Ci vuole bilancio mentale
Il Foglio
L’articolo 81 della Costituzione è una piccola biografia d’Italia. Nella sua versione originaria, voluta da Luigi Einaudi, la norma imponeva una disciplina fiscale persino più rigorosa del principio del pareggio di bilancio oggi in vigore. In questa direzione si mosse la legislazione di bilancio fino al 1965, gli anni della grande crescita, della lira stabile e della tassazione moderata. Nel 1966 ci fu purtroppo il cambio di rotta, quando la Corte costituzionale ammise il ricorso all’indebitamento come forma di copertura finanziaria delle nuove spese: si aprì la voragine della politica lassista, il deficit allegro e il debito incontrollato, la cui coda è giunta fino ai giorni nostri.
Le forti tensioni subite dai debiti sovrani negli anni scorsi sono state all’origine della decisione dei paesi membri dell’Unione europea di includere negli ordinamenti nazionali il famigerato Fiscal compact. Il quale sarà pure una camicia di forza, ma solo fino a un certo punto: le spese devono pareggiare le entrate, ma il ricorso all’indebitamento è ancora consentito, con una votazione delle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e al verificarsi di eventi eccezionali come una forte recessione (ad aprile scorso, il Parlamento italiano ha fatto ricorso a questi margini di flessibilità, rinviando il conseguimento del pareggio di bilancio al 2016).
In questo contesto, appare poco comprensibile l’iniziativa di alcuni deputati del Partito democratico – tra cui Stefano Fassina – che con un emendamento alla riforma costituzionale sul Senato chiedono al governo Renzi il superamento del Fiscal compact. I “bersaniani” rivendicano una politica di bilancio anticiclica e misure di stimolo per la dOmanda aggregata. Nessuno nega che un problema di domanda interna esiste, in Italia e persino in Germania. Ma uno stimolo keynesiano ha forse senso con una decisione di scala europea, non con un messaggio nazionale di maggior spesa purchessia. La Banca centrale europea sta adottando una politica monetaria coraggiosa e poco convenzionale, ma ciò è possibile solo e soltanto in virtù della disciplina fiscale, anche di rango costituzionale, che l’Italia e gli altri paesi sI sono imposti. Riaprire oggi una discussione sull’articolo 81 della Costituzione – non in un contesto di ragionati investimenti comuni, ma soltanto per riaprire alla possibilità di rigagnoli di spesa pubblica clientelare – sarebbe un errore fatale: il deficit di oggi è la tassazione di domani e nessuno scommetterebbe su un paese che riprende a firmare cambiali per il futuro. Per di più nel momento in cui, su un altro fronte, annuncia finalmente tagli quantificati (seppur lievi) in sede di revisione della spesa pubblica.