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In metà rinunciano agli sgravi del 730, saranno controllati lo stesso

In metà rinunciano agli sgravi del 730, saranno controllati lo stesso

Davide Giacalone – Libero

Ogni mattina un pensionato potrebbe ritrovarsi a far la fila dal medico. Ogni mattina un imprenditore potrebbe dovere versare qualche cosa all’erario. Ogni mattina, quando sorge il fisco, non importa che tu sia pensionato o imprenditore: scappa. Tanto poi ti acchiappano. Quel pensionato e quell’imprenditore sono, oggi, più uniti, nel diffidare dello Stato tassatore e controllore.

La Fondazione nazionale dei commercialisti è una fonte interessata. Diciamo che l’eccessiva semplicità degli adempimenti fiscali e l’idea che i cittadini possano far da soli, non è in cima ai loro desideri. Ma hanno più esperienza, sul campo, di tanti che legiferano. Ebbene, la Fondazione ha commissionato uno studio da cui si evince che circa 6 milioni di contribuenti sarebbero pronti a rinunciare alle detrazioni fiscali cui avrebbero diritto, pur di evitare i controlli. Si può sostenere che diffondano sfiducia e allarme per guadagnare clienti. In questo caso, però, non è così. Perché se l’adesione alla dichiarazione dei redditi precompilata, fornita dall’Agenzia delle entrate, diviene garanzia che non ci saranno controlli successivi, perché mai un cittadino dovrebbe prendersi il rischio di far valere un proprio diritto e scaricare spese che darebbero luogo a un risparmio fiscale marginali, comunque meno di quel che costerebbe un professionista nel caso si dovesse rispondere a rilievi delle autorità? La Fondazione calcola che, in questo modo, l’erario si troverà a incassare 1,5 miliardi non dovuti. Peccato, però, per due dettagli: non è vero che firmare la precompilata inibisce i controlli, perché questi sono sempre possibili sui dati che i terzi hanno trasmesso al fisco (quindi quasi tutti); considerare conveniente rinunciare a un diritto equivale a dire che non si ha nessuna fidu­ cia nella lealtà dell’amministrazione fiscale.

Ieri il Consiglio dei ministri ha varato qualche altro decreto legislativo, in materia fiscale. Oramai vengono giù a spizzichi e bocconi, fermo restando che è rimandato a giugno quello che era già stato illustrato e approvato a Natale (e la cosa passa come se fosse normale, come se non contenesse un sentore venefico il fatto che una norma fiscale la si voglia posporre alle elezioni regionali). Ieri è stato il turno, fra gli altri, dell’abuso di diritto. Dicesi «abuso di diritto» che un soggetto applichi le leggi esistenti, ma per trarne un indebito vantaggio. Che uno dice: scusate, se una legge consente un indebito vantaggio, cambiatela. No, ti rispondono, è il contribuente che deve applicarla con animo candido. Quindi non basta attenersi alla legge, occorre scegliere quella che non faccia sorgere il sospetto che ne stai approfittando.

Non basta: il decreto prevede che, da ora in poi, e sull’abuso di diritto, l’onere della prova spetti all’Agenzia delle entrate. E anche questa passa senza destare il dovuto scandalo: dovrebbe essere sempre così: tu Stato mi accusi, spetta a te dimostrare che ho torto, non a me che ho ragione. Invece no, vale solo su questo. E lo hanno scritto nel decreto. Dove si legge anche che se il contribuente ha un dubbio, ove non voglia abusare della legge, poverella, può chiedere all’ufficio fiscale quale legge applicare. Già me lo vedo: scusi, so che dovrei pagare 100, ma con il comma 329 dell’articolo 89 quater del regio decreto etc. etc., potrei pagare 80, secondo lei quale devo applicare? Risposta: sicuro che non ci sia nulla per cui deve pagare 120? Perché il funzionario che suggerisse la via più conveniente potrebbe andare incontro alla contestazione di danno erariale, qualora qualcuno domani dimostrasse l’abuso di diritto. Mentre, se il suggerimento viene dal commercialista, il professionista ne risponde come complicità, per cui gli devi anche pagare gli oneri dell’assicurazione. Però, oh, non vi lamentare, perché nel decreto legislativo c’è anche scritto che l’abuso di diritto non è contestabile in sede penale. Ovvero: non è un reato avere applicato una legge. Non importa se sei pensionato o imprenditore, scappa.

Mutui a zero: ecco i risparmi

Mutui a zero: ecco i risparmi

Tobia De Stefano – Libero

Alzi la mano chi nell’autunno del 2008, con l’Euribor a tre mesi che viaggiava al 5,35%, avrebbe scommesso anche un solo euro su un futuro con il tasso interbancario sotto lo zero. Bene, ci siamo arrivati. Ieri, per la prima volta da quando nel 1998 Bloomberg ha iniziato i suoi monitoraggi, la scadenza trimestrale ha varcato il territorio negativo (­0,001%). E adesso cosa succede? C’è un effetto immediato per chi ha sottoscritto un mutuo variabile, ma i guadagni potrebbero essere ancora più elevati in futuro con gli analisti che vedono i migliori prodotti costare non più dell’1,30%. E i fissi che li seguono a ruota. In teoria per i prestiti personali non c’è nessun automatismo, ma alla fine le banche dovrebbero adeguare le loro politiche commerciali alla realtà di un costo del denaro sulla soglia del territorio negativo.

