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La spesa delle regioni continua a correre
Redazione », Scrivono di noi il tempo, rassegna stampa, regioni, spesa pubblica
Leonardo Ventura – Il Tempo
Nonostante gli annunci di spending review, la spesa corrente delle Regioni continua a crescere: è quanto emerge dall’analisi effettuata dal Centro Studi ImpresaLavoro che, rielaborando i dati resi noti recentemente dalla Corte dei Conti, ha notato come la spesa pubblica corrente delle Regioni nel periodo 2011-2014 sia cresciuta di 3,9 miliardi di euro, passando da 141,7 a 145,6 miliardi (+2,76%). Non tutte le Regioni si sono comportate allo stesso modo. Quelle a statuto speciale hanno ridotto le loro uscite per spese correnti del 2,46%, passando da 31,3 a 30,6 miliardi di euro tra il 2011 e il 2014. Questo «tesoretto» di 0,7 miliardi di risparmi è stato interamente vanificato dall’incremento delle uscite delle Regioni a statuto ordinario, dove la spesa passa da 110,4 a 115,0 miliardi di euro (+4,25%). Fanno eccezione alcune regioni più «virtuose» come la Lombardia e l’Abruzzo.
Al netto degli importi riversati allo Stato per il cosiddetto Fondo di Solidarietà, la Lombardia emerge come la Regione che ha effettuato i maggiori tagli alla spesa corrente, scesa dell’11,63%. L’Abruzzo ha ridotto le proprie spese correnti del 6,09%. Il Lazio, al contrario, detiene il record del maggiore incremento della spesa nel periodo considerato (+33,33%) seguito dalla Calabria (+3l,06%). Tra gli enti a statuto speciale buone performance di riduzione della spesa sono state registrate dalla Provincia Autonoma di Bolzano (-6,33%) seguita dalla Sardegna (-5,94%).
Sempre la Lombardia si conferma la Regione più virtuosa in quanto a spesa corrente pro-capite. Per ogni cittadino la Regione spende infatti 1.739 euro a cittadino, meno della metà di quanto esce dalle casse del Lazio, che con i suoi 3.129 euro di spesa corrente pro-capite fa segnare l’esborso più elevato. Tra le autonomie speciali, invece, è la Valle d’Aosta ad avere una spesa corrente pro-capite decisamente superiore alla media delle altre regioni, ordinarie e non. A causa anche della piccola dimensione e dell’impossibilità strutturale di fare alcune economie di scala, ogni cittadino valdostano costa 8.995 euro ogni anno di spesa corrente. Chi spende di meno per spesa corrente pro-capite è la Sicilia con i suoi 2.529 euro, seguita da Sardegna e Friuli Venezia Giulia. La spending review sembra invece funzionare in Lombardia e Abruzzo: le due Regioni con la minor spesa corrente pro-capite sono anche quelle che hanno effettuato i tagli di spesa più consistenti.
Regioni spendaccione: niente tagli, più costi
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Sergio Governale – Il Mattino
I tagli piovono a ogni manovra, ma la macchina statale costa ogni anno sempre di più. In particolare quella delle Regioni. Dopo la «Relazione sugli andamenti della finanza territoriale per il 2014» della Corte dei Conti, diffusa poco prima di Ferragosto, è ImpresaLavoro a calcolare che la spesa corrente delle Regioni continua a crescere, «nonostante gli annunci di spending review più volte fatti dai vari governi». Rielaborando i dati della magistratura contabile, il Centro Studi di ispirazione liberale nato su iniziativa dell’imprenditore Massimo Blasoni ha notato «come la spesa pubblica corrente delle Regioni nel periodo 2011-2014 sia cresciuta di 3,9 miliardi di euro, passando da 141,7 a 145,6 miliardi». Più virtuose nel periodo le Regioni a statuto speciale, che hanno diminuito le uscite in media del 2,5%, creando un «tesoretto», come lo ha definito ImpresaLavoro, pari a 700 milioni, «interamente vanificato dall’incremento delle uscite delle Regioni a statuto ordinario», dove la spesa è aumentata di quasi 5 miliardi, «passando da 110,4 a 115 miliardi». Tra queste ultime, spiccano il Lazio e la Calabria, dove le uscite sono cresciute nel quadriennio di oltre il 30%: più 33,33% nel primo e più 31,06% nella seconda.
