predicato da R. giungono consigli: scelga, presto, quali siano le riforme meglio rispondenti alle esigenze di questi mesi. E tenga presente la condizione di Camera e Senato. Finora Renzi ha peccato (per presunzione?; per ignoranza?) di sottoconsiderazione per tempi, riti, problemi, numeri in Parlamento. Non tiene in sufficiente conto, per esempio, la legge di Stabilità, con relative sessioni di bilancio. Eppure al medesimo strumento legislativo sono state rinviate decine di disposizioni originariamente previste nel decreto- legge sblocca Italia (e non solo in esso), uscito pesantemente ridimensionato rispetto all’originale.

È diffuso, insomma, l’invito a lasciar andare le promesse sulla rivoluzione totale, quasi su una rinnovata «ricostruzione futurista dell’universo», per passare a poche indispensabili riforme, immediatamente attuabili, che producano effetti tanto entro poco tempo quanto in futuro. Non si tratta soltanto di rispondere a quel che (si dice spesso a vanvera) ci è chiesto dall’Europa, dalle organizzazioni internazionali, dalla Banca europea ecc. Si tratta di darsi alcuni obiettivi, grandi e strategici, e d’imporli, prima di tutto al Pd, poi alle Camere. Altrimenti, è facile prevedere una nemmeno lenta corrosione del fenomeno Renzi.

Il rottamatore fa il restauratore

Il rottamatore fa il restauratore

Marco Bertoncini – Italia Oggi

Milioni di italiani hanno conferito fiducia a Matteo Renzi. Se un numero ancor più milionario di connazionali ha preferito la protesta grillina o l’astensionismo, non si può negare che, magari rassegnatamente o quasi disperatamente, non pochi elettori hanno conferito un mandato a R., credendo nelle sue promesse di rottamatore. Questa funzione rivoluzionaria il presidente del consiglio la esprime, per ora, con una frenesia comunicatrice che comincia a destare insofferenze. Non poche soluzioni indicate o tracciate o sostenute per una fetta degli innumerevoli problemi che ci angosciano non sono rivoluzionarie. I tagli lineari ricordano l’identica proposta sostenuta da Giulio Tremonti, contestato dalle opposizioni dell’epoca per l’incapacità di operare tagli più incisivi e soprattutto individuati, con una decisione quindi politica e non con un’operazione meramente aritmetica. L’insofferenza verso l’azione del commissario alla spesa pubblica rimane quella tipica di qualsiasi politico, di qualsiasi partito, di qualsiasi governo, contro le decisioni incidenti sulla spesa.

Indipendentemente dal merito, pure il blocco degli stipendi per i pubblici dipendenti è una decisione non rivoluzionaria, bensì conservatrice delle scelte operate dai passati governi. Quanto agli aumenti delle accise, puzzano addirittura di prima repubblica. Si potrebbe parlare di continuità del montismo, fenomeno ormai storicizzato che ha lasciato un buon ricordo esclusivamente in Mario Monti e in qualche suo ministro.

Giustizia, lavoro, fisco: questi sono nuovi e fondamentali impegni che attendono R. Si vedrà presto se le corporazioni, dal sindacato delle toghe al veterosindacalismo confederale, ridurranno il rottamatore al rango di restauratore.

Renzi deve affamare la bestia (la P.A.)

Renzi deve affamare la bestia (la P.A.)

Marco Bertoncini – Italia Oggi

Silvio Berlusconi persevera nell’attendere gli articolati dei decreti legge (molto meno pressanti saranno i disegni di legge) prima di esprimersi pro o contro singoli provvedimenti di Matteo Renzi. Intanto, però, dal suo partito, segnatamente dal gruppo della camera con Il Mattinale, arrivano irrisioni e smentite a proposito di tempi, promesse, impegni passati e presenti di R.

Mettere a confronto le sparate sui cento giorni iniziali con le realizzazioni concrete è redditizio, in termini di propaganda. Similmente, riesce facile rilevare che i percorsi parlamentari sono l’opposto delle celeberrime imprese annunciate dal presidente del consiglio.

In sintesi, i fatti ridimensionano l’opera del rottamatore, che finora ben poco ha rottamato. Il caso delle aziende pubbliche parla da solo. R. è costretto a seguire il commissario alla riduzione della spesa, ma parzialmente e con tempi che sono l’opposto del necessario. Forse la ragione fondamentale, come però soltanto qualche isolato osservatore rileva, sta nel non voler affrontare con il necessario coraggio e ab imis i problemi economici. La strada è quella indicata da Ronald Reagan negli anni 80: affamare la bestia. Ossia togliere il sostentamento all’apparato pubblico tutto intero, dallo stato ai comuni passando per enti pubblici, regioni, partecipate. Come? Diminuendo fortemente il carico fiscale. È l’unico modo vero per tagliare la spesa pubblica. Il normale ragionamento dell’uomo politico si fonda su questo interrogativo: come posso far fronte a queste spese? La risposta passa inevitabilmente attraverso il fisco. È tutt’altra faccenda, invece, rispondere alla domanda: non avendo le entrate necessarie, quali spese devo cancellare?

Il renzismo si sta un po’ afflosciando

Il renzismo si sta un po’ afflosciando

Marco Bertoncini – Italia Oggi

La conferenza stampa sui mille giorni è stata in linea perfetta col personaggio Matteo Renzi. Dal trionfalismo alle battute, dagli annunci alla passione quasi sfrenata per i lanci di agenzia (nel senso che i suoi cinguettii, i suoi messaggi, i suoi lucidi, i suoi siti, vivono essenzialmente di fosforescenti immagini, di sintesi, di avvisi), c’era tutto R. nella compiaciuta presentazione di programmi, impegni, realizzazioni.