Mutui variabili

La rata si calcola così: ogni mese si somma lo spread (quanto la banca decide di guadagnarci) al tasso di indicizzazione che nella grande maggioranza dei casi è l’Euribor a tre mesi o in alternativa quello a un mese (pochi sono i semestrali). Va da sé che se il nostro tasso è negativo, la somma si trasforma in una sottrazione e il gioco è fatto. Ma occhio, perché le banche si stanno attrezzando. «Diversi istituti ­ spiega Roberto Anedda, direttore Marketing di MutuiOnline.it e PrestitiOnline.it stanno inserendo delle clausola nei nuovi contratti dove specificano che il tasso applicato non potrà comunque andare al di sotto dello spread. Mentre per i prestiti in essere sono da escludere sorprese». E il futuro cosa ci riserverà? «L’Euribor resterà stabile sui valori vicino allo zero per un bel po’. Oggi le migliori offerte oscillano intorno all’1,50­-1,70%, ma da qui a fine anno possiamo aspettarci altri aggiustamenti fino all’1,30%». Con un ventennale da 150 mila euro si risparmierebbero poco più di 100 euro all’anno.

Tasso fisso

Ma forse oggi il vero affare si trova altrove. Perché se è vero che l’Euribor non tocca i mutui a tasso fisso è altrettanto vero che il tasso di riferimento dei fissi, l’Eurirs, è comunque influenzato da una prospettiva di costo del denaro vicino allo zero. «In questo momento ­ continua Anedda ­ con gli Eurirs così bassi (0,70% il 20 anni e 0,74% il 30 anni ndr) si trovano le migliori offerte intorno al 2,50%. Un costo dawero basso (appena l’1% sopra i migliori variabili ndr) che il cliente si assicura per tutta la durata del mutuo. Magari non succederà nel brevissimo, ma non bisogna dimenticare che nell’arco di qualche anno è ipotizzabile prevedere una risalita dei tassi che non possono restare in eterno vicino allo zero».

Prestiti personali

Discorso a parte per i prestiti personali, dove i costi complessivi li decide la banca e variano a seconda della finalità. Ma il prezzo del denaro ai minimi e l’Euribor sotto lo zero hanno il loro peso. «Sicuramente ­ evidenzia Anedda ­ non è un fenomeno misurabile, ma la politica commerciale degli istituti potrebbe essere influenzata dall’Euribor a 3 mesi per la prima volta sottozero». Oggi, i migliori tassi sull’auto sono di poco superiori al 6%, quelli per la ristrutturazione restano un po’ più bassi, intorno al 5,70%, mentre le richieste di liquidità, considerata più rischiosa, oscillano tra l’8,60% e il 9%. Domani potrebbero calare.

Prestiti alle imprese

Se fino a oggi poco hanno potuto le operazioni dirette della Bce, allora è inutile farsi illusioni per l’Euribor sotto lo zero. «L’Euribor ­- ricorda Gianni Zorzi, consulente per l’area finanza di ImpresaLavoro -­ ha un effetto psicologico, ma non credo cambierà molto per il credito alle imprese. La componente più rilevante resta lo spread e su quello sono le banche che devono agire. In questo senso la Bce ha fatto il suo, ma la situazione del credito non è migliorata». Forse potrebbe servire la bad bank di cui ha parlato Padoan che libererebbe gli istituti delle zavorre del passato.

Una zona frana al posto di “Dublino”

Una zona frana al posto di “Dublino”

Davide Giacalone – Libero

In tutta Europa si affronta il problema dell’immigrazione ipnotizzati dal pendolo dell’emotività. In Italia c’è un sacco di gente che su quel pendolo si culla, compiacendosi delle cose che dice e alimentando un buonismo e un cattivismo che sono i gemelli dell’inutilità. Ricordando che il saldo previdenziale e fiscale, oltre che produttivo, dell’immigrazione regolare è attivo, quindi ci guadagniamo, ritengo che affrontare la questione, freddamente e ragionevolmente, sia possibile. A patto di non perseverare in tre colpe e dedicarsi a tre rimedi.

La prima colpa è dell’Onu. L’Africa e il Medio Oriente non sono problemi europei, ma globali. Il Paese che investe di più, in Africa, è la Cina. Se la fuga dalle guerre e dalla miseria ha una sponda geografica in Europa, e segnatamente in Italia, questo non attribuisce a quest’area l’esclusiva del problema. È evidente che i profughi non dovrebbero essere soccorsi mentre affogano, ma già quando scappano. L’Onu ha grandi uffici lussuosi e tanti esponenti pronti a far la morale a tutti, ma non ha campi raccolta dove servono e quanti ne servono. Non è una mancanza, è una colpa.