Non va meglio se si guarda soltanto alla variazione dal 2013 al 2014. In un anno, infatti, le spese correnti degli stessi enti hanno registrato un incremento rispettivamente del 31,45% e del 21,95%. «Medaglia di bronzo» all’Umbria: più 11,11% nel quadriennio e più 8,3% nell’ultimo anno. In fondo alla classifica la Lombardia, che ha effettuato i maggiori tagli ai costi correnti, scesi dell’11,63%. Seguita dalla Provincia autonoma di Bolzano (meno 6,33%), da Abruzzo (meno 6,09%), Sardegna (meno 5,94%) e Sicilia (meno 2,18%). Si è comportata bene anche la Campania: meno 1,96% dal 2001 al 2014, che però ha visto salire le spese correnti nell’esercizio 2014 del 3,57%.
Nel complesso, si legge nello studio, «l’incremento della spesa corrente nel quadriennio per il totale delle Regioni è stato contenuto: più 2,76%». Gli enti a statuto ordinario hanno invece aumentato la propria spesa del 4,25% mentre, come detto, quelle a statuto speciale l’hanno ridotta del 2,46%». Guardando alla spesa corrente pro-capite del 2014, la lombardia è rimasta la Regione più virtuosa. L’ente che ha sede a Milano ha speso infatti l’anno scorso 1.739 euro per ogni residente, meno della metà di quanto è uscito dalle casse del Lazio, che con i suoi 3.129 euro ha fatto segnare l’esborso più elevato tra le Regioni a statuto ordinario, seguito ancora una volta dalla Calabria con 2.638 euro. Per Palazzo Santa Lucia l’uscita per abitante è stata pari a quasi 2.160 euro.
Tra le autonomie speciali, invece, è la Valle d’Aosta ad aver avuto una spesa corrente pro-capite decisamente superiore al resto d’Italia. «Ogni cittadino valdostano è costato l’anno scorso quasi 9.000 euro», ha spiegato ImpresaLavoro. Mentre «chi spende di meno» nella stessa tipologia di ente «è comunque la Sicilia con i suoi 2.529 euro». Secondo il Centro Studi, la spesa di larga parte delle autonomie, benché più elevata della media delle Regioni a statuto ordinario, «si è sensibilmente ridotta in questi anni di spending review, mentre appaiono incomprimibili larga parte delle uscite sostenute dalle Regioni a statuto ordinario, che rappresentano quasi l’80% della spesa totale».
Il lavoro dei responsabili della revisione della spesa pubblica Yoram Gutgeld e Roberto Perotti, che mirano a ottenere risparmi per almeno 10 miliardi per la manovra 2016 da 25-30 miliardi, è comunque arduo. Secondo Unimpresa, la spesa dello Stato nel primo semestre del 2015, in base ai dati di Bankitalia, è aumentata infatti di quasi 18 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, con una crescita superiore al 7%. Sono «in dubbio gli effetti della spending review, alla base del piano di tagli alle tasse da 45 miliardi annunciato dal governo Renzi», ha avvertito nei giorni scorsi il Centro Studi dell’associazione presieduta da Paolo Longobardi.
Aumenta la spesa delle regioni, al Lazio la maglia nera
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Andrea Morigi – Libero
Altro che spending review: le Regioni rimangono sprecone. Un’analisi effettuata dal Centro studi ImpresaLavoro che rielabora i dati della Corte dei Conti, rivela come nel periodo 2011-2014 dalle casse delle Regioni siano usciti altri 3,9 miliardi di euro, portando l’esborso in termini di spesa corrente da 141,7 a 145,6 miliardi, con un incremento del 2,76 per cento.
Ci sono anche eccezioni virtuose. La Lombardia emerge come la Regione che, al netto degli importi riversati allo Stato per il cosiddetto Fondo di Solidarietà, ha effettuato i maggiori tagli alla spesa corrente, scesa dell’11,63%. L’Abruzzo ha ridotto le proprie spese correnti del 6,09%. Ma il Lazio, al contrario, detiene il record del maggiore incremento della spesa nel periodo considerato (+33,33%) seguito dalla Calabria (+31,06%). Lo stesso vale per la spesa corrente pro-capite. Per ogni cittadino in Lombardia si spendono infatti 1.739 euro, meno della metà rispetto al Lazio, che con i suoi 3.129 euro di spesa corrente pro-capite fa segnare l’esborso maggiore tra le Regioni a statuto ordinario.
