irpef

L’addizionale sull’Irpef cede il passo a un’imposta aggiuntiva

L’addizionale sull’Irpef cede il passo a un’imposta aggiuntiva

Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore

Tassa unica locale dal 2015 e destinata tutta ai Comuni, addio all’addizionale Irpef sostituita con una «sovraimposta» statale con clausola anti-rincari, aumento del fondo crediti di dubbia esigibilità in cambio di ulteriore flessibilità sul Patto di stabilità e sulle coperture degli extradeficit, finanziamento centrale degli interessi sui mutui per gli investimenti comunali, possibilità di usare parte degli oneri di urbanizzazione per finanziare spesa corrente e cancellazione di tutte le norme puntuali che in questi anni si sono concentrate su singole voci dei bilanci locali. Sono i contenuti dell’accordo politico che Governo e sindaci hanno raggiunto ieri a Palazzo Chigi. La direzione, insomma, pare segnata, e ora toccherà ai tavoli tecnici tradurre tutto in regole da inserire nel correttivo alla legge di stabilità. «Gran parte delle nostre richieste sono state accolte dal Governo – ha spiegato il presidente dell’Anci, Piero Fassino, appena dopo l’incontro – e ora la legge di stabilità è un po’ meno onerosa».

Sulla tassa unica, l’accordo conferma le anticipazioni dei giorni scorsi. L’aliquota di base per le abitazioni principali sarà più alta rispetto alla Tasi, ma le detrazioni standard alleggeriranno il peso per le case di valore medio-basso (la maggioranza) e dovrebbero tornare a escludere dall’imposta chi già non pagava né Imu né Ici. Sugli altri immobili, il primo effetto sarà la semplificazione, mentre le imprese attendono interventi di peso sulla deducibilità dalle imposte sul reddito e sull’esclusione dal calcolo dei macchinari (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). La semplificazione, secondo il progetto, sarà però generalizzata dal fatto che i Comuni potranno distinguere il trattamento per grandi categorie di immobili (casa sfitta, casa affittata e così via) e non per micro-dettagli. Imposta sulla pubblicità, tassa sull’occupazione del suolo pubblico e gli altri tributi minori non entreranno nella tassa locale, ma si fonderanno in un canone unico nella disponibilità dei Comuni, che potranno articolarlo come meglio credono. Questa soluzione rende un po’ meno «unica» la tassa locale, ma evita di distribuire sulla generalità dei contribuenti il carico (oltre un miliardo di euro all’anno) oggi pagato da chi mette cartelloni pubblicitari oppure utilizza suolo pubblico per la propria attività commerciale.

Con la tassa locale va in soffitta l’addizionale Irpef, che passa allo Stato. L’idea, sul punto, è di trasformarla in una «sovraimposta», cioè un’addizionale statale calcolata non sull’imponibile ma sulle tasse già versate. Il meccanismo serve a dare progressività alle richieste, e ad escludere del tutto chi oggi non paga Irpef perché ha un reddito basso oppure grazie a deduzioni e detrazioni. In ogni caso, per rendere anche politicamente tranquillo il passaggio, il debutto della sovra-imposta sarà accompagnato da una clausola anti-rincari per evitare di bussare alla porta di chi oggi non paga l’addizionale o paga meno della media grazie alle aliquota basse decise dal Comune. Ora si tratta di capire come adattare al nuovo sistema i conti di tutti i Comuni, agendo prima di tutto sulla perequazione, mentre qualche novità ulteriore potrebbe arrivare sui meccanismi di debutto della riforma dei bilanci.

L’addizionale Irpef ci stende: pesa più delle tasse sulla casa

L’addizionale Irpef ci stende: pesa più delle tasse sulla casa

Fabrizio Ravoni – Il Giornale

Regioni e Comuni come Ugolino della Gherardesca. A lui, Dante fa dire: più del dolor potè il digiuno. Per i contribuenti vale la regola analoga: più della Tasi poterono le addizionali. Secondo uno studio degli artigiani di Mestre, gli italiani pagano più di addizionali comunali e regionali che di tasse sulla casa. E la situazione può soltanto peggiorare, visto l’impegno del governo a concedere autonomia fiscale ai Comuni per compensare il taglio dei trasferimenti.

Tra il 2010 e il 2015 le addizionali comunali e regionali aumenteranno in maniera esponenziale, in relazione al reddito. In media, per un impiegato saliranno del 35 per cento; per un operaio e un lavoratore autonomo del 36 per cento; per un quadro del 38 per cento e per un dirigente del 41 per cento. Il loro peso economico è superiore a quello di Tari e Tasi messe assieme. Una famiglia di tre persone pagherà al Comune sotto forma di tasse sulla casa e sui servizi intorno ai 500 euro all’anno. Dalla sua busta paga, però, il combinato disposto di addizionali regionali e comunali ridurrà il potere d’acquisto di un impiegato di 732 euro; quello di un lavoratore autonomo scenderà per le addizionali di 924 euro; quello di un quadro di 1.405 euro. Mentre un dirigente verserà nelle casse degli enti locali 3.583 euro. Solo un operaio pagherà più di Tasi e Tari che di addizionali: 500 euro contro 430.