La seconda colpa è europea: con Schengen si è raggiunto un grande e positivo risultato, descrivendo frontiere comuni, ma il regolamento di Dublino (ex Convenzione), che dovrebbe regolare l’immigrazione, è un fallimento. Perderemo Schengen, se non sapremo rimediare. Ed è una colpa europea anche discutere di Triton e Mare Nostrum, magari con l’occhio solo ai costi, perché nessuna di queste soluzioni potrà mai funzionare. ed entrambe diventano collaborazionismo con gli schiavisti, se non hanno alle spalle una comune amministrazione dei migranti.

La terza colpa è italiana: persi nelle baruffe demagogiche sembriamo non vedere che i due poli, del respingimento e dell’accoglienza, sono privi di senso. I migranti di oggi sono già più del doppio del picco 2011, nonché dieci volte la media di questo secolo.Affrontarli con gli strumenti culturali dell’accoglienza e del respingimento è come presentarsi con una pinza nel mentre vien giù una diga.

Veniamo ai rimedi. Il primo rimedio è la sincerità. Il contrasto alle guerre tribali e agli attacchi fondamentalisti consiste nel far la guerra ai nemici della civiltà e della convivenza. In molti casi questa è anche la precondizione per rendere efficaci gli aiuti allo sviluppo. Noi (Europa e Occidente) non possiamo far la guerra a tutti. Si tratta di rendere noto cosa intendiamo e possiamo fare, evitando che alle parole non corrispondano i fatti. Le guerre sono brutte, ma perdere la credibilità è peggio. Perde credibilità anche chi, dopo avere combinato disastri in Libia, usa le stragi per regolare conti petroliferi.

Il secondo rimedio consiste nel predisporre le retrovie dei salvataggi. Noi non potremo mai accettare di assistere alla morte dei migranti. Non per bontà ipocrita, ma perché il giorno in cui l’avremo accettato saremmo già finiti. Come civiltà. Quindi, comunque si chiami la missione, continueremo a salvare migliaia di persone. E poi? Questo è il punto su cui è necessaria l’Unione europea: poi li si porta sulla terra ferma, in zona Ue che non sia sotto una sola giurisdizione nazionale, li si identifica, si destinano i profughi alla loro residenza finale, si accolgono i migranti “economici” che si ritengono utili e si riportano tutti gli altri al punto di partenza. In sicurezza e con determinazione. L’infezione italiana non è l’immigrazione, ma la tolleranza della clandestinità, e il regolamento di Dublino ci designa quali depositari di quell’infezione. Va cambiato subito. Anche per chiarire ai trafficanti che mescolare profughi e clandestini non potrà più portare loro profitti lordi di sangue.

Terzo rimedio: attacco alla Flotta dei barconi. Spetterebbe al governo locale, in difetto del quale è un diritto di chi è minacciato da quelle barche, ed è un atto d’umanità verso quanti ne riempiono e ne riempiranno le stive. Non serve a nulla invocare l’intervento europeo o gemere perché si è rimasti soli. Serve indicare la soluzione possibile. Mettere più soldi negli errori già in atto serve solo a prolungare lo strazio e annegare nelle parole inutili.

Oppositori contabili

Oppositori contabili

Davide Giacalone – Libero

Da che si doveva sventare il pericolo della clausole di salvaguardia a che ci sono soldi in avanzo. Da che si scopre il tesoretto di 1.6 miliardi a che i tecnici di Camera e Senato avvertono che potrebbe diventare necessaria una correzione dei conti, per 6.4 miliardi. Da che si annuncia una valutazione prudenziale della crescita del prodotto interno lordo, fissata allo 0,7 per il 2015 (la metà della media eurozona, ma cresceremo di più, ripetono), a che si festeggia la stima fatta dal Fondo monetario internazionale, che ci vede in crescita solo dello 0,5 (un terzo dell’eurozona). Ora, a parte dotarsi di un pallottoliere, la domanda è: possibile che la sola opposizione, al governo, la facciano i contabili?

L’opposizione non è mera contrapposizione, che di quella abbondiamo. L’Italia è piena di soggetti politici che sono contro le privatizzazioni e contro le amministrazioni politiche, sicché si suppone auspichino la gestione divina. Di politicastri che protestano a fianco di chi è contro i tagli e di chi è contro le tasse. Loro sono “contro”, anche all’aritmetica e alla logica. Lasciamo perdere la coerenza. L’opposizione temibile, però, non è quella che cavalca i brontolii fagiolari (quella, quando vince, è segno che il sistema ha smollato), bensì quella che si rivolge agli elettori e dice: chi governa sta sbagliando, perché queste altre sono le cose che si dovrebbero fare. Meglio se è capace d’individuare la base sociale cui si riferisce, gli interessi che intende favorire e quelli che vorrebbe colpire. Le forze politiche che sono pro tutti sono pro niente e buon pro faccia a chi si sistema. Non la vedo, questa opposizione.

Sulla legge di stabilità c’è chi pubblica riflessioni e proposte e chi presenta critiche e diversi indirizzi. Ma proprio perché le firmano quelle sono posizioni loro, non di una forza parlamentare che stia facendo il mestiere dell’opposizione. Ciò provoca (ieri accadde a destra, oggi a sinistra) il nascere di un’opposizione innaturale, interna alla maggioranza. E comporta che il vincitore di turno diventi il solo giocatore in campo, con il risultato che perde il senso della realtà e dell’equilibrio, fino a gonfiarsi più di un rospo in calore.

