A volte anche i friulani si incazzano, e uno di loro vuole privatizzare tutto
Tino Oldani – Italia Oggi
La pressione fiscale era intorno al 15% del pil in epoca fascista, è salita al 18% nel dopoguerra, per attestarsi intorno al 20% nel 1972, quando Bruno Visentini varò una storica riforma tributaria, che introdusse la trattenuta alla fonte sui redditi da lavoro. Da allora, la pressione fiscale è cresciuta di continuo, fino ad attestarsi al 43,7% attuale, con le tasse locali che negli ultimi vent’anni sono cresciute del 248% e quelle nazionali del 72%. È da questi dati che prende le mosse un bel libro («Privatizziamo!»; Rubbettino), scritto da un imprenditore di prima generazione del Nord Est, Massimo Blasoni, 45 anni, che, in base all’esperienza personale (è stato anche in politica), giudica ormai inaccettabile la pervasività asfissiante dello Stato in ogni settore, uno Stato cresciuto troppo, che si nutre di troppe tasse, uno Stato inefficiente e in perenne deficit, che va messo a stecchetto al più presto, con una radicale politica di privatizzazioni, lasciando al settore pubblico soltanto l’esercito, la giustizia e la polizia, oltre al compito di fare le leggi.
Blasoni è a capo di un’azienda che costruisce e gestisce residenze sanitarie per anziani, ha 1.600 dipendenti, e fa buoni utili. In passato è stato consigliere comunale a Udine per Forza Italia, ed è stato poi eletto consigliere regionale in Friuli, risultando il più votato. Ma, di quell’esperienza, non conserva un buon ricordo. Anzi, nel libro racconta la delusione che provò quando propose di istituire un Fondo regionale di garanzia, per dare liquidità alle aziende friulane in crisi, e la burocrazia regionale si mise di traverso. Un superburocrate regionale non trovò di meglio che affossare l’iniziativa con un sorrisetto di scherno: «Eh, voi imprenditori. Gli imprenditori evadono, già facciamo molto per le imprese, bisogna sostenere i lavoratori non le imprese, e la burocrazia ha i suoi tempi”. Purtroppo, tempi vergognosamente lenti: “Da un anno e mezzo”, annota Blasoni, “attendo la concessione di una licenza edilizia in Veneto, e con me tutti i lavoratori impegnati nel progetto, mentre le Asl piemontesi impiegano mediamente dieci mesi per i pagamenti».
Uscito dalla politica, Blasoni ha fondato un proprio centro studi (ImpresaLavoro), che negli ultimi due anni ha messo insieme una montagna di dati sui danni dello statalismo. I confronti con gli altri paesi sono impietosi. Se in Italia ci fosse la stessa pressione fiscale che c’è in Germania (39,4%, contro il nostro 43,7%), pagheremmo 54 miliardi di tasse in meno ogni anno. Andrebbe ancora meglio se da noi ci fosse la pressione fiscale della Spagna (34%): 145 miliardi di tasse in meno. Per rilasciare una concessione edilizia, la burocrazia italiana impiega 233 giorni, contro 96 della Germania e 87 della Gran Bretagna. Lo Stato, in media, paga le forniture private con un ritardo di 144 giorni, mentre la media Ue è di meno di un mese, con il risultato che lo Stato non è ancora riuscito a pagare i debiti che aveva con i fornitori privati, cosa che Matteo Renzi ha dato più volte per fatta. «Come ha certificato la Banca d’Italia, mancano ancora 70 miliardi», sostiene Blasoni.
La scarsa efficienza di tutti i servizi pubblici, dalla sanità agli sportelli comunali, si deve al fatto che lo status dei dipendenti pubblici è tuttora diverso da quello dei privati, un punto sul quale né il Jobs act, né la riforma Madia hanno cambiato una virgola. «Lo so per esperienza diretta», dice Blasoni: «Un sindaco non ha neppure il potere di spostare un impiegato da un ufficio a un altro. E un lavoratore privato, quando deve fare la fila a uno sportello pubblico, è il primo a toccare con mano che i tempi di lavoro dell’impiegato pubblico sono molto diversi da quelli che vigono in ogni azienda privata. Ecco perché serve una riforma vera della burocrazia, che renda paritario lo status dei dipendenti pubblici e privati, ma soprattutto privatizzi tutti quei servizi che i privati svolgerebbero con maggiore efficienza rispetto a Comuni e Regioni».
Lo Stato vuole fare tutto, anche l’immobiliarista, ma lo fa male. «Prendiamo l’Inps: possiede 22.500 immobili, del valore di 3,2 miliardi, ma ci rimette più di 100 milioni ogni anno nella gestione. È il segno che funziona male», sostiene l’imprenditore friulano. «Visto che la riforma Fornero ha reso le pensioni contributive, che senso ha fare gestire ancora i contributi previdenziali a un ente pubblico inefficiente come l’Inps? Una società privata li gestirebbe meglio. Lo Stato, poi, che aspetta a dismettere l’immenso patrimonio immobiliare, visto che lo gestisce così male?».
L’organizzazione del settore pubblico che conosciamo non è l’unica possibile. Siamo solo abituati a pensarlo. Ma non sta scritto da nessuna parte che uffici pubblici, scuola, sanità, trasporti, pensioni e acqua debbano essere gestite direttamente dallo Stato. Tanto più se il costo dell’intermediazione politica (fatta di Cda, assunzioni ingiustificate e gestione non economica degli acquisti) genera costi impropri, che vengono fatti pagare a tutti noi, famiglie e imprese, con una tassazione folle. Contro lo Stato cattivo imprenditore e cattivo immobiliarista, che si è trasformato in un’idrovora fiscale pur di mantenere un apparato burocratico pletorico, a stipendio garantito e ostile all’impresa, c’è un solo rimedio, per Blasoni: privatizzare. Difficile dargli torto.
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