Per lui l’ideale sarebbe una generale sospensione di giudizio, sino al termine dei mille giorni, come non ha mancato di auspicare. Le valutazioni, tuttavia, già arrivano. Non è vero che siano riedizioni di negativi commenti già falliti prima del voto europeo. Infatti, oggi non ci sono soltanto alcuni sondaggi che indicano una minor presa di R. sugli elettori, del resto quasi scontata, anche perché il successo, le attese, le speranze, la percentuale medesima ottenuta alle europee, erano talmente elevati da non poter rimanere senza qualche caduta. No: l’elenco dei critici e degli insoddisfatti cresce. Si guardi ai republicones, dagli assalti del Fondatore contro il «Pifferaio» ai dubbi sui conti e sulle mancate coperture che si leggono con frequenza su L’Huffington Post. Si vedano i segnali non amichevoli giunti dal sindacato degli imprenditori (e collegato giornale): non paiono di sostegno talune dichiarazioni di personaggi quali Marchionne o Della Valle. Fior di commentatori, di analisti, di osservatori, validi o tali presunti o, insomma, quotati per la maggiore, hanno espresso dubbi, riserve, critiche, così su La Stampa come sul Corriere. Mentre il montismo durò fino alle urne, il renzismo pare un po’ afflosciarsi. Soltanto il Cav resta in attesa, magari non benevola, però attesa.

I conti non tornano, o si vende o si tassa

I conti non tornano, o si vende o si tassa

Marco Bertoncini – Italia Oggi

C’è stata prima un’offensiva di anticipazioni su prelievi pensionistici, manovra correttiva, patrimoniale. Il clima è subito divenuto pessimo per il governo, specie per il dispensatore di ottimismo Matteo Renzi. Arriva allora la controffensiva, con le volutamente tranquillizzanti frasi del sottosegretario Graziano Delrio (che con l’intervista a la Repubblica riacquista quel ruolo di «Gianni Letta di R.» che pareva aver perduto) e con le solite battute dello stesso presidente del Consiglio.

Tutto bene? No. Senz’altro, specie in agosto, i retroscena dei giornali sono sovente pure bufale. Molte ipotesi sono frutto di riflessioni di personaggi senza ruolo istituzionale.

Peccato però che, partendo dal superministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, vi fossero fonti ufficiali a far testo delle minacce o, se si vuole, delle preoccupazioni. Quando il sottosegretario Pier Paolo Baretta se ne esce dichiarando «Chi guadagna fino a 2 mila euro netti di pensione al mese può stare assolutamente tranquillo», il risultato è semplice: allarmare centinaia di migliaia di pensionati (sia con più di 2 mila euro netti, sia titolari di più pensioni), oltre quelli che percepiscono, poniamo, 1.500 euro e che ben sanno come si parta dall’oro per colpire l’argento e arrivare al bronzo o dai «ricchi» (da far piangere) per spingersi presto ai ceti medio-alti prima, ai medi poi.

Il guaio è in radice. Poiché non si procede con le grandi riforme strutturali (alienazioni del patrimonio pubblico, liberalizzazioni, privatizzazioni, revisione del sistema sanitario nazionale, riscrittura del comparto di regioni, enti locali ed enti pubblici), si finisce col tirar fuori del cappello aumenti tributari o, ancora, soluzioni tampone e insufficienti.

Panico da manovra, l’Istat imbarazza R.

Panico da manovra, l’Istat imbarazza R.

Marco Bertoncini – Italia Oggi

La recessione segnalata dall’Istat non è stata certo ben accolta dalla maggioranza. Il timore diffuso, anche nel governo, è la manovra. Da decenni si procede, talora anche più volte in uno stesso anno, con «manovre correttive» che si traducono in incrementi fiscali, mascherati da ritocchi, rimodulazioni, redistribuzioni, ma nella sostanza consistenti in intacchi al portafogli. Ovviamente se il governo Renzi ricorresse a una manovra, verosimilmente robusta (dell’aumento impositivo si è già servito, ma è sfuggito alla pubblica opinione), addio discontinuità.

In effetti, le reazioni subito emerse nella maggioranza hanno badato a ridimensionare o smentire il ricorso alla manovra. Che ci siano problemi di coperture, tuttavia, è evidente: del resto, parla da sé il recente scontro proprio su buchi nelle casse tra palazzo Chigi, da un lato, e la Ragioneria dello stato col sovrappiù del commissario alla revisione della spesa pubblica, dall’altro.

Sul piano strettamente politico, sarà interessante vedere come reagirà Fi. Sono noti i (pur cauti) tentativi di apertura verso R. da alcuni esponenti del movimento berlusconiano: se gli abbiamo dato un aiutone per riforme e italicum, perché non dargli un aiutino per l’economia? C’è una riserva mentale: aiutiamolo anche per la giustizia, per vedere che cosa ci può essere concesso.

Ovviamente Renato Brunetta ha immediatamente rilanciato le polemiche contro la conduzione economica attuata da Renzi&Padoan. Finora il Cav ha lasciato fare al capogruppo dei deputati nelle sue giornaliere (e tutt’altro che campate in aria) offensive. Le nuove cifre lo spingeranno ad avallare ancor più la campagna specifica contro il governo o, all’opposto, a meditare una possibile intesa?