A destra ci sono tanti bigotti rimasti sbigottiti, sicché dicono cose insensate su famiglia, procreazione e diritti individuali. Tanti socialisti asociali travestitisi da liberisti immaginari, sicché l’opporsi risulta loro difficile, nel mentre soffrono l’invidia della prestazione. Tanti giustizialisti manettari che vestirono i panni di un garantismo credibile come il botox. Tanti padri costituenti che ieri vollero quel che oggi considerano progenie bastarda. Finché avevano l’aia seguivano giulivi la scia del becchime, ora che si ritrovano nel pollaio inscenano guerre di galli, forse anche per dimenticare d’esser capponi.

Ridicolo far festa per il Pil a +0.5%

Ridicolo far festa per il Pil a +0.5%

Davide Giacalone – Libero

Le campane del Fondo monetario internazionale suonano a morto, per l’Italia, ma da noi si offrono confetti. Il medico che comunicasse una diagnosi fatale, o l’avvocato che mettesse a parte il cliente dell’irrimediabile sconfitta giudiziaria, considererebbero matti gli interessati, se li vedessero festeggiare. Da noi si brinda per dati pessimi. Ed è segno che si è così fuori di testa al punto da negare l’evidenza dei numeri.

Dicono politici, giornali e opinionisti nostrani: secondo l’Fmi l’Italia crescerà più del previsto. Evviva. Dicono i numeri che la stima di crescita del prodotto interno lordo, per il 2015, s’inchioda allo 0,5%. Considerato che il governo ha appena previsto una crescita dello 0,7, a me pare qualche cosa in meno, non in più. Già, si obietta, ma è una stima al rialzo, perché prima il Fmi prevedeva solo 0,4. Peggio mi sento, perché l’incremento, dovuto alle politiche espansioniste della Banca centrale europea, è calcolato in +0,3 per l’eurozona e +0,1 per l’Italia. La nostra crescita incrementale è pari a un terzo della media europea. E non basta, perché la crescita 2015 dell’eurozona è stimata all’1,5 mentre la nostra, come detto, allo 0,5.

Dunque: fino a ieri noi rabbrividivamo all’idea di crescere solo la metà della media europea, mentre ora festeggiamo il crescere solo un terzo. Sono numeri da paura. Ma fa ancora più paura l’incoscienza e la superficialità di chi li commenta con il sorriso di compiacimento. Finalmente si rivede la crescita. Questa è la straordinaria fesseria che sentiamo ripetere. Taluni, e son tanti, hanno l’attenuante di non sapere di che parlano, ma altri hanno l’aggravante di far finta di non sapere cosa diavolo dicono. Tutti popolano la Repubblica dei bonus, quella in cui si redistribuiscono i soldi nel mentre si accresce il debito.

Una classe dirigente che si rispetti, fatta di politici, ma anche di cattedre e opinionisti, dovrebbe avere il coraggio di partire dalle previsioni (quelle del Fmi coincidono con quelle della Banca d’Italia) per dedicarsi a come modificarle, prendendo atto che segnano un sicuro insuccesso italiano, con un aumento del nostro svantaggio competitivo. Da lì si dovrebbe passare ai possibili rimedi. Ad esempio: la nostra macchina produttiva ha dimostrato, con le esportazioni, di avere un motore capace di ruggire, anziché dilapidare ricchezza blandendo elettori si potrebbe concentrare la spinta laddove la si crea, arricchendo tutti, elettori compresi. Ma quelli di domani, mentre ci si occupa solo di quelli odierni. Una classe dirigente non degna di rispetto, invece, prova a negare la realtà, allo scopo di tirare avanti senza farci i conti, Nel frattempo concentrando tutte le energie in partite certo non prive di rilevanza, ma estranee alla sola vitale: la capacità di riprendere la via della crescita, ad una velocità almeno pari a quella degli altri europei. È la sola condizione capace di farci reggere il peso del debito. Il resto è fuffa.

La trappola della “precomplicata”

La trappola della “precomplicata”

Davide Giacalone – Libero

Siete prediffidati, non crediate alla precompilata. Agli italiani che accetteranno l’oracolo del fisco, apponendo la propria firma in calce a quel che l’erario chiede, rinunciando a ogni modifica e ulteriore detrazione, quindi anche a far valere le spese mediche eventualmente sostenute, si dice che, in quel modo, eviteranno ogni successivo controllo. Non è vero. Fate attenzione, perché delle bugie che racconta il fisco si pente solo con congruo ritardo. E senza pagare le ammende che pretende dai contribuenti.

