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Disoccupazione: la crisi accresce il divario tra regioni

Disoccupazione: la crisi accresce il divario tra regioni

NOTA

Durante gli anni della crisi la disoccupazione in Italia è raddoppiata (passando dal 6,1% del 2007 al 12,2% del 2013) e si è anche accresciuto il divario esistente tra le diverse zone del Paese. Se nel 2007 la differenza tra la regione con la migliore occupazione (Provincia Autonoma di Bolzano) e quella con la peggiore (Sicilia) era di 10,4 punti percentuali, oggi tra il mercato del lavoro migliore (sempre Bolzano) e quello peggiore (Calabria) ci sono 17,8 punti di disoccupazione di differenza. Lo rivela un’analisi dell centro studi ImpresaLavoro su elaborazione dei dati Eurostat.
A reggere meglio l’impatto della crisi sono state le regioni del Nord Est. Rispetto al 2007 la Provincia di Bolzano ha aumentato i suoi disoccupati solo dell’1,8% seguita da Trento (+3,7%) e da Veneto e Friuli Venezia Giulia (+4,3%). Va molto peggio al Sud: la Calabria passa dall’11,2% al 22,2% (+11%), la Campania dal 11,2% al 21,5% (+10,3%), la Puglia dall’11,2% al 19,8% (+10,3%).

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Sono senz’altro i giovani ad aver subìto fin qui i maggiori effetti della crisi: la percentuale di soggetti tra i 14 e i 25 anni privi di occupazione è infatti passata in Italia dal 20,3% del 2007 al 40% del 2013, raddoppiando praticamente in tutte le regioni italiane. Vanno meglio della media nazionale il Friuli Venezia Giulia che passa dal 14,5% al 24,2% (+9,7%), la Sicilia che passa dal 37,2% al 53,8% (+16,6%) e il Veneto che dall’8,4% del 2007 (miglior dato nazionale) finisce al 25,3% (+16,9%). Anche in questo caso si acuisce il divario tra Nord e Sud. Nel 2007 la differenza tra la regione migliore (Veneto) e quella peggiore (Calabria) era di 23,2 punti percentuali. Oggi tra il Friuli Venezia Giulia, regione italiana con il minor tasso di disoccupazione giovanile, e la Basilicata (ultima con il 55,1% di disoccupazione under 25) esiste un distacco del 30,9%.

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Va invece sottolineato come la disoccupazione femminile sia cresciuta con percentuali decisamente inferiori rispetto alla disoccupazione giovanile e in misura leggermente inferiore anche al tasso di disoccupazione generale. Particolarmente interessante è in questo caso il dato della Basilicata che, nonostante un dato comunque molto alto (14,8%) vede calare – è l’unico caso in Italia per qualsiasi tipo di indicatore – il numero di donne disoccupate rispetto al periodo prima della crisi (erano il 15,3%). La media italiana vede questo indicatore peggiorare di 5,2 punti percentuali passando dal 7,9% del 2007 al 13,1% del 2013. La percentuale di donne senza lavoro è molto più alta al Sud (Campania, Calabria, Puglia, Sicilia tutte sopra il 20%) che al Nord. E la situazione continua purtroppo a peggiorare: Puglia, Calabria e Campania sono infatti le tre regioni in cui l’occupazione femminile ha pagato il prezzo più alto, con il tasso di disoccupazione che è cresciuto tra il 7,8 e il 9,2%.
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Banche esose con i prestiti

Banche esose con i prestiti

Massimo Blasoni – Metro

Dal sistema bancario arrivano frequenti dichiarazioni sull’incremento del credito reso disponibile a famiglie e aziende ma la rielaborazione dei dati Bankitalia realizzata dal nostro Centro studi sembra dimostrare il contrario. Da gennaio a ottobre di quest’anno il volume complessivo dei prestiti si è infatti addirittura ridotto di ulteriori 29 miliardi (-1,2%), passando da 2.309,6 a 2.280,8 miliardi di euro. Questa stretta ha colpito tanto le imprese – passando da 837,9 a 819,4 miliardi (-2,2%) – quanto le famiglie, passando da 601,8 a 596,8 miliardi (-0,8%). Rispetto al gennaio 2011, il volume complessivo dei prestiti risulta poi essersi complessivamente ridotto di 61 miliardi di euro, passando da 2.341,6 a 2.280,8 miliardi di euro (-2,6%). In questo arco di tempo le banche hanno ridotto il loro sostegno soprattutto alle imprese (-7,9%, pari a -70,7 miliardi di euro) e si sono dimostrate avare anche nei confronti delle famiglie (-0,2%, pari a -1,3 miliardi di euro). Al contrario si è registrato un sensibile aumento dei prestiti tra banche e altre istituzioni finanziarie (+ 2,1%, pari a +12,6 miliardi di euro).
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Nel 2014 meno prestiti alle imprese per 20 miliardi

