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Una doccia gelata l’Iva dovuta sugli aiuti

Una doccia gelata l’Iva dovuta sugli aiuti

Giangiacomo Schiavi – Corriere della Sera

Questa è una storia di lutti, di solidarietà, di rinascita. E anche di una doccia gelata. Una storia che coinvolge persone, legami, speranze. E si svolge attorno a una scuola: un investimento sul futuro. Cavezzo, Emilia: il paese più colpito dal terremoto di due anni fa. Qui la ricostruzione di un polo scolastico è diventata un atto di fiducia nel quale si è ritrovata una comunità. C’è voluto un po’ di tempo, ma la buona volontà e il sostegno convinto della Regione Emilia-Romagna, del Comune, dei sindaci, degli insegnanti e dei genitori dei 600 bambini, ha vinto su tutto: burocrazia, divisioni politiche, ostacoli tecnici. Grazie alla sottoscrizione dei lettori del Corriere e del Tg La7 sono state realizzate aule, laboratori, palestra, sala riunioni, un learning garden, l’orto didattico e un piccolo parco, perché con gli alberi si cresce e si educa all’ambiente.
L’avventura della ricostruzione è stata una lezione di tenacia e di umanità. Fra qualche giorno verrà consegnato alla comunità locale un complesso educativo, civile e sociale realizzato grazie a un’innovativa alleanza tra privati e amministrazione pubblica nel paese che nella terribile primavera del 2012 divenne uno dei simboli del cratere sismico: quattro morti, decine di feriti, settemila sfollati, ottocento abitazioni inagibili, un quadro di rovine e disperazione.

Il giardino della conoscenza

Per arrivare a questo, per cucire assieme i precedenti interventi di Regione e Comunità delle Giudicarie e trasformare un campo di mais al confine del paese in un «giardino della conoscenza», sono stati impiegati i quasi tre milioni di euro raccolti da «Un aiuto subito» la sottoscrizione del Corriere e del Tg La7. Ci hanno dato una grossa mano Renzo Piano e gli architetti della sua fondazione: sono stati a Cavezzo, hanno offerto consulenze e progetti, cercando di integrare con le nuove costruzioni quel che era stato fatto nell’emergenza per garantire le lezioni ai bambini. Il progetto, affidato allo studio Carlo Ratti di Torino, utilizza le migliori tecniche di edificabilità e sostenibilità ambientale. Ci piacerebbe farlo diventare la seconda piazza del paese: un luogo di studio, di sport e di civiltà.

Il «prezzo»della beneficienza

È giusto ringraziare tutti, tutti meno lo Stato, la cui presenza si è materializzata solo sotto forma di esoso esattore. Ciò che resta dei fondi se li prende lui. Per aver realizzato un polo scolastico con i soldi dei lettori, dobbiamo pagare una tassa. Una tassa sulla generosità prevista con l’Iva: trecentomila euro. Mentre si prepara la riforma del non profit, nessuno pensa a rimuovere un balzello che pesa sulla beneficienza: oggi in Italia lo deve pagare l’azienda che decide di ristrutturare a sue spese un padiglione d’ospedale e l’associazione che regala un’ambulanza al pronto soccorso. Un’assurdità. Accade ai Rotary, ai Lyons, alle associazioni e alle fondazioni che decidono di farsi carico di opere o lavori destinati alla pubblica utilità. Si paga l’Iva per la biblioteca restaurata dopo l’alluvione di Aulla, per la Casa del volontariato di Milano, per realizzare il centro sportivo di Scampia gestito gratuitamente dai volontari. Si paga l’Iva su tutto, calamità (ovviamente) comprese.

I paradossi del fisco

L’Iva, per chi compra o vende, è un obbligo di legge. L’imposta sul valore aggiunto si paga al 22 per cento, ma quando si realizzano opere di valore sociale come le scuole si ottiene uno sconto fino al 10 per cento. In sede di bilancio non è un problema: si tratta di una partita di giro. Chi la carica sulla merce acquistata può scaricarla su quella venduta. Per noi (e certamente per altri benefattori) invece è un extra: non abbiamo partite di giro, si paga e basta. Sono i paradossi della nostra disciplina fiscale: invece di essere agevolato, chi fa del bene viene spesso ostacolato. Non serve una doccia gelata qui: basterebbe un emendamento del governo o del parlamento per annullare un’assurda gabella, restituendola ai terremotati di Cavezzo, ai sindaci impegnati nella ricostruzione, alle insegnanti e ai bambini del polo scolastico. Sarebbe un atto di buon senso e l’inizio di una fattiva collaborazione tra privati e istituzioni, in caso di disastri e calamità. Ma nessuno ci ha pensato.