Definimmo «precomplicata» quella che s’annunciava come precompilata perché il lavoro non lo ha fatto l’Agenzia delle entrate, che ne mena vanto, ma i sostituti d’imposta. Vale a dire i privati cittadini, per loro i commercialisti, le imprese, i datori di lavoro e, per quel che riguarda i pensionati, le rispettive casse. A una settimana dalla scadenza non era ancora disponibile il modello della CU, la certificazione unica, che ha sostituito la CUD, certificazione unica dipendenti. Tanto è vero che molti di noi hanno ricevuto (o inviato) certificazioni provvisorie e non a norma. Pazienza? Un corno, perché con il nuovo sistema si pagano 100 euro di multa per ogni errore. E il cielo non voglia che oltre a essere irregolare sia pure errata, perché, in quel caso, il contribuente risponde anche di quel che non ha fatto, ma ricevuto. Da qui le missive inviate, per dire: scusate, mi pare sia tutto a posto, ma il modello che mi avete inviato non è quello voluto dall’autorità preposta. Anche nel caso in cui s’accetti l’oroscopo fiscale, trovato nel cassetto digitale, questo non significa affatto che saranno esclusi i controlli. A chi lo sostiene si dovrebbe contestare il raggiro collettivo, perché sono sempre passibili di controlli e accertamenti i presupposti della dichiarazione, inviati all’amministrazione. Ed è la dimostrazione che la rivoluzione di cui parla la direttrice dell’Agenzia, Rossella Orlan­ di, altro non è che un assemblamento d’informazioni, fornite dai privati.

Esempio: la tua banca mi ha detto che hai un mutuo e tu mi hai detto che sei residente nella casa cui quel mutuo si riferisce, io fisco ho usato quelle informazioni per precompilarti la dichiarazione, ma non ne rispondo, perché sei tu banca e tu cittadino che me le hai date. Che, in compenso, sono sventolate minacciosamente verso quanti osino cambiarne anche un solo rigo. Magari, come detto, per detrarre le spese mediche. E non solo saranno controllati, ma ne risponderanno personalmente i consulenti che lo aiuteranno a farlo, siano essi commercialisti o Caf. I quali sono professionisti che il fisco s’era abituato ad utilizzare come esattori, il cui costo era ed è a carico del tassato, al punto da non sopportarne la funzione quando tornano a svolgere il loro genuino mestiere: aiutare il contribuente ad adempiere i propri doveri, senza, però, versare nulla più di quel che si ritiene dovuto. Fate pure, dice il fisco, ma se commettete un errore pagate in due: il contribuente e il complice.

È giusto? Secondo me no, ma ammetto che ci potrebbe anche stare, se l’amministrazione fiscale non si distinguesse a sua volta per grossolana demagogia ed enormità degli errori. Leggo che la dottoressa Orlandi prende le distanze dai blitz stile Cortina. «Abbiamo cambiato atteggiamento», dice. Il modo giusto per perseguire l’evasione fiscale è un altro, usando le banche dati. Ma va?! Noi lo sostenevamo allora, ma finimmo sommersi dalla marea retorica e stucchevole del dagli all’evasore, con il direttore dell’Agenzia che magnificava l’operazione. Sostenevamo allora quel che l’Agenzia dice oggi: è roba spettacolare, ma inutile. Solo che noi ci beccammo le accuse di volere proteggere gli evasori, lanciate da un’opinione pubblica da cotanto ufficio diseducata al rispetto dell’onorabilità di ciascuno. Direi che non guasterebbe ricevere le scuse. Se la cosa risulta complicata, possiamo inviarne una bozza, pre­compilata.

Il divieto di importare Ogm è un suicidio

Il divieto di importare Ogm è un suicidio

Davide Giacalone – Libero

Dopo il suicidio Ogm, agricolo e scientifico, si prepara quello degli allevamenti. L’Italia del pregiudizio s’appresta a pregiudicare una vitale catena produttiva. L’alternativa al suicidio consiste nella più ridicola delle incoerenze. Alla fine di questa storia ci ritroveremo ad avere geneticamente modificato, e cancellato, la ragionevolezza.

Il trionfo della paura irrazionale e della regressione antiscientifica si ebbe durante la presidenza italiana dell’Unione europea, quando i nostri ministri dell’agricoltura, della sanità e dell’ambiente tornarono felici e annunciarono di avere affondato, in un sol colpo, sia l’idea stessa di Ue che la nostra ricerca scientifica e produzione agricola. Risultato che avevano colto suggerendo e ottenendo che ciascuno Stato potesse continuare a proibire (sebbene in via temporanea) la coltivazione degli Ogm (organismi geneticamente modificati) nei propri campi. A quel punto andava a farsi benedire il pilastro giuridico del mercato comune, ovvero che ciascun cittadino europeo può competere con gli altri, a parità di diritti.

Da noi è proibito quel che altrove è consentito. La proibizione in sé è totalmente illegittima, quindi passibile di condanna davanti alla Corte di giustizia. La sua temporaneità è il trucco per renderla possibile. Ricordo che: a. Buona parte della ricerca scientifica Ogm è made in Italy, sicché l’ordalia superstiziosa costringe i migliori cervelli a emigrare; b. i nostri allevamenti consumano, al 90%, soia e mais Ogm, ma d’importazione. Risultato: mangiamo Ogm ogni giorno, ma non possiamo produrli e non è conveniente neanche tenere in Italia i laboratori di ricerca, visto che non c’è mercato.