Tra le autonomie speciali, invece, è la Valle d’Aosta a posizionarsi decisamente sopra la media delle altre Regioni, ordinarie e non. Ogni valdostano costa 8.995 euro ogni anno di spesa corrente. Sa gestire meglio la Sicilia con i suoi 2.529 euro, seguita da Sardegna e Friuli Venezia Giulia. In termini generali le Regioni a statuto speciale hanno ridotto le loro uscite per spese correnti del 2,46%, passando da 31,3 a 30,6 miliardi di euro tra il 2011 e il 2014. Tra gli enti a statuto speciale buone performance di riduzione della spesa sono state registrate dalla Provincia Autonoma di Bolzano (-6,33%) seguita dalla Sardegna (-5,94 per cento).
In ogni caso, la spesa di larga parte delle autonomie rimane più alta della media delle Regioni a statuto ordinario, nonostante la riduzione. Allo stesso tempo sembra impossibile prevedere altri tagli nelle altre Regioni a statuto ordinario, le cui uscite rappresentano quasi l’80% della spesa totale. Tranne il caso di Lombardia e Abruzzo, che si confermano le Regioni che hanno saputo risparmiare più delle altre. Anche se finora il loro esempio non è stato seguito.
Carburanti, prezzi record in Italia: +17% sulla media UE
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Francesca Basso – Corriere della Sera
Come sempre i dati vanno intrecciati. Se da un lato in questi giorni abbiamo assistito a una rafflca di ribassi sui carburanti per effetto della depressione dei mercati petroliferi internazionali (ieri però è tomata un po’ di calma e il prezzo medio nazionale praticato in modalità self della verde andava da 1,580 a 1,615 euro al litro, pompe no-logo a 1,572), dall’altro il prezzo di benzina e diesel nel nostro Paese continua a rimanere alto se paragonato al resto d’Europa: +17% rispetto alla media Ue, +9% nei confronti della Germania, +13% della Francia, +19% rispetto alla Slovenia e +26% all’Austria.
Una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro, su elaborazione dei dati della Commissione europea (Weekly Oil Bulletin, 27 Luglio 2015), mette in evidenza che per l’incidenza di tasse e accise siamo sul podio: bronzo all’Italia con un peso del 63%, argento all’Olanda con il 64% e oro alla Gran Bretagna con il 66%. Tradotto sul prezzo della verde: 1,6164 euro al litro in Italia, 1,6460 euro in Olanda e 1.6338 euro al litro in Gran Bretagna, a fronte di un prezzo medio europeo di 1,3872 euro al litro. I cinque Paesi nei quali è più conveniente rifornirsi sono la Repubblica ceca (1,2245 euro al litro), la Lettonia (1,2217 euro), la Polonia (1,2135), la Bulgaria (1,1801) e l’Estonia (1,1710). Nel diesel siamo i secondi più cari d’Europa con 1,4329 euro al litro. Il primato resta al Regno Unito con 1,6410 euro, mentre il prezzo medio europeo è di 1,2206 euro.
Friuli Venezia Giulia, ripresa tra colpe e progetti
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Massimo Blasoni – Messaggero Veneto
Stando al recente rapporto “L’Economia del Friuli Venezia Giulia” della Banca d’Italia, i segnali di ripresa dell’economia nella nostra regione non mancano. La produzione industriale, per quanto inferiore del 10% rispetto all’ultimo picco del 2008, mostra segni evidenti di ripresa. Si è anche avuto un rallentamento della stretta creditizia che non poco aveva pesato negli ultimi anni. Il dato che dovrebbe far riflettere è che questi indici positivi trovano le loro origini fondamentalmente nel buon andamento dell’export per fattori esogeni (prezzo del petrolio e svalutazione dell’euro) più che nella capacità regionale di fare sistema e innovazione. Colpe d’attribuirsi in primo luogo agli imprenditori, tuttavia occorre anche chiedersi se l’Amministrazione regionale stia agendo efficacemente per sostenere questa timida ripresa.
