Siamo meno ricchi ma il risparmio cresce
Davide Giacalone – Libero
Nel mentre la ricchezza prodotta dagli italiani diminuiva il risparmio gestito cresceva e cresce. L’uscita dalla recessione è solo un segno + davanti a uno zero virgola, restando alla metà della media eurozona e al di sotto di quel che la Banca centrale europea considera l’effetto indotto dal Quantitative easing, mentre la crescita del risparmio gestito ha un ritmo nettamente superiore. Si va strologando sull’esistenza o meno (vale il meno) di un «tesoretto» di 1,6 miliardi ma, da gennaio a marzo, sono 52 i miliardi che i risparmiatori hanno versato nelle casse dei gestori. Non sono due universi, ma sempre lo stesso. Per capirne il senso si devono fissare alcuni paletti.
1. Nel mentre, in Italia, ci muoviamo al ritmo dell’«andante» in de profundis, non parlando altro che di crisi, i mercati globali non hanno il metronomo puntato sul “presto”, ma, comunque, fra il «vivace» e l’«allegro». La ricchezza cresce sempre e investirvi è conveniente.
2. I tassi d’interesse dei titoli del debito pubblico puntano verso lo zero, sicché non è più tempo del fai da te. Ci fu quello in cui le famiglie erano contente nell’incassare interessi a due cifre, magari prestando poca attenzione all’inflazione che ne erodeva il significato. Ora non si può essere altrettanto artigianali, se si vuole danzare con la musica della crescita globale.
3. Dal primo gennaio dell’anno prossimo il risparmiatore rischia assieme alla banca. Siamo abituati a pensare che i soldi «depositati» in banca siano al sicuro, perché questo prevede la legge. Magari poco remunerati, ma al sicuro. La legge cambia, però, e i soldi non si depositeranno più, bensì si presteranno alla banca. Saranno remunerati sempre poco, ma il rischio cresce. In caso di bancarotta il correntista con un deposito superiore a 100mila euro sarà chiamato a compartecipare del fallimento, dopo gli azionisti e gli obbligazionisti. E se ha depositato meno, comunque non può riaverli subito. Quindi meglio mettere i soldi in fondi che sono solo custoditi dalla banca, restando di proprietà del risparmiatore. E ricordarsi che le banche non sono tutte uguali.
4. Il sistema pensionistico è stato modificato tante di quelle volte, e i più giovani non ne avranno uno paragonabile a quello dei loro maggiori, che non c’è da stupirsi se accelera la corsa ad assicurarsi in proprio un futuro non del tutto incerto.
5. Questi sono già buoni motivi per risparmiare, facendosi assistere da soggetti professionalmente adeguati (occhio a chi promette troppo, perché si pensa d’esser furbi e si è polli già allo spiedo). Ma c’è dell’altro: i consumi non riprendono anche perché la ripresa è solo nei comizi e nei titoli di qualche giornale. La moneta risparmiata ha incisa la saggezza su un lato, ma la paura sull’altro.
6. La crescita del risparmio non equivale alla crescita della ricchezza, ma segnala la divaricazione interna alla società: chi può mette da parte; chi non può s’impoverisce. I 23 miliardi raccolti nel solo mese di marzo non sono certo l’effetto dei mitici 80 euro, perché quelli sono stati assorbiti da altri prelievi fiscali e dal lievitare dalle tariffe amministrate. Sono due Italie. Se si allontanano troppo generano un terremoto sociale e politico.
7.Il fisco s’è incattivito anche sul risparmio. Il gestito cresce non perché è insensibile alla tortura, ma perché si dirige verso veicoli domiciliati all’estero. Una specie di monumento alla dabbenaggine fiscale, a come il satanismo esattoriale non può che generare diabolicità nella fuga.
8. Proprio perché s’insegue il mondo che cresce, il nostro risparmio va a finanziare chi è capace di farlo. Quindi genera ricchezza all’estero. È giusto che sia così, perché chi amministra quei soldi deve portare risultati ai clienti. Ma è folle che ciò non inquieti chi governa. Il rimedio non è impedire che si generi ricchezza fuori, ma consentire che si possa farlo anche a casa.
Se restassero cinque minuti di tempo libero, fra un sistema elettorale e una fiducia, tutto questo meriterebbe un pizzico d’attenzione.