Edicola – Argomenti

I salti del gambero dell’Italia in crisi

I salti del gambero dell’Italia in crisi

Marco Biscella, Rossella Cadeo e Fabio Grattagliano – Il Sole 24 Ore

Si cominciano a contare i mille giorni del governo Renzi, si osserva con apprensione l’evolversi della situazione geopolitica mondiale e si scruta l’orizzonte in cerca dei primi segnali di ripresa. Ma, nonostante tutta questa proiezione in avanti, l’orologio della congiuntura economica in molti casi sembra andare all’indietro, e anche veloce- mente: nel “monopoli” dello sviluppo, dal reddito ai consumi, dal mattone alla produzione, dal risparmio al lavoro, l’Italia non solo risulta inchiodata a performance preoccupanti – conseguenza della crisi che l’ha investita a partire dalla fine del 2008 – ma ha decisamente innescato la retromarcia, e di parecchi anni. Un «indietro tutta» che Il Sole 24 Ore del lunedì in queste due pagine documenta con statistiche ufficiali, dopo aver esplorato – per una decina di indicatori- qual è la situazione attuale e a quale anno occorre riandare per incontrare un valore analogo.

Il record dell’inflazione
Il caso più eclatante è quello relativo al tasso d’inflazione, ambito nel quale l’Italia ha fatto addirittura un balzo (indietro) di 55 anni: dopo anni di crescita moderata, nel luglio 2014 l’Istat ha infatti diffuso il primo segno negativo (-0,1%) così come nel 1959 (-(0,4%). Allora però il Paese – superata la prova del dopoguerra – si avviava, pieno di energia, sulla strada del “miracolo economico”, tra consumi in ripresa, aumento di produttività e occupazione, sviluppo di grandi imprese. Strada interrotta bruscamente dallo shock petrolifero del 1973, quando per una dozzina d’anni il carovita inanellò tassi di crescita a due cifre.

L’edilizia in panne

Non va meglio per l’edilizia, ferma alla fine degli anni 60, periodo di boom economico, sviluppo urbano e infrastrutturale: gli investimenti nel 2014 non arriveranno a 60 miliardi (stime Ance), come nel 1967. Che il mattone sia in sofferenza lo confermano anche i dati sulle compravendite immobiliari, che nel 2013 (stime Nomisma) sono scese quasi a quota 4oomila, meno del volume totale registrato a metà dei favolosi “anni 80”, quando pe- rò ancora non c’erano cellulari e per le notizie si aspettava il telegiornale.

Le auto e la produzione
E anche le auto guardano nello specchietto retrovisore: le immatricolazioni nel 2013 (1,3 milioni) si sono collocate ai livelli del 1979 (1,4 milioni), anno in cui anche importazioni ed esportazioni peraltro segnavano risultati molto più brillanti degli attuali. Più o meno della stessa lunghezza (quasi trent’anni) i salti indietro compiuti dal reddito disponibile pro capite e dalla produzione industriale: il primo indicatore è bloccato a 17.200 euro, più o meno quanto nel 1986 (l’allarme è stato lanciato pochi giorni fa da Confcommercio), mentre il secondo indicatore – secondo l’indice elaborato da Centro Studi Promotor su dati Istat – è pari a 81,2, non lontano dall’8o, indice anche questo attribuibile al 1986.

Redditi e consumi
“Soltanto” di una ventina d’anni, fino al 1997-’98, arretra invece l’orologio che segna lo stato della ricchezza degli italiani, dei consumi privati, dell’occupazione e del turismo. Infatti la ricchezza netta per famiglia è bloccata sui 350mila euro (elaborazioni Banca d`Italia), i consumi privati finali (sempre per nu- cleo) sono scesi sotto i 2.600 euro al mese rilevati qualche anno prima dell’ingresso dell’euro (importo ricavabile dalle statistiche Istat a prezzi concatenati). È vero, infatti, che il consumatore si è evoluto, cosi come si è ampliata ed è migliorata l’offerta, ma è anche vero che le minori entrate, la pressione fiscale e le incertezze sul futuro lo convincono a non riempire troppo il proprio carrello.

L’Italia jobless
Quanto al lavoro – fonte principale d’incertezza in questi anni di crisi – il tasso di disoccupazione veleggia ormai stabilmente da più di un anno oltre il 12% e nel luglio scorso ha toccato un allarmante 12,6%, con livelli mai raggiunti dal 1977, e appena sfiorati nel 1998. Agli italiani, coscienti della recessione in atto, ma fiduciosi (stando agli ultimi sondaggi) di poterne uscire, non resta che attuare tutte le strategie possibili per adeguare le uscite ai sempre più precari redditi: non per nulla anche sulle vacanze sono disposti a tagliare, per esempio riducendo il numero di giorni in albergo o la durata media dei pernottamenti, mai così bassi da inizio secolo.