Nel 2014 meno prestiti alle imprese per 20 miliardi

Libero

Che le banche non avessero girato a famiglie e soprattutto imprese la liquidità aggiuntiva che gli è arrivata dalla Bce era nei fatti. Ma ora arriva un nuova conferma della tendenza in atto ormai da anni: nonostante la crisi, i rubinetti dei nostri istituti di credito restano sempre più chiusi. Da gennaio a ottobre il volume complessivo dei prestiti si infatti è ridotto di ulteriori 29 miliardi (-1,2%), passando da 2.309,6 a 2.280,8miliardi di euro. La stretta creditizia ha colpito in particolare tanto le imprese – passando da 837,9 a 819,4 miliardi (-2,2%) – quanto le famiglie, passando da 601,8 a 596,8 miliardi (-0,8%). Lo rivela un’analisi del centro studi «ImpresaLavoro» su elaborazioni di dati Bankitalia.

Rispetto poi al gennaio 2011, il volume complessivo dei prestiti risulta complessivamente ridotto di 61 miliardi di euro, essendo passato da 2.341,6 a 2.280,8 miliardi di euro (-2,6%). In questo periodo i rubinetti delle banche si sono ulteriormente chiusi in particolare per le imprese (-7,9%, pari a -70,7 miliardi di euro) e hanno ridottoilloro sostegno anche per le famiglie (-0,2%, pari a -1,3 miliardi di euro) e le pubbliche amministrazioni (-0,5%, pari a -1,4 miliardi di euro). Al tempo stesso si è invece registrato un sensibile aumento dei prestiti tra banche e altre istituzioni finanziarie (+ 2,1%, pari a +12,6 miliardi di euro).

«Ancora ieri le banche italiane hanno ricevuto in prestito dalla Bce nuova liquidità per 26,5 miliardi di euro, nell’ambito di un’azione di rifinanziamento con scadenza a 4 anni finalizzata a riportare il credito alle imprese, che nonostante tutto si ostinano a investire e a produrre» osserva Massimo Blasoni, presidente di “ImpresaLavoro”.«Adesso occorre agire rapidamente per non vanificare questa operazione».

Le banche si prestano denaro tra loro e lasciano a secco imprese e famiglie

Le banche si prestano denaro tra loro e lasciano a secco imprese e famiglie

Il Tempo

I rubinetti delle banche italiane. Da gennaio a ottobre di quest’anno il volume complessivo dei prestiti si infatti è ridotto di ulteriori 29 miliardi (-1,2%), passando da 2.309,6 a 2.280,8 miliardi di euro. La stretta creditizia ha colpito in particolare tanto le imprese – passando da 837,9 a 819,4 miliardi (-2,2%) – quanto le famiglie, passando da 601,8 a 596,8 miliardi (-0,8%). Lo rivela un’analisi del centro studi “ImpresaLavoro” su elaborazioni di dati Bankitalia. Rispetto poi al gennaio 2011, il volume complessivo dei prestiti risulta complessivamente ridotto di 61 miliardi di euro, essendo passato da 2.341,6 a 2.280,8 miliardi di euro (-2,6%). Al tempo stesso si è invece registrato un sensibile aumento dei prestiti tra banche e altre istituzioni finanziarie (+ 2,1%, pari a +12,6 miliardi di euro). Il sistema bancario giovedì scorso ha ricevuto in prestito dalla Bce nuova liquidità per 26,5 miliardi di euro, nell’ambito di un’azione di rifinanziamento con scadenza a 4 anni finalizzata a riportare il credito alle imprese. Bisognerà vedere quanti di questi fondi finiranno all’economia reale.

Crisi: i rubinetti delle banche sono sempre più chiusi, da gennaio 2011 i prestiti alle imprese sono diminuiti di 70,7 miliardi

Crisi: i rubinetti delle banche sono sempre più chiusi, da gennaio 2011 i prestiti alle imprese sono diminuiti di 70,7 miliardi