Gli artigiani di Mestre hanno anche fatto le simulazioni categoria per categoria. Eccole. Un operaio con uno stipendio mensile netto pari di quasi 1.290 euro, ha visto aumentare in questi ultimi 5 anni il carico fiscale delle addizionali di 114 euro (+36%). Nel 2015 pagherà 429 euro (- 1 euro rispetto al 2014). Un impiegato con uno stipendio netto di poco superiore ai 1.800 euro al mese, tra il 2010 e il 2015 versa 195 euro in più, pari a un aumento del 35%. L’anno prossimo pagherà 747 euro (+ 15 euro rispetto al 2014). Un lavoratore autonomo con un reddito annuo di 40mila euro ha subito un incremento di imposta di 253 euro (+36%). Nel 2015 il peso delle addizionali sarà pari a 747 euro (+ 15 rispetto al 2014). Un quadro con uno stipendio mensile netto di circa 3mila euro al mese, ha subìto, invece, un aggravio di 403 euro (+38%). L’anno prossimo verserà 1.455 euro (+ 50 euro rispetto al 2014). Un dirigente, infine, con uno stipendio di quasi 7mila euro netti al mese ha visto aumentare il peso delle addizionali di 1.094 euro (+41%). Nel 2015 le addizionali peseranno per un importo complessivo di 3.753 euro (+ 170 euro rispetto l’anno prima).

Secondo Giuseppe Bortolussi, segretario degli artigiani di Mestre, il fenomeno è da mettere in relazione al fatto che «negli ultimi anni le addizionali Irpef hanno subito dei forti incrementi, sia per compensare i tagli dei trasferimenti statali, sia per fronteggiare gli effetti della crisi che hanno messo a dura prova i bilanci delle Regioni e dei Comuni». Eppure contro l’aumento delle addizionali non c’è stata la protesta politica e non, come sulle tasse sulla casa. «La ragione di questo paradosso va ricercata – spiega Bortolussi – nelle modalità di pagamento di queste imposte. Le addizionali Irpef vengono prelevate mensilmente alla fonte, di conseguenza il contribuente non ha la percezione di quanto gli viene decurtato lo stipendio o la pensione. Per il pagamento della Tasi e della Tari, invece, i cittadini devono mettere mano al portafogli per onorare le scadenze e recarsi fisicamente in banca o alle Poste. Operazioni che psicologicamente rimangono ben impresse nella mente di ciascuno». Senza contare il fatto che le tasse sulla casa, in tre anni, sono passate da un gettito di 10 miliardi a uno di 31 miliardi.

In cerca di coperture

In cerca di coperture

Dino Pesole – Il Sole 24 Ore

Una manovra “espansiva” per sostenere la domanda interna attraverso la doppia operazione Irpef-Irap è tale solo se si basa su coperture certe. È il compito con il quale si stanno misurando in queste ore i tecnici dell’Economia. Con alcune incognite che andranno chiarite nelle prossime ore. Poiché la legge di stabilità oggi all’esame del Consiglio dei ministri per 11,5 miliardi è finanziata in deficit, vi è da supporre che il governo abbia su questo punto ottenuto una via libera (ancorchè informale e non ancora ufficiale) da Bruxelles. La conferma che staremo comunque sotto il 3% anche nel 2015 è da questo punto di vista una garanzia, fermo restando che è tuttora sub iudice il giudizio che la Commissione esprimerà a novembre, relativamente alla deviazione decisa dall’Italia, rispetto al target del deficit strutturale. Il negoziato – a tratti “muscolare” ma che corre per le vie ordinarie nella sostanza – è in corso, ed è probabile che il compromesso venga alla fine raggiunto (ma non subito) sullo 0,25% di impegno aggiuntivo chiesto già in via informale nei giorni scorsi. Stando alle ultime indiscrezioni, il governo avrebbe già individuato una sorta di «dote di riserva» in manovra per farvi fronte. Sul tutto aleggia la vera questione: appunto le coperture, fondamentali per la sostenibilità dell’intera manovra. Il focus è allora tutto sull’imponente riduzione della spesa corrente annunciata due giorni fa dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi: 16 miliardi.

Alla spending review è affidato il compito di stabilizzare il bonus Irpef da 80 euro per i redditi fino a 26mila euro, e finanziare la più importante novità emersa finora dal work in progress della manovra: l’eliminazione della componente del costo del lavoro dal calcolo della base imponibile Irap, per un totale di 6,5 miliardi. E poi l’annuncio, anch’esso importante, della totale decontribuzione per tre anni per i nuovi assunti. Misure fondamentali, a lungo rivendicate dalle imprese, passaggio importante per cominciare a ridurre una pressione fiscale complessiva che, se si guarda al cosiddetto total tax rate calcolato dalla Banca mondiale in percentuale sui profitti, supera l’impressionante percentuale del 65 per cento. Una scommessa da giocare con coraggio e decisione. L’assoluta certezza delle coperture è precondizione essenziale per rendere credibile ed efficace l’intera manovra. Meno spesa corrente per finanziare il taglio delle tasse: assioma fondamentale, più volte indicato dalla Banca d’Italia, ma anche dalle principali istituzioni internazionali, dal Fmi all’Ocse. Ad adiuvandum, a consuntivo, la dote complessiva delle risorse a disposizione potrà giovarsi dei proventi recuperati dalla lotta all’evasione. Sarà una vera «spending review», che azioni il bisturi del taglio selettivo, in un’ottica di razionalizzazione e redistribuzione delle risorse? La logica dei tagli lineari, la più adottata finora, comporta al contrario diversi rischi: poiché si colpiscono anche le spese “buone”, l’effetto può essere anch’esso recessivo.