Le giuste distinzioni

Si dirà che la questione è poca cosa rispetto ai guai che stiamo attraversando. Ma l’insieme di tante piccole cose che non vanno sta diventando un intralcio alle tante spinte positive che ci sono nella società. Perché lo Stato invece di favorire il cittadino o l’azienda che gli fa risparmiare milioni di euro pretende da questi una tassa? In un Paese dove abusi e illegalità devastano l’economia pubblica con ruberie di ogni sorta, perché non si fa qualche distinzione sulla disciplina dell’Iva per chi fa del bene? Non sarebbe un incentivo per tante aziende a investire nella solidarietà? Si obietterà: l’Iva si paga perché lo prevede una normativa comunitaria. Ma l’Iva non è uniforme e la normativa europea stabilisce solo limiti e criteri, dando facoltà poi agli Stati di definire esattamente il quadro giuridico. Qual è la risposta di questo governo?

La fiducia che alimenta la democrazia

Chi fa beneficenza non può essere trattato come il gestore di una slot machine , anzi peggio (i gestori hanno avuto uno sconto milionario sugli arretrati da pagare allo Stato). Noi vorremmo che una ricostruzione nata dal cuore con un gruppo di lavoro straordinario, diventasse un valore condiviso anche dallo Stato, in cui vogliamo avere fiducia. È la fiducia, è l’affidamento nelle lealtà delle istituzioni, che dà benzina alla democrazia, ha scritto Michele Ainis. Ma se lo Stato agisce come un esoso mercante, che fiducia si può avere? Uno Stato che non si pone il problema del bene comune suscita disaffezione, fastidio. E anche ostilità. Sentimenti che, davanti a quanto di buono ogni giorno viene fatto in Italia, tutti noi vorremmo non provare.
(PS: la tassa di trecentomila euro rischia di ridimensionare il progetto per Cavezzo. Ma noi non vogliamo lasciare il lavoro interrotto: andremo avanti comunque. Chiederemo un piccolo aiuto a chi può darlo. E uno più grande a chi ha una maggiore disponibilità. Sul conto «Un aiuto subito» presso Intesa San Paolo abbiamo lasciato per mesi 2.975.076 euro a un modesto tasso di interesse. Fosse lo stesso che ci chiede oggi lo Stato, saremmo a posto. La generosità di Intesa San Paolo ha spesso sostenuto avventurose imprese di Stato con milioni di euro, bruciati inutilmente in pochi mesi. A Cavezzo non ci sono capitani coraggiosi del capitalismo, ma cittadini e studenti. Per la banca dovrebbero essere un valore su cui investire; per lo Stato un’occasione per riflettere: questa storia riguarda tutti, non solo noi).