Insomma,i salti del gambero sono tanti, troppi. E la crisi in cui si dibatte l’Italia rischia di essere peggiore anche della Grande depressione degli anni 30, quando il Pil pro capite risalì la china in otto anni. Oggi, invece, come ha rilevato Nomisma,«nell’ottavo anno (il 2015) il Prodotto interno lordo pro capite reale sarà un buon 10% sotto il valore pre-crisi».

Un piano per salvare i rassegnati

Un piano per salvare i rassegnati

Walter Passerini – La Stampa

Negli ultimi dati Istat relativi al secondo trimestre dell’anno, un’attenta analisi può condurre a focalizzare meglio i target di una nuova strategia. Esaminando con una lente di ingrandimento alcuni particolari, si scopre, per esempio, che sullo stock dei 3,2 milioni di disoccupati, l’aumento dei disoccupati è alimentato soltanto dalle persone in cerca di lavoro da almeno 12 mesi, che nel secondo trimestre 2014 arrivano a 1 milione 952mila unità (+13,9% pari a 238.000 unità).

L’incidenza della disoccupazione di lunga durata (12 mesi o più) sale così al 62,1%, dal 55,7% del secondo trimestre 2013. Chi resta senza lavoro rischia di rimanere in un girone infernale da cui non riesce a uscire. Se poi si mettono sotto la lente gli inattivi, si scopre un esercito di rassegnati e sfiduciati. Coloro che cercano lavoro anche se non attivamente sono quasi 1,8 milioni; coloro che non cercano lavoro ma sono disponibili a lavorare sono 1,5 milioni. Si tratta di 3,3 milioni di individui, un numero superiore ai disoccupati ufficiali (3,2). Se ancora si vanno a vedere i motivi della mancata ricerca del lavoro, si trovano 2 milioni di individui che non cercano più il lavoro perché ritengono di non riuscire a trovarlo. È questo uno zoccolo duro di rassegnati che, sommati a disoccupati, contrattisti a termine, cassintegrati e in mobilità, finti collaboratori, part timer involontari, fotografa l’esercito della sfiducia che va riportato al lavoro.

Lavoro, Italia ultima nell’Unione europea per efficienza

Lavoro, Italia ultima nell’Unione europea per efficienza

Repubblica.it

Mentre in Senato ci si appresta ad affrontare il nodo dell’articolo 18 all’interno della discussione sul Jobs Act, alcuni dati mostrano che il mercato del lavoro italiano è ultimo per efficienza in Europa e 136mo su 144 censiti nel mondo. In termini di efficienza ed efficacia si situa infatti a un livello leggermente superiore a quelli di Zimbabwe e Yemen ed inferiore a quelli di Sri Lanka e Uruguay. Lo rivela un’elaborazione del Centro Studi ImpresaLavoro sulla base dei dati pubblicati dal World Economic Forum.

Rispetto al 2011 retrocediamo di 13 posizioni a livello mondiale in termine di efficienza generale del nostro mercato del lavoro e soprattutto perdiamo 19 posizioni con riferimento alla collaborazione tra impresa e lavoratore così come altre 15 per la complessità delle regole che ostacolano licenziamenti e assunzioni (hiring and firing process). L’unico settore in cui non si registra un arretramento dell’Italia è quello relativo alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro: conserviamo infatti la comunque assai deludente 93ma posizione che avevamo raggiunto nel 2011.

L’indicatore dell’efficienza è in realtà un aggregato di più voci che bene evidenziano le difficoltà che il nostro sistema attraversa e rendono plasticamente l’idea del peggioramento delle condizioni del nostro mercato del lavoro negli ultimi tre anni. Inoltre, i principali indicatori analizzati ci pongono agli ultimi posti per efficacia nel mondo e, quasi sempre, all’ultimo posto in Europa. Tra i Paesi dell’Europa a 27, ad esempio, rileva ImpresaLavoro, “siamo ultimi per quanto concerne la collaborazione nelle relazioni tra lavoratori e datore di lavoro (ai primi tre posti ci sono Danimarca, Austria e Olanda). Siamo terz’ultimi per flessibilità nella determinazione del salario, intendendo con questo che a prevalere è ancora una contrattazione centralizzata a discapito di un modello che incentiva maggiormente impresa e lavoratore ad accordarsi. E proprio in tema di retribuzioni siamo il peggior Paese europeo per capacità di legare lo stipendio all’effettiva produttività. Dati questi che vanno letti assieme a quelli sugli effetti dell’alta tassazione sul lavoro: nessun Paese in Europa fa peggio di noi quanto a effetto della pressione fiscale sull’incentivo al lavoro”.


