Non solo soldi, serve anche la fiducia

Francesco Manacorda – La Stampa

Potrebbero servire davvero altri 100 euro in busta paga promessi ieri dal premier agli italiani – per la precisione solo ad alcuni italiani – a spingere i consumi e l’economia? A differenza degli 80 euro messi a marzo nelle buste paga più basse attraverso un taglio delle aliquote fiscali questi nuovi 100 euro – che deriverebbero dall’anticipo di metà della liquidazione e riguarderebbero solo i dipendenti privati – non sarebbero reddito aggiuntivo, ma semplicemente reddito anticipato: una somma che va subito nella disponibilità dello stesso lavoratore a fronte però di una rinuncia a riscuotere dalla sua azienda quella stessa somma, debitamente rivalutata alla fine del rapporto di lavoro.

Alcune imprese, in questo scenario, potrebbero trovarsi penalizzate rispetto a quanto è accaduto in marzo. Allora, infatti, si decise di tagliare il cuneo fiscale sul lavoro solo a favore dei dipendenti e sulle aziende non ci furono effetti, ne negativi né positivi. Adesso, invece le aziende sotto i 50 dipendenti – quelle che possono tenere il Tfr in cassa e lo usano per soddisfare le loro esigenze di liquidità – vedrebbero svuotarsi all’improvviso la cassaforte. Renzi assicura che si verrà incontro alle loro esigenze facendo sì che il denaro a basso costo che arriva dalla Bce alle banche italiane sia convogliato proprio a queste aziende. Le banche non paiono intenzionate a fare le barricate. Dunque la soluzione è possibile, ma probabilmente non è semplice: le esperienze di credito per decreto del passato – ricordate i prefetti che secondo Giulio Tremonti dovevano vigilare sulle banche? – non sono memorabili. E in più adesso gli istituti devono fare i conti con una serie di esami e regole internazionali che li porteranno a stringere e non ad allargare il credito.

Al di là delle polemiche sull’utilizzo del Tfr, comunque, è chiaro che per il governo – in questa fase economica – il risparmio privato, in alternativa ai consumi, non è più una virtù. Del resto, se è vero che dalla crisi del 2008 a oggi il tasso di risparmio delle famiglie italiane è calato sensibilmente – secondo i dati Bankitalia solo dal 2008 al 2010 è sceso dal 12,1 al 9,7% del reddito lordo – resta il fatto che si tratta di una percentuale elevata se confrontata a quella di altri Paesi occidentali. I depositi bancari, poi, aumentano e da due anni le sottoscrizioni di fondi comuni salgono senza sosta: solo nei primi sei mesi del 2014 gli italiani hanno messo nel risparmio gestito 60 miliardi contro i 65 dell’intero 2013.

Il problema, però, è che la cinghia di trasmissione tra reddito disponibile, propensione ai consumi e propensione al risparmio non funziona sempre allo stesso modo. È ovvio che se il reddito è appena sufficiente sarà speso tutto in consumi e il risparmio diminuirà o scomparirà del tutto. Ma non è altrettanto ovvio che mettendo più soldi in tasca agli italiani – siano essi 80 o addirittura 180 euro – questi si trasferiscano integralmente, o almeno in parte, sui consumi. In una fase d’incertezza come questa è più facile che vengano destinati a un prudente risparmio. Addirittura si potrebbe pensare che in alcuni o in molti casi il Tfr anticipato possa essere reinvestito subito in piani pensionistici individuali, per far fronte a un trattamento futuro che – basato ormai solo sul sistema contributivo – sarà inevitabilmente più basso di quello della generazione precedente. In Italia ci lamentiamo molto dell’insistenza tedesca per un’austerità di bilancio che rischia di soffocare l’economia, ma poi ciascun capofamiglia cerca per quanto possibile di fare di casa sua una piccola Berlino, virtuosa nelle scelte finanziarie, prudente nelle spese e nemica del debito.

Mettiamola così: senza soldi in più i consumi non sono destinati a crescere. Ma solo con soldi in più non è assolutamente detto che crescano. Per far rinnegare agli italiani la virtù privata del risparmio che si trasforma in vizio pubblico serve anche la fiducia. O almeno ci vuole qualche certezza in più all’orizzonte. Su alcuni fronti che alimentano l’incertezza – dalla Siria all’Ucraina – un singolo governo nazionale non può quasi nulla. Su altri capitoli, invece, può essere incisivo: una ragionevole certezza sull’assenza di nuove tasse (anche occulte o in arrivo dagli enti locali), una definizione chiara delle regole sul lavoro e una transizione – se ci sarà – all’anticipo del Tfr senza eccessive complicazioni per dipendenti e aziende, peseranno di sicuro sulle nostre scelte di consumo e di risparmio. Anche se a fine mese non le vedremo segnate sulla busta paga.