Permessi e distacchi sindacali dimezzati

Permessi e distacchi sindacali dimezzati

Claudio Tucci – Il Sole 24 Ore

Scatterà dal 1° settembre il dimezzamento alle prerogative sindacali stabilito dal dl Madia. Entro il 31 agosto tutte le sigle dovranno comunicare alle amministrazioni la revoca dei distacchi «non più spettanti» (sono interessati circa mille lavoratori che quindi tra cinque giorni rientreranno negli uffici). Il taglio del 50%, finalizzato «alla razionalizzazione e alla riduzione della spesa pubblica», interesserà anche i permessi retribuiti. Ma non i permessi sindacali attribuiti alle Rsu (questo perché non sono attribuiti alle singole organizzazioni sindacali). E la riduzione prevista dal dl Madia non si applicherà anche «alle aspettative sindacali non retribuite, ai permessi non retribuiti e ai permessi per la partecipazione a riunioni sindacali su convocazione dell’amministrazione per il solo personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia (ciò in quanto per essi non è previsto alcun contingente).
La titolare di Palazzo Vidoni, Marianna Madia, ha reso nota ieri la circolare che attua la sforbiciata del 50% alle prerogative sindacali nelle pubbliche amministrazioni prevista dall’articolo 7 del dl 90. Per le forze di polizia ad ordinamento civile e per il corpo dei vigili del fuoco si prevede, in sostituzione della riduzione del 50%, che alle riunioni sindacali indette dall’amministrazione «possa partecipare un solo rappresentante per sigla sindacale».
Sul fronte dei distacchi (che nella Pa corrispondono a un’aspettativa retribuita con la sospensione dell’attività lavorativa) la circolare specifica che la riduzione «non si applica nell’ipotesi di attribuzione all’associazione sindacale di un solo distacco». Il contingente complessivo dei distacchi, rideterminato in virtù dell’articolo 7 del dl Madia, potrà essere nuovamente ripartito tra le sigle sindacali con le relative procedure contrattuali e negoziali. In tale ambito, specifica la nota di Palazzo Vidoni, sarà possibile definire, «con invarianza di spesa», forme di utilizzo compensativo tra distacchi e permessi sindacali. 
Il distacco revocato dà diritto al rientro al lavoro (il posto viene infatti accantonato). Si può tuttavia far domanda per essere trasferiti in altra sede della propria amministrazione quando si dimostri di aver svolto attività sindacale e di aver tenuto il domicilio nell’ultimo anno nella sede di richiesta ovvero in altra amministrazione anche di diverso comparto della stessa sede. Una sorta di mobilità, anche interdipartimentale, che va comunque applicata, spiega la Funzione pubblica, «nel rispetto dei principi ai quali si ispira questa disciplina con particolare riferimento ai requisiti e alle competenze professionali richiesti per il trasferimento». Nel solo comparto Scuola per il triennio 2013-2015 sono stati autorizzati 681 distacchi (in 340 torneranno quindi nelle scuole), con un risparmio di oltre 10 milioni annui (nel caso dei docenti si eviteranno le nomine dei supplenti).
La riduzione del 50% si applica anche al monte ore complessivo dei permessi sindacali retribuiti. Nell’anno corrente, sottolinea Palazzo Vidoni, il taglio verrà effettuato secondo il metodo del calcolo «pro-rata». Vale a dire: dal 1° gennaio 2014 al 31 agosto il contingente dei permessi sindacali spetta in misura piena, mentre dal 1° settembre al 31 dicembre, va ridotto nella misura del 50 per cento. Con la conseguenza, pertanto, che dal 1° settembre, qualora in seguito alla riduzione e alla rideterminazione del contingente le associazioni sindacali abbiano esaurito il relativo contingente a disposizione, «le medesime non potranno più essere autorizzate alla fruizione di ulteriori ore di permesso retribuito».
La circolare specifica come nel caso in cui i sindacati abbiano comunque utilizzato prerogative sindacali in misura superiore a quelle spettanti nell’anno dovranno restituire il corrispettivo economico delle ore fruite e non spettanti. In difetto l’amministrazione compenserà l’eccedenza l’anno successivo (fino al completo recupero). Per il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, «non è con il taglio di distacchi e permessi che si risolvono i problemi della Pa. Basta demagogia. Ci aspettiamo ora che il Governo rinnovi i contratti dei pubblici dipendenti fermi scandalosamente da ben sette anni». Il taglio «chiaramente metterà in difficoltà», ma «siamo forti e continueremo ad esercitare la nostra funzione» sottolinea Michele Gentile, responsabile Cgil dei settori pubblici.  

Il ministro offre sconti ma gli enti buttano soldi

Il ministro offre sconti ma gli enti buttano soldi

Andrea Cuomo – Il Giornale

La centrale di acquisto per le amministrazioni pubbliche conviene. E molto. Gli enti centrali e locali grazie alle convenzioni stipulate dalla Consip, la concessionaria servizi informativi pubblici, possono risparmiare tantissimo nell’acquisto di beni e servizi, dalla sedia ai computer, dalle risme di carta ai contratti telefonici.

Una specie di gruppo pubblico di acquisto che può far risparmiare all’erario fino a 2,6 miliardi secondo le valutazioni del ministero dell’Economia, che controlla la stessa concessionaria ai cui contratti calmierati ormai non solo lo Stato ma anche Regioni, Province, Comuni di fatto non possono quasi più sottrarsi, malgrado spesso sembrino preferire continuare far la spesa da soli.

Il prezzo spuntato dalla centrale acquisti è sempre inferiore a quello pagato da un’amministrazione pubblica che si muova da sola. Lo dimostra l’edizione 2013 della rilevazione dei prezzi curata da via XX Settembre e dall’Istat e pubblicata pochi mesi fa. Prendete gli arredi per ufficio, con la loro rigida regola alla Fantozzi, i travet con poltroncine in sky e i dirett. lup. mann. con «serra di piante di ficus e poltrona in pelle umana». Ebbene, una sedia operativa costa mediamente alle amministrazioni che la acquistino da soli 90,09 euro e 78,14 euro (il 13,26 in meno) se si approfitta della convenzione Consip. Se cresce il valore della seduta cresce anche il risparmio: per la sedia direzionale si spendono 208,73 senza convenzione e 172,53 con. Per una scrivania operativa rettangolare si risparmia il 35,79 per cento, per una direzionale il 38,02. E la scrivania operativa sagomata a «L»? Se la acquistano le amministrazioni centrali costa 345,24 euro, un ente locale la porta via a 329,64, se si fa la spesa con Consip si spendono solo 163,81, con un ribasso superiore al 50 per cento.