All’inizio dell’anno si è proposto un piano di sviluppo del settore industriale, Rilancimpresa: non pare però che si siano sortiti effetti significativi. Scorrendo i molti articoli e commi della legge, pare quasi che l’ambizione principale del dispositivo sia il riordino dei Consorzi Industriali, realtà importanti che rappresentano però solo una minima parte dell’economia regionale. Inoltre, con la stessa legge è istituita, sotto la Direzione centrale attività produttive, l’”Agenzia Investimenti FVG” che, in collaborazione anche con Friulia S.p.A. e Finest S.p.A., dovrà svolgere un ruolo fondamentale nelle politiche di programmazione industriale. Al di là del dubbio sull’opportunità di istituire un nuovo ente restano rilevanti le domande sulla capacità effettiva di Friulia e delle altre partecipate regionali di esplicare appieno le loro mission economiche. Una perplessità che si estende anche a Mediocredito – la banca regionale – e che nasce dall’analisi dei bilanci di queste realtà. Per quanto riguarda Friulia il numero di nuove partecipazioni in società del territorio è in discesa (14,2 milioni nel 2013/2014 contro i 24,9 e i 31,4 dei due esercizi precedenti) e gli investimenti attuati sono circa la metà di quelli deliberati. Anche le partecipazioni complessive passano da 214 milioni nel 2012 a 190 nel 2014: anno in cui le imprese partecipate complessivamente erano 117 (e soltanto 72 fra queste operative). Non va dimenticato che i soli costi di struttura della finanziaria regionale nell’ultimo esercizio si sono attestati a circa 6 milioni di euro, comprensivi di costi del personale per ben 3,8 milioni e costi generali di funzionamento pari a 2,3 milioni.
Nata nel 1964, con un’intuizione assolutamente innovativa per quel periodo, Friulia avrebbe dovuto, attraverso la partecipazione al capitale di imprese locali e finanziamenti a medio termine, conseguire l’obiettivo di far crescere realtà regionali e dar luogo a start up, soprattutto se ad alto contenuto innovativo. Negli anni invece (molte colpe sono anche del centro destra) ha finito per svolgere più il ruolo di ammortizzatore per società in difficoltà, sostanzialmente ritardandone il default a spese dei contribuenti. Non sono pochi i dubbi anche su Mediocredito: è utile per la regione controllare una banca che per basso numero di sportelli e dimensioni modeste rischia di essere strutturalmente in passivo? Senza peraltro poter svolgere un peculiare ruolo di supporto al sistema imprenditoriale locale, attese le stringenti regole di Basilea 3 sul merito creditizio.
Alla luce della rapida trasformazione del tessuto economico occorre una revisione strategica dei non pochi strumenti con cui l’Amministrazione regionale può attuare politiche di sostegno alla competitività del sistema imprenditoriale. La specialità regionale va difesa e assume significato prima che nella contrattazione con lo Stato sulla quantità delle risorse, attraverso la dimostrata capacità di promuovere con la massima efficienza autonome politiche regionali. Vale per la ridefinizione di strumenti come Friulia e Mediocredito. Potrebbe valere – anche se il tema è complesso- anche per ipotesi quali la fiscalità di vantaggio.
Tasse sui risparmi in salita: + 130%
Il Tempo
Un incremento progressivo del 130%, pari a 9 miliardi di euro. A tanto ammonta l’aumento del prelievo complessivo dello Stato sulle attività finanziarie, passato da 6,9 miliardi nel 2011 ai 15,9 attesi nel 2015, stando a una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro basata su dati e indici Banca d’Italia, Abi, Mef e Fideuram. Tale cifra si deve per 4,7 miliardi all’aumento delle aliquote sui rendimenti, per 4 miliardi all’introduzione dell’imposta di bollo proporzionale e per 0,3 miliardi alla Tobin Tax.
Lo studio ImpresaLavoro rileva come, secondo i più recenti dati di Bankitalia, il totale delle attività finanziarie detenute dalle famiglie supera i 3.800 miliardi di euro. Su questa massa di attivi si è registrato, a partire dalla fine del 2011, un «progressivo e repentino inasprimento fiscale». Questo incremento nella tassazione del risparmio appare vertiginoso anche in considerazione del drastico calo della redditività dei titoli di Stato e dei depositi bancari. A inasprire la situazione, da quest’anno è entrato in rigore un «giro di vite fiscale» anche sulla rivalutazione di fondi pensione, casse previdenziali e Tfr. Lo studio mostra che l’incremento delle aliquote sui fondi pensione al 20% ridurrà il montante contributivo atteso dei giovani lavoratori di una percentuale compresa tra il 5% e 18,6%.
