Con la nuova delega la caccia agli evasori è più difficile
Paolo Baroni – La Stampa
Altro che soglia del 3%, si potrebbe dire. Nel decreto sulla certezza del diritto, quello della famigerata norma salva-Berlusconi, alla luce delle novità sulla lista Falciani, c’è un altro “buco” grande come un paradiso fiscale. È la norma che elimina il raddoppio degli anni di indagini in caso di reati fiscali. Oggi, infatti, se il Fisco ha 4 anni di tempo per richiedere il pagamento di una tassa evasa e notificarlo al contribuente infedele, sul piano penale i tempi sono doppi, 8 anni. E questo perché tra quando è stato commesso il reato in questione e quando lo si scopre, occorre molto più tempo per disporre delle relative prove, condurre le indagini, attivare rogatorie internazionali, indagare su paradisi fiscali e triangolazioni internazionali, e misurarsi con marchingegni contabili alquanto complessi e sofisticati.
E per venire al caso Falciani-Swissleaks, acclarato che chi era presente nella prima lista di 5439 nomi (ora lievitata a 7437) e non è stato pizzicato per tempo vede il suo reato prescritto, va detto che anche i nuovi nomi presenti nella lista di qui a breve non potrebbero assolutamente più essere perseguiti penalmente, come ad esempio ha già annunciato di voler fare la Procura di Roma.
La nuova strategia contenuta nei decreti delegati in via di approvazione, che parte dal sacrosanto bisogno semplificare i rapporti col fisco e affermare in questo campo la certezza del diritto, potrebbe avere l’effetto di spuntare le armi contro eventuali reati. Introducendo, al rovescio, nel nostro ordinamento una norma pro-evasori. Le nuove norme, che avevano già ricevuto il via libera del consiglio dei Ministri, contenevano infatti un articolo che di fatto in pochi hanno notato (e contestato) con «modifiche alla disciplina del raddoppio dei termini» per presentare le denunce penali. «Il raddoppio – recita il nuovo testo – opera a condizione che la denuncia sia presentata o trasmessa entro la scadenza dei termini ordinari».
La lista Falciani purtroppo è del 2009, la magistratura e il fisco italiano l’hanno acquisita poi l’anno seguente. Il Fisco nel passato ha già attivato controlli e contestazioni e ieri la Guardia di Finanza ha presentato il suo rapporto sull’attività di riscossione svolta (su 740 milioni di evasione accertata, 30 milioni di tasse da incassare ma appena 3,3 già messi a ruolo), ma sul piano penale (senza tornare alla questione della possibilità o meno di utilizzare dossier ottenuti in maniera fraudolente), di fatto non si può combinare nulla. La preoccupazione che circolava in ambienti tributari, raccolta ieri dall’Agenzia Ansa, è che se dovessero emergere nuovi nomi o nuovi reati il tempo risulterebbe scaduto: non potrebbero essere più contestati davanti al giudice. L’unica chance rimasta è quella di una corsa contro il tempo, prima dell’approvazione delle nuove norme che torneranno al consiglio dei ministri del 20 febbraio: una corsa ad ostacoli impossibile vista la complessità tecnica degli adempimenti necessari per avviare una contestazione penale.
L’Agenzia delle entrate, informalmente, nelle scorse settimane aveva fatto presente che il riallineamento dei termini di prescrizione avrebbe creato grossi problemi nel campo delle indagini, ma le sue proteste sono rimaste inascoltate. Oltre alla vicenda che tiene banco in questi giorni infatti c’è un problema generale, di prospettiva, visto che in questo modo si complica in maniera esponenziale la vita ai magistrati chiamati ad indagare sugli evasori fiscali. L’ex ministro Vincenzo Visco, in più occasioni, ha segnalato il problema: non solo sarebbe molto più complicato istruire i processi, ma questo cambiamento – tra l’altro – rischia di provocare una perdita di gettito davvero ingente, una perdita sia immediata (e poi permanente) di molti miliardi in quanto verrebbero vanificati moltissimi accertamenti.