Passiamo alle auto: le city car costano alla Consip 9.308,28 euro e alle amministrazioni in libera uscita 9.904,05, le berline medie rispettivamente 16.933,24 e 20.096,59, i furgoni 11.933,98 e 15.268,54, con risparmi che vanno dal 4,08 al 21,84 per cento. E il carburante? La Consip fa il pieno di super a 0,678 euro al litro (Iva e accise escluse) mentre chi fa da sé paga 0,747. Meno differenza per il gasolio: 0,714 il prezzo per chi usa la convenzione, 0,745 per chi no. L’unico settore in cui fa poca differenza utilizzare la Consip sono i buoni pasto: le amministrazione lo acquistano a 0,837 euro ogni euro di valore, la Consip a 0,831. Quasi pari e patta. Ma con la carta lo sconto torna a essere rilevante: 2,511 euro la risma A4 senza convenzione, 2,396 con la convenzione (4,58 per cento di riduzione). L’energia elettrica in convenzione costa il 3,13 per cento in meno, il gas naturale il 6,23.

Super-risparmi nell’ hi-tech . Noleggiando le fotocopiatrici con i contratti Consip si risparmia dal 19,55 per cento al 63,45 a seconda della tipologia. Una copia a colori, ad esempio, costa 0,06 con la centrale acquisti e quasi 0,17 senza. Anche per i computer sconti rilevanti: un desktop compatto acquistato tramite Consip viene 331 euro, da soli 586,97. Sui server si risparmia dal 17,02 al 24,63 per cento, sui software dal 10,08 al 16,63, sulle stampanti addirittura l’81,86 per cento: l’azienda aggiudicataria della gara Consip la vende a 39 euro, altrimenti costa in media 215 euro. Infine la telefonia mobile: un minuto di conversazione costa 0,039 al complesso delle amministrazioni e 0,025 a quelle che utilizzano il mercato elettronico, un sms di Stato rispettivamente 0,047 e 0,020. Quanto al contenuto del messaggino, beh, su quello la spending review può davvero poco.

Un labirinto di prelievi e distrazioni diverse

Un labirinto di prelievi e distrazioni diverse

Michela Finizio – Il Sole 24 Ore

Mancano meno di due mesi al 16 ottobre e molti italiani ancora non hanno capito quanto (e se) devono pagare di Tasi. I dubbi sull’imposta comunale, però, rischiano solo di aumentare confrontandosi con amici o parenti più o meno lontani. A leggere le delibere pubblicate finora sul sito delle Finanze le regole sono diverse da città a città, con una variabilità molto superiore a quella sperimentata con l’Imu.
Cambia pelle da nord a sud, infatti, il tributo per i servizi comunali indivisibili, introdotto dal 2014. Come un dialetto che si adatta alle esigenze locali, si traduce in aliquote e detrazioni molto diverse a pochi chilometri di distanza. A Gorizia, per esempio, sulle abitazioni principali (escluse quelle di lusso in categoria A1, A8 e A9) l’aliquota è fissata all’1,5 per mille con detrazioni modulate in base alla rendita catastale; poco più in là, verso il mare, la cittadina di Grado ha ritenuto di azzerare la Tasi per il 2014, «in un’ottica di semplificazione del rapporto con i contribuenti», si legge nella delibera. Ma è probabile che i conti comunali beneficino dell’Imu pagata sulle numerose seconde case presenti in città.
La grande autonomia lasciata ai Comuni nel determinare la Tasi genera differenze così forti da rendere quasi impossibile confrontare il livello del prelievo sulle abitazioni principali: a Celle Ligure (Savona) l’aliquota è dell’1 per mille, grazie – anche qui – all’elevata densità di seconde case; a Carugate (Milano) sale al 3,3 per mille, anche se l’immobile è di proprietà di anziani o disabili in istituto di ricovero e non locato (la detrazione base è di 100 euro, cui se ne aggiungono 50 per ogni figlio). Detrazioni a parte, il prelievo varia molto anche nelle grandi città: a Brescia l’aliquota è del 2,5 per mille; a Pisa del 3,3; a Modena del 2,5; a Firenze del 3; a Bergamo del 3,2.
In alcuni casi, inoltre, la Tasi diventa una specie di “maggiorazione” sull’Imu: a Maratea, in Basilicata, all’imposta unica municipale si somma un’aliquota Tasi dello 0,4 per mille su residenze di lusso (in classe A1, A8 e A9), seconde case e immobili locati; a Roccaraso, in Abruzzo, il Comune ha scelto di “spalmare” su tutti i fabbricati la Tasi all’1 per mille.
Non tutti i Comuni, poi, hanno beneficiato del meccanismo delle detrazioni. Accade sia al confine con la Francia, a Ventimiglia, sia in Calabria a Vibo Valentia, dove in entrambi i casi è prevista un’aliquota del 2,5 per mille sulle abitazioni principali senza “sconti”. In questi casi, sulle case dalla rendita catastale modesta il conto è superiore a quello dell’Imu, che con la detrazione di 200 euro garantiva di fatto una no tax area.
Altre amministrazioni, invece, hanno “disegnato” un vero e proprio puzzle di sconti progressivi: Pisa prevede nove fasce, in base alla rendita catastale; Parma aggiunge le esenzioni in base all’Isee; a Cassinetta di Lugagnano (Milano) le famiglie con Isee sotto i 12mila euro non pagano. Sono diffuse anche le detrazioni (dai 25 euro a Pisa ai 50 a Bergamo) per ciascun figlio sotto i 26 anni. Ma a Cernobbio (Como), quasi per fare uno sgarbo ai “bamboccioni”, lo sconto di 30 euro sulla Tasi è solo per i figli sotto i 18 anni.
Mai come in questo caso, poi, il parametro dell’aliquota rischia di essere fuorviante. A Cava de’ Tirreni, per esempio, l’aliquota Tasi sulle abitazioni principali è quella massima del 3,3 per mille come nel vicino Comune di Salerno. In quest’ultimo, però, le unità con rendita catastale fino a 750 euro godono di uno sconto pari a 100 euro (che raddoppia se la rendita è inferiore a 350 euro). Meno fortunati i proprietari di Cava de’ Tirreni, e non solo perché le loro case in collina non si affacciano sul mare: per loro è prevista solo una detrazione base di 50 euro.  