Risparmiare con le fusioni
di Gionata Pacor – Associazione Città Comune
Dal riordino degli enti locali possono venire degli utili risparmi di spesa pubblica. Di solito quando si parla di fusione dei comuni ci si riferisce ai centri sotto i 5.000 abitanti, ma sono in corso anche iniziative diverse, che riguardano comuni più grandi. Una di queste è quella di Monfalcone, Ronchi dei Legionari e Staranzano, forse il primo caso in Italia in cui un’iniziativa di fusione è partita dalla cittadinanza, che nonostante la contrarietà dei tre sindaci (tutti e tre del PD), si è organizzata ed ha raccolto 6200 firme autenticate per chiedere un referendum sulla fusione di questi tre comuni che, per compenetrazione urbana, economia ed identità, formano già un’unica città di circa 48.000 abitanti. La normativa regionale del Friuli Venezia Giulia prevede che in primavera si tenga il referendum, nonostante le maggioranze al governo nei tre comuni abbiano fatto poco per agevolare la raccolta delle firme (e qualcosa per ostacolarla).
I motivi a favore di una fusione sono di due tipi: da un lato le potenzialità in termini di riorganizzazione e rilancio del territorio sotto una direzione unica e non frammentata, dall’altro lato la possibilità di ristrutturare ed ottimizzare le amministrazioni pubbliche locali. Questi aspetti sono strettamente connessi tra loro perché un unico comune con un’azione politica coerente può sfruttare meglio le risorse e le infrastrutture del territorio distribuite sul territorio delle diverse amministrazioni (nel caso dei tre comuni in questione si parla di un aeroporto, un porto, la rete ferroviaria ed autostradale, il litorale, le diverse zone industriali, i parchi naturali ecc.), e dalla riorganizzazione delle macchine comunali si possono ottenere i risparmi e le risorse economiche per finanziare quel rilancio.
I risparmi dai costi della politica sarebbero importanti non tanto quantitativamente quanto simbolicamente: due sindaci, una dozzina di assessori e circa quaranta consiglieri in meno farebbero risparmiare circa 270.000 euro l’anno. L’associazione Città Comune, promotrice del referendum, è partita da un confronto con altre città di grandezza comparabile, scoprendo che ci sono città come Empoli che hanno circa 250 dipendenti comunali, mentre i tre comuni da fondere messi assieme ne hanno circa 480. La proposta è quindi quella di una graduale riduzione dei dipendenti comunali senza licenziamenti, attuata man mano che quelli con maggiore anzianità vanno in pensione, per arrivare a circa 320 dipendenti. Il processo prevede l’accorpamento della maggior parte degli uffici (ma non quelli che offrono i servizi direttamente ai cittadini, come ad esempio l’anagrafe), l’esternalizzazione di alcune attività a basso valore aggiunto (ad esempio la manutenzione degli immobili) ed il potenziamento di alcuni uffici (ad esempio l’Ufficio per le Relazioni con il Pubblico e l’ufficio legale). I risparmi calcolati, solo in termini di minore spesa del personale, sarebbero di quasi 3 milioni all’anno. A ciò si aggiungono altri vantaggi difficilmente quantificabili a priori: minori costi di formazione del personale e per le postazioni di lavoro (arredamento e manutenzione degli uffici, computer, software, riscaldamento, corrente elettrica ecc.) e la possibilità di alienare qualche immobile per abbattere il debito pubblico comunale.
Quello di Monfalcone, Ronchi dei Legionari e Staranzano è un progetto che vuol fare da modello e da best practice a livello nazionale e dimostrare i vantaggi dei processi di fusione che, è bene ricordarlo, in Germania sono stati adottati senza nessun referendum consultivo oltre 40 anni fa, tanto che oggi il comune medio tedesco conta 50.000 abitanti, mentre quello italiano ne conta circa 7.500. Di certo non è un processo che da solo potrà risanare le finanze pubbliche ma, se esteso a livello nazionale, potrà fornire un contributo significativo, senza tagliare i servizi ed in certi casi potenziandoli.