NOTA

Nonostante il perdurare della crisi economica, i rubinetti delle banche italiane continuano a restare sempre più chiusi. Da gennaio a ottobre di quest’anno il volume complessivo dei prestiti si infatti è ridotto di ulteriori 29 miliardi (-1,2%), passando da 2.309,6 a 2.280,8 miliardi di euro. La stretta creditizia ha colpito in particolare tanto le imprese – passando da 837,9 a 819,4 miliardi (-2,2%) – quanto le famiglie, passando da 601,8 a 596,8 miliardi (-0,8%). Lo rivela un’analisi del centro studi “ImpresaLavoro” su elaborazioni di dati Bankitalia.
Rispetto poi al gennaio 2011, il volume complessivo dei prestiti risulta complessivamente ridotto di 61 miliardi di euro, essendo passato da 2.341,6 a 2.280,8 miliardi di euro (-2,6%). In questo periodo i rubinetti delle banche si sono ulteriormente chiusi in particolare per le imprese (-7,9%, pari a -70,7 miliardi di euro) e hanno ridotto il loro sostegno anche per le famiglie (-0,2%, pari a -1,3 miliardi di euro) e le pubbliche amministrazioni (-0,5%, pari a -1,4 miliardi di euro). Al tempo stesso si è invece registrato un sensibile aumento dei prestiti tra banche e altre istituzioni finanziarie (+ 2,1%, pari a +12,6 miliardi di euro).
«Ancora ieri le banche italiane hanno ricevuto in prestito dalla Bce nuova liquidità per 26,5 miliardi di euro, nell’ambito di un’azione di rifinanziamento con scadenza a 4 anni finalizzata a riportare il credito alle imprese, che nonostante tutto si ostinano a investire e a produrre» osserva Massimo Blasoni, presidente di “ImpresaLavoro”. «Adesso occorre agire rapidamente per non vanificare questa operazione, così ripristinando almeno parzialmente i livelli di credito pre-crisi».

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Rassegna Stampa
Il Tempo
Senza sorpresa

Senza sorpresa

Davide Giacalone

Più del declassamento spaventa l’incoscienza della reazione. Il giudizio è ingiusto, ma fondato. Il nostro debito non è meno sostenibile di quello spagnolo, ma la nostra politica è assai meno lucida di quella ispanica. Se si continua a credere, e a cercare di far credere, che il debito si accudisce con gli avanzi primari, imposti a un corpo economico in recessione, allora si calca il terreno dell’inverosimile. Se si crede che la ripresa passi dallo sforamento del deficit e dall’aumento della spesa pubblica, allora siamo in piena sindrome da alcolista, che per star meglio beve un bicchiere in più.
Noi lo scrivemmo quando i giornaloni e i politicanti si compiacevano per il passaggio dell’outlook, della previsione, da peggiore a stabile. Ma che festeggiate? Un Paese in recessione non sta meglio ove si preveda che resti in quella condizione. Se fosse vero quel che hanno detto dal governo, e che a pappagallo è stato ripetuto da molti, ovvero che Standard & Poor’s ha comunque valutato positivamente le riforme (una, quella del lavoro) governative, allora il declassamento si sarebbe dovuto accompagnare a una prospettiva di miglioramento: siete meno affidabili, ma state facendo il necessario per guadagnare posizioni. Invece è stabile: perdete affidabilità e fate tante chiacchiere, per crederci dovremo vedere qualche cosa di reale e tangibile.
Ci declassano ancora perché il debito cresce, la ricchezza prodotta no, mentre la macchina Stato, a cominciare dalla giustizia, è impantanata e impantanante. Quale sarebbe l’obiezione? Che alle altre riforme stiamo provvedendo? È ridicolo, se solo si pensa che per la giustizia una delle cose previste è l’aumento dei tempi della prescrizione, il che vuole dire curare i processi lenti non accorciandone i tempi, ma allungando quelli dell’inquisizione. Il mondo legge e deduce. Il che crea un danno in parte ingiusto, perché dal punto di vista patrimoniale il nostro è fra i debiti più affidabili. Ma sapete cosa significa? Che o si mette la patrimoniale sui cittadini e le imprese o la si mette sullo Stato. Al momento si fa solo la prima cosa, aggravando la recessione, mentre si consente la straultraschifezza di RaiWay, patrimonio pubblico venduto per finanziare spesa corrente. È gravissimo, ma nessuno reagisce. I governanti addirittura si felicitano. Il mondo vede e deduce. Senza dimenticare che le agenzie di rating, in un trionfo di conflitto d’interessi e con regole finanziarie che ne sopravvalutano i responsi, distorcendo il mercato, quelle agenzie saranno pure severe, ma sempre meno degli italiani intervistati dal Censis, visto che il 60% è convinto di diventare più povero. Appunto: più si diventa poveri e meno il debito si sostiene.
Non è tanto il declassamento, quindi, a preoccupare, quanto il modo in cui si reagisce. Con il fastidio di chi non vuole essere distratto dalle proprie beghe cortilane. Ma dopo quel declassamento, ennesimo, figlio di una serie storica così lunga da essere essa stessa significativa in sé, c’è una sola cosa che divide il vascello Italia dall’onda devastante della speculazione: la diga della Banca centrale europea. Quella che noi abbiamo fatto di tutto per indebolire, facendole mancare gli argomenti per crescere di altezza, quindi per offrire maggiore protezione. Siamo qui a sofisticare sulle parole di Mario Draghi, non volendo ammettere che si tratta della sola azione fruttuosa di marca europea. Con l’aggravante, che si aggiunge all’unicità, di essere condotta da una sede che, per sua natura, è priva di legittimità democratica. Fosse solo il declassamento, non si dovrebbe far altro che stringere i denti e andare avanti. Ma viste le reazioni si vien presi dalla voglia di morderne gli svagati protagonisti.