Il taglia-debito? Sarà la crescita

Il taglia-debito? Sarà la crescita

Dino Pesole – Il Sole 24 Ore

Primo step il pacchetto di misure all’esame del Consiglio dei ministri del 29 agosto: il decreto «sblocca-Italia», la riforma della giustizia civile e le linee guida sulla scuola con i nuovi meccanismi di reclutamento degli insegnanti per superare l’emergenza precari e il potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro (mentre potrebbe slittare il provvedimento su «quota 96» per sanare la posizione di 4mila docenti pensionandi). Secondo step il 30 agosto, quando il Consiglio straordinario dei capi di Stato e di governo affronterà il nodo delle euronomine, con un focus sulle ricette per affrontare la congiuntura negativa che investe i big dell’eurozona, Germania, Francia e Italia in primis. Consiglio europeo “cruciale”, secondo quanto il premier Matteo Renzi ha fatto sapere ai suoi ministri.
Poi, a partire dall’Ecofin informale di Milano in programma il 13 settembre, l’avvio vero e proprio della trattativa per rendere esplicito «il miglior utilizzo della flessibilità», secondo le intese raggiunte nel Consiglio europeo di fine giugno, con l’obiettivo di chiudere il semestre di presidenza italiana della Ue con un pacchetto di proposte concrete, preventivamente concordate con la nuova Commissione europea che si insedierà in novembre. Mese in cui l’esecutivo comunitario renderà note le sue nuove stime sull’economia dell’eurozona, con annesse le prime valutazioni sulle manovre di finanza pubblica predisposte dai singoli paesi. Nel caso dell’Italia, la legge di stabilità che il Governo sottoporrà all’esame del Parlamento a metà ottobre. È già partita la caccia alle risorse per stabilizzare il bonus Irpef, all’interno di una manovra che si attesterà attorno ai 20 miliardi: tagli alla spesa, ma anche riordino delle agevolazioni fiscali e maggiori introiti attesi dalla lotta all’evasione.