Ora la Commissione europea s’appresta a un passo avanti, verso il baratro: così come ciascun Paese può proibire la coltivazione potrà anche proibirne l’importazione. E qui si apre un bivio, che sarebbe ridicolo se non fosse tragico: o, coerentemente, proibiamo anche l’importazione, nel qual caso non ci saranno più mangimi nei nostri allevamenti, o dovremo importarne di così costosi da mettere le nostre produzioni fuori mercato; oppure, incoerentemente, stabiliremo che si può importare quel che non si può produrre, continuando a prendere in giro noi stessi e a far finta che, così, non si mettano gli Ogm nel piatto degli italiani.

Del resto, perché mai abbiamo proibito la coltivazione? Perché pericolosa? In questo caso non dovremmo certo agevolare chi quel pericolo lo pratica in 73 milioni di ettari statunitensi, 42 brasiliani, 24 argentini e 12 indiani (solo per’citare le più diffuse coltivazioni). Né possiamo consentire che, mangiando quella roba, le carni che poi commerciamo riconsegnino il pericolo ai consumatori. Siccome, però, non sapremmo come altro fare, ecco che siamo prossimi alla fine della filiera degli allevamenti. Se, invece, proibiamo la cosa solo perché non abbiamo l’onestà e il coraggio di dire l’ovvio, ovvero che gli Ogm non solo sono diffusi ovunque, non solo li consumiamo massicciamente, ma non presentano alcun pericolo, se proibiamo solo per seguire la gnagnera insulsa del falso biologico e del falso naturale (non c’è nulla, fra le cose che mangiamo, che sia tale e quale la natura creò, nulla), allora dovremo sopravvivere grazie all’incoerenza.

Alternativa piuttosto triste, cui si giunge dopo il festival dell’ignoranza e della superstizione. Gran risultato per chi, come noi, nell’innovazione e nella qualità alimentare dovrebbe avere fonti di orgoglio e ricchezza. Non di risibile miseria culturale ed economica.

Pensionando

Pensionando

Davide Giacalone – Libero

Il governo non intende intervenire sulle pensioni. Parola di Yoram Gutgeld, nuovo commissario alla spending review e parlamentare del Pd. Il governo interverrà sulle pensioni, con la prossima legge di stabilità. Parola di Giuliano Poletti, ministro del lavoro. La contraddizione, come vedremo, è più apparente che reale. Quel che fa pensare è la convergenza: le ingiustizie del sistema pensionistico sono considerate non eliminabili.

Posto che le pensioni dovrebbero avere una struttura, una legislazione e una fiscalità stabile nei decenni (perché riguardano la programmazione del proprio futuro lontano), mentre lo sport nazionale è cambiarle di continuo, Gutgeld esclude interventi di taglio, mentre Poletti annuncia interventi relativamente all’elasticità in uscita. Il problema è che, in questo modo, si stabilizza la certezza che a parità di capitale versato ci saranno trattamenti diversi. Un monumento all’ingiustizia.

La legge Fornero accelerò il passaggio al sistema contributivo, in base al quale ciascuno avrà sulla base di quanto ha versato. Nel sistema retributivo, prima vigente, si riscuoteva sulla base di quanto guadagnato (e versato) negli ultimi tre anni, quindi si sarebbe avuto più di quanto dato. Quella legge fu l’urgente (e frettoloso) completamento di un iter riformatore iniziato con la legge Dini, poi continuato con quella Maroni (con la sinistra, governo Prodi in testa, che periodicamente smontava il lavoro fatto). Fornero ebbe il merito di mettere in equilibrio i conti previdenziali a venire. Ebbe il demerito di aprire delle piaghe, come gli esodati.

Una volta passati al contributivo non ha senso porre dei limiti temporali prima dei quali ciascuno non può scegliere se andare in pensione: visto che mi ridate quel che avevo prima versato, sono affari miei quando e quanto credo mi serva per vivere. Se il prelievo previdenziale cessa di essere vissuto come una tassa (tale la vivo, ancora oggi) e diventa un accantonamento di roba che resta propria, deve anche essere possibile quel che già si fa nel Regno Unito e che vogliono introdurre in Francia: il lavoratore può chiedere d’incassare, in tutto o in parte, il capitale. È roba sua. Se il governo intende eliminare le soglie di tempo ed età, quindi, fa bene. Il fatto è che chi versa (contributi e tasse) oggi paga anche per il mantenimento di quanti prendono pensioni per niente legate al capitale versato, mentre non potrà godere di analogo beneficio. Il governo esclude d’intervenire su questa ingiustizia. E sbaglia. Mentre, invece, ha ragione il presidente dell’Inps, Tito Boeri, a metterla in evidenza. Ma come?

Se si accetta il principio dei “diritti acquisiti”, altrimenti detto “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato continui a dare”, non si può toccare nulla. Sono favorevole a infrangerlo, ma si deve farlo con principi altrettanto generali, altrimenti si crea caos e illegittimità. Il principio è: dove il capitale versato non è commisurato alla prestazione erogata, lo Stato ha diritto d’intervenire. In tutti i casi e al fine di non generare altri squilibri, a danno dei più giovani. Si può graduare l’intervento fiscale, progressivo, sulla base dello scostamento fra versato e percepito e sulla base della pensione lorda così generata. Ed è meno ingiusto di fare quel che hanno già fatto: aumentare la tassazione sulle pensioni integrative, rese necessarie dal solo contributivo. È meno ingiusto di taglieggiare chi ha bisogno di prendere anticipatamente i soldi della liquidazione, come si sta facendo.