E l’Italia è ancora ultima per l’efficienza nelle modalità di assunzione e licenziamento. Anche la qualità del personale impiegato mette in luce l’arretratezza del nostro Paese: siamo penultimi (davanti alla sola Romania) per la capacità di affidare posizioni manageriali in base al merito e non a criteri poco trasparenza (amicizia, parentela, raccomandazione) e finiamo in coda anche con riferimento alla capacità di attrarre talenti (quart’ultimi) e di trattenere talenti (23mi su 28).

“Questa performance negativa è frutto certamente dei difetti strutturali del nostro sistema ma i provvedimenti legislativi degli ultimi anni non hanno certo aiutato a migliorare la situazione”, commenta Massimo Blasoni, presidente di ImpresaLavoro. “L’elaborazione del nostro Centro Studi – sottolinea Blasoni – chiarisce come i problemi del nostro mercato del lavoro siano da tempo sempre gli stessi e abbiano subìto un peggioramento piuttosto marcato rispetto al 2011, complice con ogni probabilità l’ulteriore irrigidimento delle regole stabilito dalla cosiddetta Riforma Fornero. Gli alti tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile, e i cronici bassi tassi di attività sono una diretta conseguenza di un sistema tributario e di regole che rendono sempre più difficile assumere e creare occupazione”.

Jobs Act, al pettine il nodo dell’articolo 18. Efficienza mercato del lavoro, Italia ultima in Europa

Jobs Act, al pettine il nodo dell’articolo 18. Efficienza mercato del lavoro, Italia ultima in Europa

ilsole24ore.com

Presto al pettine il nodo del Jobs Act, la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Martedì la commissione Lavoro del Senato esaminerà le proposte di modifica dell’articolo 4, che riguarda lo Statuto e che delega al Governo il riordino delle forme contrattuali. I partiti centristi della maggioranza (e Renzi) vorrebbero inserire le modifiche sui licenziamenti per le imprese che superano i 15 dipendenti, mentre la sinistra Pd chiede di non modificare il perimetro della delega. Obiettivo del Jobs Act, in Aula a palazzo Madama del 23 settembre, è modernizzare il mercato del lavoro, che secondo un’elaborazione del Centro Studi ImpresaLavoro sulla base dei dati del World Economic Forum è ultimo per efficienza in Europa (e in particolare nelle modalità di assunzione e licenziamento) e 136mo su 144 censiti nel mondo.

Donne e lavoro, confermato il 93° posto (su 144) 
Nella classifica dell’efficienza il nostro mercato del lavoro si piazza infatti poco sopra a Zimbabwe e Yemen, e viene superato da Sri Lanka e Uruguay. Rispetto al 2011 retrocediamo di 13 posizioni a livello mondiale in termine di efficienza generale, e soprattutto perdiamo 19 posizioni con riferimento alla collaborazione tra impresa e lavoratore, così come altre 15 per la complessità delle regole che ostacolano licenziamenti e assunzioni (hiring and firing process). L’unico settore in cui non si registra un arretramento dell’Italia è quello relativo alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro: conserviamo infatti la comunque assai deludente 93ma posizione che avevamo raggiunto nel 2011.

Efficacia, Italia fanalino di coda in Europa 
La performance del nostro mercato del lavoro è negativa anche per i parametri relativi all’efficacia, che ci vedono tra gli ultimi nel mondo e, quasi sempre, all’ultimo posto in Europa. Tra i Paesi dell’Europa a 27, ad esempio, rileva ImpresaLavoro, «siamo ultimi per quanto concerne la collaborazione nelle relazioni tra lavoratori e datore di lavoro (ai primi tre posti ci sono Danimarca, Austria e Olanda). Siamo terz’ultimi per flessibilità nella determinazione del salario (contrattazione nazionale prevalente su quella decentrata). Siamo anche il peggior Paese europeo per capacità di legare lo stipendio all’effettiva produttività e per l’alto livello di tassazione sul lavoro.