Fonti di palazzo Chigi negano che sia in atto una sorta di trattativa pubblica o segreta sui conti italiani con l’Europa e che sia in arrivo un piano taglia debito, come riportato da alcune indiscrezioni giornalistiche. L’Italia, sottolineano le stesse fonti, «farà la sua parte come più volte ribadito dal premier, rispettando il vincolo del 3% senza aumentare la pressione fiscale. Non esiste, ribadisce palazzo Chigi, un problema Italia in Europa: esiste un problema dell’eurozona che l’Italia contribuirà ad affrontare». E il premier Matteo Renzi ai suoi collaboratori ricorda: «Abbiamo sempre detto che l’Europa non è solo spread e Maastricht, ora che la guidiamo noi è giusto dimostrarlo». La linea del Tesoro non cambia: le varie ipotesi di operazioni taglia debito circolate in questi giorni, e approdate fin nei corridoi di Via XX Settembre, presentano «problemi». Non esistono di fatto scorciatoie per il Tesoro, come ha ripetuto più volte Padoan, e quindi la via maestra per ridurre il debito pubblico al Mef è e resta una soltanto, ed è quella della crescita «sostenibile e sostanziale abbinata alla fiducia dei mercati». Fiducia che si conquista sul campo con uno sforzo continuo nell’implementazione delle riforme strutturali, con l’aggiustamento del bilancio, con un avanzo primario che sia considerevole e con i conti pubblici tenuti costantemente sotto controllo. Le privatizzazioni possono certamente contribuire ma in maniera minore, non sono decisive, hanno alti e bassi: il Tesoro conta di avvicinarsi molto all’obiettivo dello 0,7% di Pil programmato per quest’anno, con le privatizzazioni (senza Poste, la vendita di azioni Eni ed Enel integra la voce delle dismissioni) e con la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico per il quale grandi aspettative sono riposte nel decollo in autunno di Invimit, la SGR immobiliare posseduta al 100% dal Tesoro. La fiducia dei mercati, che è fondamentale per la riduzione del debito, è alimentata da un ventaglio di forme di intervento tra le quali non figurano operazioni taglia debito come quelle proposte in questi giorni. Una crescita non fiacca, le riforme strutturali, un avanzo primario importante restano il sentiero principale per ridurre il debito pubblico, dal quale l’Italia e il Tesoro non si discostano ma lungo il quale il Paese dovrà essere aiutato dall’Europa, che deve fare la sua parte (con nuove politiche per rafforzare la crescita) e dalla Bce che con la sua politica monetaria deve fare anch’essa la sua parte anche per combattere i rischi di deflazione.

Lo schema resta quello più volte enunciato da Renzi e Padoan: riforme in cambio di flessibilità nel timing di rientro dal debito, tenendo conto che rispetto allo scenario ipotizzato in primavera i due trimestri consecutivi di crescita sotto lo zero rendono di fatto obbligata la strada del ricorso alle «circostanze eccezionali» previste dal Fiscal compact. La contemporanea, brusca frenata di Germania e Francia rafforza la linea avanzata dall’Italia: solo attraverso azioni concordate e coordinate a livello europeo si potrà tentare di invertire il ciclo. Se, differentemente dalla Francia, l’Italia conferma che non vi saranno sforamenti al tetto del 3% per quel che riguarda il deficit, il focus si sposta sul percorso di rientro dal deficit strutturale (depurato dagli effetti del ciclo economico e dalla una tantum) così come delineato dalla disciplina di bilancio europea.
La frenata del Pil rende per noi di fatto impossibile, a meno di ricorrere a manovre restrittive di bilancio, rispettare la richiesta di Bruxelles in direzione dell’obiettivo di medio termine. Il pareggio di bilancio non potrà essere conseguito nel 2015, slitta al 2016 se non al 2017. La trattativa con Bruxelles dovrà a questo riguardo puntare in primo luogo a evitare il ricorso a misure aggiuntive già nel 2014 (in sostanza una manovra correttiva) chiesto dalla Commissione fin dalle raccomandazioni del 2 giugno. Richiesta motivata dallo scarto tra la stima del deficit strutturale calcolata da Bruxelles per il 2015 (0,7%) e lo 0,1% assicurato dal governo. A quel punto la trattativa si concentrerà proprio sul 2015 e sugli anni a venire e la carta che Renzi e Padoan si accingono a giocare, per quanto riguarda le politiche nazionali, punta sull’effetto atteso dalle riforme strutturali, che lo stesso Padoan fissa in almeno un biennio. L’auspicata flessibilità, da estendere evidentemente erga omnes, sarebbe dunque strettamente connessa alle riforme strutturali messe in campo, puntualmente monitorate dalla Commissione. Il giudizio di Bruxelles è atteso su questo punto non prima della prossima primavera.