Resta doloroso, lo so. Ma lo è di più avere nonni ricchi e nipoti spiantati. Proprio perché è doloroso occorre quello che un tempo si chiamava il “buon esempio”, cominciando dalla classe dirigente in pensione, parlamentari in testa. E cominciando da chi è amministratore pubblico e ottiene dall’erario il versamento dei propri contributi, magari proporzionati a ruoli e lavori che non ha mai fatto (vero, Matteo Renzi?). Il che non è demagogico (come tante sparate antiparlamentariste), ma la dimostrazione che ancora sopravvive il buon senso.

Def e amuleti

Def e amuleti

Davide Giacalone – Libero

Siate di buon umore e tirate fuori gli amuleti. Martedì scorso il Consiglio dei ministri avrebbe dovuto approvare il Def (Documento di economia e finanza), ma lo hanno rinviato ad oggi, venerdì. Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, però, ne hanno illustrato i contenuti. Da allora a oggi abbiamo fatto conti ed elaborato opinioni su quelle loro parole. Ieri Piero Fassino ha riferito: il presidente del Consiglio dice che non c’è un testo pronto, quelle in giro sono solo bozze. Di che discutiamo, da martedì? Divertente. Fassino ha aggiunto: ci ha garantito che nel Def non ci saranno tagli nei trasferimenti agli enti locali. Certo che non ci saranno, perché quello è un documento d’indirizzo. Se ne riparlerà a settembre, dovendo preparare la legge di stabilità.

Gli amuleti servono dopo avere letto quel che ha detto Padoan, da Singapore: la crescita italiana potrà essere del 2% nel lungo periodo. John Maynard Keynes (il più influente economista del secolo scorso), a chi gli chiedeva cosa sarebbe successo nel lungo periodo, rispose: saremo tutti morti. Oso supporre che Padoan si riferisca a un orizzonte più prossimo, ma i conti non tornano: se l’Italia cresce la metà della media dell’eurozona, proprio nel momento in cui esce dalla più profonda recessione ed è attiva la spinta monetaria della Banca centrale europea, cosa mai dovrebbe accelerarne lo sviluppo, quando le migliori condizioni immaginabili saranno alle spalle? Questo è l’andazzo: rinviare e tirare a campare. Servirebbe, invece, un’operazione shock, capace di dimostrare che l’Italia ha capito il pericolo della crescita rallentata. Della spesa pubblica, della pressione fiscale e del deficit (quindi del debito) che aumentano anziché diminuire.

Sostiene Padoan che la Commissione europea promuoverà il nostro Def. Certo che lo farà, ma continuare a pensare all’Europa come ad un vincolo conduce a commettere un cumulo di errori. Supporre che i conti pubblici di Roma debbano convincere Bruxelles distrae dalla questione più importante: dovrebbero convincere gli italiani. Il punto non è che il Def sventi aggravi dell’Iva, sicuramente depressivi. Il punto è che si approfitta di una ripresina indotta dalle politiche espansive europee (altro che eurorigore!) per continuare a non fare quello che da anni è urgente: tagliare la spesa pubblica. Ci stiamo prendendo in giro da soli, immaginando che le non scelte siano buone cose se solo si riesce a farle deglutire alla Commissione.

Vedrete che tutta la discussione finirà con l’incentrarsi sullo scattare o meno delle clausole di salvaguardia. Se saranno sventate, il governo griderà vittoria. Se scatteranno, gli oppositori strilleranno. Modo bislacco di vedere le cose. L’Iva è solo l’imposta messa (da questo governo) ad automatica difesa dei saldi. Che vanno rispettati non perché “ce lo chiede l’Europa”, ma perché, altrimenti, sale il prezzo del debito, superando il valore di ogni furbata. Se i saldi si difendono in altro modo, ad esempio facendo crescere l’imposizione su altro (la casa è l’oggetto più gettonato: +178% in tre anni), l’Iva non sale automaticamente, ma noi stiamo ugualmente dandoci la zappa sui piedi. Porsi come obiettivo il non far scattare l’Iva significa avere già perso la partita, concentrandosi sulle conseguenze.

Se non vogliamo svegliarci, nell’autunno 2016 (quando si fermerà la Bce), avendo accresciuto il nostro svantaggio competitivo, la pressione fiscale deve diminuire. Altro che non aumentare. Tale risultato, favorito dalla discesa dei tassi d’interesse, può essere agguantato se si taglia la spesa pubblica. Che, invece, come l’Istat ha documentato e qui abbiamo raccontato, continua a crescere. Né si pensi di cavarsela premendo sul deficit, per il quale s’invoca la corda “elastica”. Cui impiccarsi. Noi continuiamo a cumulare deficit più alti di quelli programmati, con il risultato di far crescere il debito. Significa che il nostro problema s’aggrava. Si fa credere a quattro beoti propagandisti che la spesa pubblica sarebbe anticiclica e pro sviluppo, scomodando l’anima di Keynes. Ma nessuna spesa improduttiva ha mai prodotto sviluppo. Semmai produce debito e tasse. I veleni che uccidono la crescita. Forse propiziano voti, ma poi devi portarli in qualche santuario, invocando miracoli impossibili e immeritati. Fin qui il miracolo l’ha fatto l’Italia che produce ed esporta. Quella che ancora si munge.

