Se il grande fratello fiscale mette gli occhi sul mattone
Francesco Forte – Il Giornale
La disoccupazione è volata in ottobre al 13,2%. Quella giovanile è salita al 43,3. La pressione fiscale eccessiva, la sua distribuzione sbagliata, le tecniche vessatorie di accertamento attuate dai tre governi succeduti a Berlusconi hanno generato disoccupazione e bloccato il Pil fra recessione e stagnazione. E il Pil quest’anno decresce dello 0,3%, per il brusco peggioramento del secondo semestre, mentre nel 2015 si recupera solo lo 0,3 perso nel 2014. L’Italia non è solo fra gli stati con la più alta pressione fiscale del mondo, con il 44% del Pil. Ha anche una distribuzione sbagliata del carico fiscale e aliquote eccessive che riducono il gettito, distorcono l’economia, bloccano la domanda interna ed estera e creano tutti i presupposti per la disoccupazione.
Monti, Letta e Renzi hanno commesso un errore fiscale enorme inasprendo di continuo la tassazione di immobili e rendite finanziarie, mentre la teoria della crescita in economia di mercato dice che le imposte sui capitali sono particolarmente dannose. Ora noi abbiano il record della tassazione patrimoniale che arriva al 3% del Pil, contro lo 1,8 della media Ocse (l’organizzazione economica mondiale che include gli stati sviluppati) e lo 1,7 dell’Unione europea. Nel 2011 eravamo sulle medie Ocse ed europee.
Il brusco balzo in avanti non solo ha creato la crisi edilizia e la connessa perdita di Pil e di occupazione. Ha anche indebolito le banche perché i loro parametri patrimoniali, al netto delle sofferenze (molto aumentate per la crisi edile) sono peggiorati. In più, la riduzione del valore degli immobili ha ridotto le garanzie della clientela, con aumento del rischio di credito. Situazione aggravata dall’esodo di capitali, stimolato della fiscalità su immobili e rendite finanziarie e dal fatto che i possessi patrimoniali diventano sempre più la base per le verifiche fiscali.
Adesso, con l’emendamento alla legge di Stabilità, promosso dal governo, per cui i dati bancari vengono incrociati automaticamente con quelli dell’Agenzia delle entrate, si ha una spinta alla riduzione degli impieghi di denaro nei depositi e nei portafogli gestiti dalle nostre banche, un aumento dei flussi contante e di quelli all’estero. Renzi ha preferito erogare 80 euro in busta paga che eliminare l’Irap sul costi del lavoro, per la generalità delle attività economiche. Ha finanziato le sue operazioni di consenso sociale con l’inasprimento fiscale sui patrimoni, non solo con la Tasi e l’unificazione di essa con l’Imu e la tassazione al 26% sulle rendite finanziarie, ma anche con quella sulla previdenza integrativa.
Questa manovra di presunta equità sociale doveva generare crescita e occupazione ma ha avuto l’effetto contrario. Non serve il «Grande fratello fiscale» per dare più entrate. Occorre ridurre le aliquote. Ad esempio, le vendite di immobili sono tassate con imposte di registro del 9%. E ciò ingessa il mercato. Le maggiori imposte sul risparmio e le aspre aliquote progressive di tassazione sul reddito falcidiano le classi medie. Ciò mentre le classi di reddito più alte sfuggono all’alta tassazione, tramite la globalizzazione finanziaria. Sulle imprese italiane grava un peso fiscale differenziale a causa dell’Irap, che distorce la nostra competitività. Riducendo le aliquote ci sarebbe più gettito dal flusso di attività che si genererebbe. E la gente, pagando i tributi penserebbe di pagare il dovuto.