Fisco a rate per 27 miliardi di euro

Fisco a rate per 27 miliardi di euro

Giorgio Costa – Il Sole 24 Ore

Dal prossimo anno le cartelle che Equitalia notificherà ai contribuenti avranno, in allegato, i piani di rateizzazione precompilati del debito che possono essere concessi in base ai parametri previsti dalla legge. Il contribuente, quindi, potrà scegliere di saldare in un’unica soluzione o aderire al piano di pagamento più adatto alle sue esigenze e alle sue disponibilità economiche. Utilizzando il piano precompilato, il contribuente non dovrà più recarsi allo sportello o simulare il piano di ammortamento dal sito Internet, ma avrà già a disposizione tutti gli elementi per decidere come pagare contestualmente alla notifica della cartella.
Ma anche senza attendere i piani precompilati, la rateizzazione si conferma lo strumento più utilizzato dai contribuenti per pagare le cartelle. Nello scorso mese, peraltro, è stato registrato il record di 156mila richieste, con una media settimanale pari a circa il doppio di quella registrata nei primi sei mesi dell’anno; e questo boom è stato anche dovuto al fatto che il 31 luglio scorso scadeva il termine entro cui chi era decaduto dal beneficio a fine giugno poteva rimettersi in termine e utilizzare nuovamente il sistema delle rateazione.

Ad oggi sono attive 2,4 milioni di rateazioni per un controvalore di 26,6 miliardi e di fatto più della metà delle riscossioni di Equitalia avviene oggi tramite il pagamento dilazionato, che può arrivare a 10 anni. Il 76,9% delle rateizzazioni in essere riguarda persone fisiche e il restante 23,1% società e partite Iva. Se invece si guarda agli importi, il 65,9% delle rateazioni è stato concesso alle imprese e solo il 34,1% a persone fisiche. Il 70,8% delle rateizzazioni riguarda debiti fino a 5mila euro, il 26,2% debiti tra 5mila e 50mila euro e il 2,9% somme oltre i 50mila euro. La Lombardia si conferma la regione che guida la “classifica” dei pagamenti dilazionati con oltre 384mila rateizzazioni attive per un importo di 5,5 miliardi, seguita dal Lazio (305mila per un importo di 3,7 miliardi), dalla Campania (265mila per un importo di 3,2 miliardi di euro) e dalla Toscana (231mila per un importo di 1,9 miliardi).
La grande quantità di richieste di rateizzazioni se da un lato dà l’idea delle difficoltà economiche in cui versano contribuenti e imprese, dall’altro può anche essere letta come il forte gradimento verso un sistema di pagamento più diluito e facile da ottenere visto che per importi fino a 50mila euro è sufficiente una semplice richiesta: di fatto un modo per “finanziare” la famiglia o l’impresa non chiedendo denari in prestito, ma spalmando sul medio periodo le somme da pagare al Fisco. Attualmente è possibile ottenere un piano di rateizzazione straordinario fino a 120 rate (10 anni) oppure un piano ordinario a 72 rate (6 anni). L’importo minimo di ogni rata è, salvo eccezioni, pari a 100 euro. I piani sono alternativi per cui, in caso di mancata concessione di una dilazione straordinaria, si può chiedere una rateazione ordinaria. Finché i pagamenti sono regolari il contribuente non è più considerato inadempiente e può ottenere il Durc e il certificato di regolarità fiscale per poter lavorare con le pubbliche amministrazioni. Inoltre il contribuente che paga a rate è al riparo da eventuali azioni cautelari o esecutive (fermi, ipoteche, pignoramenti).

Per debiti fino a 50mila euro si può ottenere un piano ordinario di rateizzazione (72 mesi), compilando un modulo disponibile sul sito Internet www.gruppoequitalia.it e negli sportelli di Equitalia, e riconsegnarlo a mano oppure spedirlo con raccomandata con ricevuta di ritorno. Per importi oltre 50mila euro serve, invece, allegare documenti che dimostrino lo stato di difficoltà economica. È possibile richiedere rate variabili e crescenti, anziché rate costanti, in modo da poter pagare meno all’inizio nella prospettiva di un miglioramento della condizioni economiche. Si può, invece, arrivare a 120 mesi in caso di grave e comprovata situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica ed estranea alla propria responsabilità e quando l’importo della singola rata è superiore al 20% del reddito mensile del nucleo familiare. Questo parametro è valido anche per le ditte individuali. Per le altre imprese, invece, la rata deve essere superiore al 10% del valore della produzione mensile. I piani di rateizzazione, ordinari e straordinari, possono essere prorogati una sola volta. In entrambi i casi si può chiedere una proroga ordinaria (in ulteriori 72 rate) oppure, in presenza dei requisiti previsti, una straordinaria (massimo 120 rate).  