Ci indigniamo per gli 8mila evasori totali ma sono gli stessi del 2013

Ci indigniamo per gli 8mila evasori totali ma sono gli stessi del 2013

Davide Giacalone – Libero

Quando le fiamme gialle scoprono evasori e malfattori i contribuenti e le persone oneste gioiscono. Se fanno due conti e mettono in moto la memoria, poi un po’ s’ammosciano e indignano. Nel Rapporto annuale della Guardia di Finanza si legge che nel 2014 sono stati scoperti 8mila evasori totali, 17.802 reati tributari e 13.062 denunciati (146 arrestati). Il dato relativo agli evasori totali è in linea con quello degli anni scorsi (ad agosto del 2013 comunicarono di averne trovati 4.933, da gennaio). Ci sarà pure una fabbrica di evasori totali, ma al ritmo di 8mila l’anno dovrebbero pur diminuire. Invece no. A integrare il plotone è probabile ci siano molti casi di piccola taglia, che fanno numero, ma non promettono gettito. Guardiamo quello.

Nel 2013 l’Agenzia delle entrate rese noto che dal 2000 al 2012 si erano accumulati 807,7 miliardi sottratti al fisco. Da quella montagna, però, si dovevano togliere 193,1 miliardi, perché i contribuenti interessati avevano già dimostrato di non doverli; 69,1 erano stati pagati; 20,8 erano ancora in contestazione. Già si scende da 807,7 a 524,7. Si tolgano altri 107 miliardi, perché dovuti da soggetti falliti, quindi a decidere sarebbero dovuti essere i giudici fallimentari, escludendosi le normali procedure di recupero. 19 miliardi erano già stati rateizzati, quindi in corso di riscossione. Da 807,7 si passava a 398,7. Che non è la stessa cosa. È un conto della serva, ma utile a capire che una cosa è l’evasione contestata, altra quella accertata. Una cosa è l’evasione accertata (con sentenza), altra quella recuperata.

L’effettivamente recuperato è il solo dato decisivo, giacché il resto è supposizione o mal funzionamento della macchina pubblica. Veniamo, ad esempio, al Matteo Renzi che dice: non ci saranno nuove tasse. Nei documenti del suo governo (spero li abbia letti), in approvazione domani, c’è scritto che la pressione fiscale crescerà. Nel 2014 è arrivata al 43,5% del prodotto interno lordo; nel 2015 resterà al 43,5, nel 2016 arriverà al 44,1. Il tutto, meglio non dimenticarlo, calcolato su un Pil crescente. Bene, cioè: male. Ma potrebbe anche essere una buona notizia, se l’aumento della pressione fosse dovuto a recupero dell’evasione. Così non è, però, e ciò a causa del meccanismo prima sbozzato: cifre altissime nelle contestazioni, ridotte assai nelle riscossioni. Crescenti sono solo i soldi presi alle persone per bene: +93% dai fondi pensione (i nostri risparmi), 1,1 miliardi nei primi due mesi del 2015.

Torniamo al Rapporto, per averne conferma. I militi contabilizzano in 4,1 miliardi (2014) frodi e sprechi ai danni dello Stato. Fra le frodi vanno inclusi i contributi illecitamente percepiti, per 666 milioni da fonte europea e per 618 da fonte nazionale. Nel corso delle indagini sono stati posti sotto sequestro 161 dei primi e 164 dei secondi. Queste cifre, già nettamente inferiori al teoricamente contestato, non possono essere incamerate dall’erario, perché in attesa che si sappia se ha ragione la Guardia di Finanza o il contribuente. Nel caso sia il secondo, non è escluso che sia schiantato, prima di saperlo. Stesso discorso per gli appalti in odor d’irregolarità: hanno controllato contratti per un ammontare di 4,6 miliardi e ne hanno denunciati per 1,8. Questi sono reati penali, la cui notizia emerge nel 2014, sicché ci rivediamo attorno al 2020 (se va bene), per sapere come è andata a finire. Nel frattempo gli innocenti vivranno l’inferno e i colpevoli si daranno da fare, per mettere al sicuro il maltolto.

Una cosa, però, la si ottiene subito: questi numeri verranno presi come oro colato da quelli che hanno interesse a descriverci come un popolo di zozzoni delinquenti. Eccolo, il ritratto di un Paese in cui tutti denunciano, tutti s’indignano e tutti sono certi che italiani siano solo gli altri. Gli onesti sono la gran maggioranza, ma non hanno diritto di parola, altrimenti tacciati di volere negare il dilagare del crimine, quindi d’esserne complici. Avessero la forza di contare esigerebbero una riformina, banale e decisiva: giustizia funzionante. In quanto al Fisco, gli onesti sanno che la pressione che subiscono è superiore alla media ufficiale, visto che gli altri continuano a non pagare.