È fallita una PMI ogni cinque

Tino Oldani – Italia Oggi

Il solco che separa il bla-bla del governo dalla cruda realtà dei fatti sta diventando preoccupante. Prendiamo le piccole e medie imprese (pmi), che da sempre sono la vera spina dorsale dell’economia italiana. Il primo rapporto Cerved dedicato a questo settore, potendo contare su una messe di dati senza eguali, ha rivelato pochi giorni fa che, dall’inizio della crisi economica (2008) ad oggi, una piccola e media impresa su cinque è uscita dal mercato. In dettaglio: su 144 mila pmi censite, 13 mila sono fallite, più di 5 mila hanno avviato una procedura concorsuale non fallimentare, altre 23 mila sono state liquidate volontariamente.

L’amministratore delegato del Cerved, Gianandrea De Bernardis, ha tenuto a precisare che le pmi considerate, secondo la definizione Ue, sono quelle con un fatturato tra 2 e 50 milioni di euro e tra 10 e 250 dipendenti. In questa forchetta, in Italia ci sono 144 mila società che generano un giro d’affari di 851 miliardi, con un valore aggiunto di 183 miliardi, pari al 12% del pil nazionale. Dunque, una colonna portante dell’economia, che purtroppo si sta sgretolando sempre di più.

Poiché la crisi dura da ben sette anni, cosa hanno fatto finora i vari governi per le pmi? Cercando una risposta su Google, si scopre che il 28 agosto scorso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha emesso un comunicato grondante ottimismo sul successo dei mini bond, introdotti con il decreto Competitività per aiutare le pmi, con un carico fiscale ridotto. «Lo strumento dei mini bond» recitava il comunicato, «è ormai decollato e diventa sempre più diffuso tra le piccole e medie imprese che intendono accedere al mercato per reperire risorse di finanziamento in alternativa al credito bancario. Negli ultimi due mesi sono ben 26 le pmi che, per la prima volta, si sono affacciate sul mercato dei capitali e hanno emesso mini bond per un valore complessivo di un miliardo. Le emissioni vanno da un minimo di 5 milioni a un massimo di 200 milioni». Concludeva entusiasta Padoan: «Porteremo questa positiva esperienza all’attenzione dei partner europei in occasione dell’Ecofin di Milano».

Purtroppo per Padoan, il presunto «decollo» dei mini bond viene ora smentito dai dati del Cerved, che descrivono una realtà ben diversa. Su 144 mila imprese, sono soltanto 29 quelle che hanno emesso finora obbligazioni finanziarie, per un valore che si è fermato a 226 milioni; la torta complessiva dei mini bond agevolati sul piano fiscale, pari a 4,2 miliardi, è andata per il 95% alle grandi imprese. Di certo, spiega la ricerca Cerved, su questi dati ha influito un certo ritardo culturale delle pmi italiane, che, a differenza di quelle tedesche e francesi, dipendono per il 98% dai finanziamenti bancari. E poiché il credit crunch non ha mollato la presa, e poiché i pagamenti dei clienti e dello Stato hanno accumulato ritardi pazzeschi, ecco spiegati i fallimenti che hanno costretto una pmi su cinque a chiudere i battenti.

È evidente che senza una vera ripresa dei flussi del credito bancario, non vi sarà alcuna ripresa. Lo sa bene anche Matteo Renzi, che sul sito che porta il suo nome (matteorenzi.it) ha postato qualche tempo fa una proposta dettagliata, con un titolo roseo: «250 miliardi di credito garantito per le aziende». Recita il testo: «Oggi molte imprese, anche sane, soffrono, e in alcuni casi chiudono perché il credito non è disponibile. E quando è disponibile, è erogato a condizioni molto onerose. Tante aziende sono inoltre messe in difficoltà dai crediti verso la pubblica amministrazione. In queste condizioni, competere con i tedeschi e gli olandesi è quasi impossibile».

Ecco allora la soluzione di Renzi: «Riteniamo che l’accesso al credito sarà una delle leve principali per consentire alle piccole imprese di sopravvivere e per avviare un nuovo ciclo di crescita. Per questo prevediamo di riallocare sui fondi di garanzia del credito almeno 20 miliardi di fondi europei, in modo da garantire almeno 250 miliardi di crediti a piccole e medie imprese, dando all’imprenditoria sana, in particolare nel Sud, l’ossigeno per ripartire, a tassi competitivi con le imprese tedesche e olandesi».

Dettaglio importante: il post reca la data del 14 novembre 2012, quando Renzi era ancora sindaco di Firenze, ma parlava già come se fosse il presidente del Consiglio. I fondi di garanzia del credito, infatti, erano una sua idea: voleva che ne sorgesse uno in ogni Regione, con fondi del programma europeo Jeremie (Joint european resources for micro to medium enterprises). Peccato che da quando è premier se ne sia completamente scordato, per dare la precedenza a riforme controverse (Jobs act, articolo 18, Senato regionale, legge elettorale), buone per stare ogni giorno sul teatrino mediatico, ma del tutto inutili per favorire la ripresa delle pmi, o quanto meno per ridurre il numero dei loro fallimenti.