Ogni anno sulle famiglie fardello fiscale da 15.330 euro. Con Tasi e Iva peserà di più

Ogni anno sulle famiglie fardello fiscale da 15.330 euro. Con Tasi e Iva peserà di più

Roberto Petrini – La Repubblica

La montagna di tasse e contributi, pari a 15.330 euro l’anno, che grava sulle spalle degli italiani sposta in avanti il cosiddetto «tax freedom day». Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, con una pressione fiscale che per il 2014 è destinata a toccare il record storico del 44 per cento, quest’anno i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino alla prima decade di giugno: precisamente l’11 giugno, cioè 161 giorni. Ben 12 giorni in più di quanto avevano fatto nel 1995, quando, però, la pressione fiscale era inferiore di oltre 3 punti percentuali.

Del resto, sempre secondo la Cgia, su ogni famiglia italiana grava un carico fiscale medio annuo di quasi 15.330 euro: considerando l’Irpef e le relative addizionali locali, le ritenute, le accise, il bollo auto, il canone Rai, la tassa sui rifiuti e i contributi a carico del lavoratore. Ogni nucleo famigliare versa all’erario, alle Regioni e agli enti locali mediamente 1.277 euro al mese: un importo che, dice la Cgia, corrisponde allo stipendio medio percepito mensilmente da un impiegato. Nel 2013, spiega il presidente del centro studi Giuseppe Bortolussi, grazie all’abolizione dell’Imu sulla prima casa, il prelievo medio annuo era sceso a 15.329 euro: ben 325 euro in meno rispetto a quanto versato nel 2012. Per l’anno in corso, invece, il gettito è destinato ad aumentare ancora a causa dell’introduzione della Tasi e degli effetti legati all’aumento dell’aliquota Iva avvenuto nell’ottobre scorso.

Intanto si avvicina la data del versamento della Tasi. Secondo la Confedilizia sono più di cinquemila, precisamente 5.050, i Comuni che hanno emanato dopo il 31 maggio le delibere relative al pagamento della tassa sugli immobili. Tra le grandi città compaiono Roma, Palermo, Firenze, Trieste. La questione fiscale è nell’agenda del governo. «Per stabilizzare gli 80 euro bisogna evitare l’errore fatto con l’Imu», ha detto il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, a margine del Meeting Confesercenti. «Un intervento spot – ha aggiunto – che non venne bilanciato da un intervento sulla spesa cosicché la tassa è riemersa sotto altro nome».

Mercato del lavoro bloccato, siamo tra gli ultimi al mondo

Mercato del lavoro bloccato, siamo tra gli ultimi al mondo

Sergio Patti – La Notizia

Ovvio che trovare un impiego in Italia è quasi impossibile. Il nostro mercato del lavoro è ultimo per efficienza in Europa e 136esimo su 144 censiti nel mondo. In termini di efficienza ed efficacia si situa infatti a un livello leggermente superiore a quelli di Zimbabwe e Yemen ed inferiore a quelli di Sri Lanka e Uruguay. Lo rivela un’elaborazione del Centro Studi ImpresaLavoro sulla base dei dati pubblicati dal World Economic Forum. Rispetto al 2011 retrocediamo di 13 posizioni in termine di efficienza generale del nostro mercato del lavoro e soprattutto perdiamo 19 posizioni con riferimento alla collaborazione tra impresa e lavoratore così come altre 15 per la complessità delle regole che ostacolano licenziamenti e assunzioni (hiring and firing process). L’unico settore in cui non si registra un arretramento dell’Italia è quello relativo alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro: conserviamo infatti la comunque assai deludente 93esima posizione che avevamo raggiunto nel 2011.

Quadro che peggiora
Lo studio evidenzia le difficoltà che il nostro sistema attraversa e dimostra il peggioramento delle condizioni del nostro mercato del lavoro negli ultimi tre anni. Dati che ci pongono agli ultimi posti per efficacia nel mondo e, quasi sempre, all’ultimo posto in Europa. Tra i Paesi dell’Europa a 27, ad esempio, siamo ultimi per quanto concerne la collaborazione nelle relazioni tra lavoratori e datore di lavoro (ai primi tre posti ci sono Danimarca, Austria e Olanda). Siamo terz’ultimi per flessibilità nella determinazione del salario, intendendo con questo che a prevalere è ancora una contrattazione centralizzata a discapito di un modello che incentiva maggiormente impresa e lavoratore ad accordarsi.