L’attesa sulla composizione dei tagli è dunque pienamente giustificata. Una volta approvata la manovra, la partita a ben vedere sarà ancora al fischio d’inizio, poiché una così imponente sul fronte della spesa, per passare indenne dalla probabile raffica di emendamenti che la investiranno nel corso dell’esame parlamentare, necessita di una maggioranza assolutamente coesa. È lecito prevedere fin d’ora che soprattutto al Senato non sarà propriamente una passeggiata. Il lasso di tempo che il governo si accinge a ritagliare tra il varo della legge di stabilità e la trattativa vera e propria con Bruxelles dovrebbe servire appunto (anche per effetto della spending review) a superare le residue obiezioni sulla decisione del governo di rinviare il pareggio di bilancio al 2017, con annessa la scelta di confermare (al momento) allo 0,1% del Pil la correzione del deficit strutturale per il prossimo anno. Si invocano, e a ragione, le circostanze eccezionali previste dall’attuale disciplina di bilancio europea. Se il punto di caduta sarà sui 2-2,4 miliardi chiesti alla fine da Bruxelles, la soluzione di compromesso è a portata di mano. E così a novembre la nuova Commissione europea potrà difendere, almeno formalmente, il suo ruolo di guardiano dei conti, rinviando di fatto alla prossima primavera il giudizio più completo e articolato sia sulla legge di stabilità che sulla persistenza degli «squilibri macroeconomici eccessivi», denunciati lo scorso marzo. E il governo potrà comunque salvaguardare nella sostanza l’integrità della sua manovra “espansiva”.

Tfr, nessuno ha detto quale sarebbe l’aliquota Irpef da applicare

Tfr, nessuno ha detto quale sarebbe l’aliquota Irpef da applicare

Giuseppe Marini – Il Tempo

La ricetta data da più parti per tentare di risanare la nostra economia è stata, come è noto, quella di un alleggerimento della pressione fiscale sulle imprese finalizzata ad agevolare nuove assunzioni e, soprattutto, nuovi investimenti. Il Governo, fedele al principio che i consigli gratuiti non devono essere seguiti, nel mezzo di un acceso (e in buona parte inutile) dibattito sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori tira fuori dal cilindro l’ennesima trovata che è quella di mettere in busta paga tutto o parte del Tfr. E ciò, sembra di capire, per rafforzare il potere di acquisto immediato dei lavoratori.

Come sempre accade, non si dice come ed in quali tempi tale “sconvolgente” innovazione possa essere attuata. Ad esempio, non è stato chiarito quale sarebbe l’aliquota d’imposta che dovrebbe scontare il Tfr pagato in busta paga. Al riguardo, occorre ricordare che la tassazione agevolata del Tfr risponde all’esigenza di evitare che il relativo importo, venendo incassato una tantum pur derivando da un processo produttivo pluriennale, determini un prelievo fiscale ingiustamente gravoso per l’effetto dell’aumento progressivo delle aliquote Irpef. Ma se il Tfr viene incassato in tante soluzioni spalmate nel tempo, tale effetto distorsivo non si realizza in capo al contribuente e sarebbe ragionevole una tassazione ordinaria per chi, liberamente, scegliesse di ricevere il Tfr in busta paga. Inoltre, non si dice come la misura in parola possa essere attuata senza incidere (e in modo devastante) sulla liquidità delle piccole e medie imprese e senza dover fare l’ennesimo “regalo” al Fisco. È vero che le imprese dovrebbero accantonare il Tfr dovuto ai dipendenti e che, pertanto, nessuna incidenza sulla loro liquidità dovrebbe avere il “passaggio” del Tfr nella busta paga dei loro dipendenti.

Ma quanto precede vale solo in teoria ed è invece meno vero o niente affatto vero per quelle imprese, e sono ormai un numero fuori controllo, che proprio per la mancanza di liquidità economica seguono la triste via del fallimento. E la mancanza di liquidità dovrebbe essere, tra l’altro, ben conosciuta dallo Stato essendo in notevole misura imputabile allo Stato che non paga i suoi debiti. È comprensibile, pertanto, come la proposta del Tfr in busta paga abbia raggiunto l’invidiabile risultato di mettere d’accordo Sindacati del lavoratori e Confindustria e contribuire in tal modo alla realizzazione della pace sociale tra lavoratori e imprese. Anche se, una pace siffatta riflette soltanto, come si è tentato di dimostrare, l’inadeguatezza e il carattere improvvisato di certe proposte riformatrici.