Troppe tasse
E proprio in tema di retribuzioni siamo il peggior Paese europeo per capacità di legare lo stipendio all’effettiva produttività. Dati questi che vanno letti assieme a quelli sugli effetti dell’alta tassazione sul lavoro: nessun Paese in Europa fa peggio di noi quanto a effetto della pressione fiscale sull’incentivo al lavoro. E siamo ancora ultimi per l’efficienza nelle modalità di assunzione e licenziamento: un indicatore determinante, perché evidenzia quanto questi processi siano ostacolati dal sistema delle regole e da disposizioni quali quelle, ad esempio, dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Per gli orari dei negozi la marcia indietro sulla liberalizzazione

Per gli orari dei negozi la marcia indietro sulla liberalizzazione

Corriere della Sera

Negozi chiusi nei giorni di festa. Due anni e mezzo fa il Salva Italia del governo Monti ha cancellato in un sol colpo tutte le chiusure obbligatorie. Oggi si va verso una retromarcia. Più rapida del previsto. Già la settimana prossima il disegno di legge che reintroduce 12 festività con le saracinesche abbassate arriverà alla commissione Attività produttive della Camera. L’obiettivo è portare il testo in aula entro i primi di ottobre

Ad agosto sono stati depositati oltre 150 emendamenti «Ma una base di condivisione della proposta esiste. Certo, con alcune correzioni», assicura il relatore del disegno di legge, Angelo Senaldi, Pd. Sul piano politico l’obiettivo è di quelli ambiziosi: tenere insieme i partiti della maggioranza con il M5S. Non sarà facile. Il movimento di Beppe Grillo è favorevole al ripristino delle chiusure. Mentre nella maggioranza Scelta Civica difende a oltranza la liberalizzazione. Da notare che nel Pd (e anche in Forza Italia) esistono posizioni spesso opposte. «Faremo passi sia interni al Pd sia nella maggioranza e con il govemo per arrivare a una sintesi condivisa», prepara il terreno Senaldi.

Nel Pd la maggioranza renziana si è sempre detta favorevole alle liberalizzazioni. Ma le associazioni del piccolo commercio hanno argomenti convincenti, anche sul piano del consenso. Intanto la distribuzione organizzata promette battaglia. «Con questa controriforma non si tutelano gli imprenditori deboli,come dice qualcuno, ma quelli marginali – attacca Mario Resca, presidente di Confimprese -. I partiti si prestano al gioco delle lobby corporative. Proprio mentre una nuova classe di imprenditori giovani sta cambiando il commercio». Dal canto suo Federdistribuzione fa notare che 13 pronunce della Corte costituzionale hanno ribadito la legittimità delle liberalizzazioni. Secondo l’associazione, con le 12 giornate di chiusura obbligatoria si perderebbero 7-8.000 posti di lavoro. «Ora il problema è politico. Non esiste una giustificazione economica a una marcia indietro sul Salva Italia – analizza Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione -. Assurdo sarebbe che a seguire questa strada fosse un governo che ha fatto della semplificazione la sua bandiera».

A luglio nuovo picco del debito: 2.168 miliardi

A luglio nuovo picco del debito: 2.168 miliardi

Il Sole 24 Ore

A luglio il debito pubblico italiano ha toccato un altro record: 2.168,6 miliardi di euro, 0,2 miliardi in più rispetto al precedente massimo di giugno. Le cifre sono contenute nel bollettino della Banca d’Italia. Nei primi sette mesi dell’anno – si legge – il debito pubblico è aumentato di 99,2 miliardi, riflettendo il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (32,7 miliardi) e l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (72,1 miliardi). Nel complesso, l’emissione di titoli sopra la pari, l’apprezzamento dell’euro e gli effetti della rivalutazione dei BTP hanno contenuto l’incremento del debito per 5,6 miliardi. Sul fabbisogno dei primi sette mesi ha inciso per 4,5 miliardi (8,7 miliardi nel corrispondente periodo del 2013) il sostegno finanziario ai Paesi dell’area dell’euro (la quota italiana del sostegno ai Paesi dell’area era pari alla fine dello scorso luglio ai 60,1 miliardi). A luglio gli investitori esteri possedevano 728 miliardi di debito pubblico italiano, di cui 687 miliardi in titoli di Stato, in calo rispetto ai 692 miliardi di giugno.

Mercato del Lavoro, Italia tra gli ultimi nel mondo

Mercato del Lavoro, Italia tra gli ultimi nel mondo

RaiNews.it

Il mercato del lavoro italiano è ultimo per efficienza in Europa e 136mo su 144censiti nel mondo a un livello appena superiore a quelli di Zimbabwe e Yemen ed inferiore a Sri Lanka e Uruguay. Lo rivela un’elaborazione del Centro Studi ImpresaLavoro sulla base dei dati di World Economic Forum. Rispetto al 2011 retrocediamo di 13 posizioni a livello mondiale in termine di efficienza generale del nostro mercato del lavoro e soprattutto perdiamo 19 posizioni con riferimento alla collaborazione tra impresa e lavoratore.