Tagli alla spesa pubblica: in Europa si fa sul serio

Tagli alla spesa pubblica: in Europa si fa sul serio

Chiara Bussi – Il Sole 24 Ore

Se esistesse una Coppa europea della spending review a trionfare sarebbe l’Irlanda. A Dublino, infatti, la sforbiciata della spesa pubblica si è rivelata più efficace: dal 2011 al 2013 – secondo i dati di Eurostat – il suo peso sul Pil è diminuito di oltre quattro punti percentuali, passando dal 47,1 al 42,9 per cento. Sul podio salirebbero anche Spagna e Gran Bretagna, dove i tagli procedono secondo la tabella di marcia. L’Olanda, ex “allieva modello” che si è scoperta fragile, dovrebbe invece accontentarsi del quarto posto. Tra i grandi, invece, gli unici in controtendenza sono Italia e Francia. Nel nostro Paese la spesa pubblica sul Pil è cresciuta dello 0,9%, in quello transalpino – al top in Europa per i costi di funzionamento della macchina burocratica – dell’1,2 per cento. Così mentre il governo italiano ribadisce che la spending review è al centro della sua strategia e per Parigi la strada è ancora in salita, il resto dell’Europa fa sul serio. E con ogni probabilità la cura dimagrante della pubblica amministrazione sarà ancora uno degli ingredienti dei budget 2015 che i governi dovranno presentare entro metà ottobre a Bruxelles. Una via obbligata per dare un po’ di ossigeno ai conti pubblici e dare una mano alla ripresa.
Dublino ha scommesso su un piano di risparmi da 7,8 miliardi varato nell’aprile 2010, che prevede un ferreo controllo della spesa, con una stretta sul welfare e una riduzione del numero di dipendenti pubblici entro il 2015. Gli interventi sono valsi al Paese la conclusione del programma di salvataggio di Ue e Fmi a dicembre, ma il governo non si adagia sugli allori e anche quest’anno si è impegnato a rispettare il tetto alla spesa per abbassare ancora il deficit.
Madrid, con un disavanzo fuori rotta, punta a una riduzione di 37,6 miliardi dal 2012 al 2015. La cabina di regia è affidata al Cora, la Commissione per la riforma della Pa, che ha messo a dieta ministeri ed enti locali. Tra le misure previste figurano lo stop alla tredicesima per parlamentari, funzionari e impiegati statali, una riduzione dei giorni di ferie per i dipendenti pubblici, un taglio del 30% del numero di consiglieri comunali e del 20% dei sussidi a partiti e sindacati. Ma anche pesanti interventi su sanità e scuola. Gli sforzi sono stati ribaditi anche nel Programma nazionale di riforma inviato alla Commissione Ue ad aprile, con un impegno a rendere più incisiva la modernizzazione della Pa e a un’ulteriore razionalizzazione dell’organizzazione e delle strutture. Grazie a questi sforzi Madrid ha già ridotto la spesa pubblica dello 0,9% sul Pil. E secondo le ultime stime del governo è già stato messo a segno un terzo dei risparmi previsti, pari a 10,4 miliardi. L’impegno continua e anche per il 2015 il premier Mariano Rajoy ha fissato un tetto di spesa a 129 miliardi, il 3,2% in meno rispetto a quest’anno.

A Londra la spending review imposta dal governo Cameron ha scatenato a luglio uno dei più grandi scioperi del Paese, che ha coinvolto oltre un milione di persone. Dopo i tagli avviati nel 2010, lo scorso anno Downing Street ha annunciato un nuovo round per il 2015 e 2016, con una dieta da 14,3 miliardi (11,5 miliardi di sterline). Dalla scure si salvano solo sanità e istruzione, mentre a soffrire di più sono le risorse destinate a giustizia ed enti locali. Viene introdotto anche un tetto alle spese di welfare, con una stretta sui sussidi di disoccupazione. La spending review non risparmia nemmeno la Bcc: la tv pubblica si appresta a licenziare altre 600 persone, dopo i tagli del 2012. Secondo i dati di Eurostat, Londra si sta muovendo nella giusta direzione: dal 2011 al 2013 è riuscita a contenere la spesa dello 0,8 per cento.
Nel budget 2014 l’Olanda ha invece annunciato tagli per 6 miliardi, con un focus sulla riduzione della spesa sanitaria e una razionalizzazione dei sussidi al welfare. In cantiere c’è anche un piano di modernizzazione della Pa e il congelamento degli stipendi pubblici.
In Francia, infine, il rimpasto di governo a fine marzo con l’arrivo del premier Manuel Valls non ha distolto il governo dalle intenzioni di ridurre la spesa. I piani, che puntano a 50 miliardi di risparmi entro il 2017, sono stati però definiti «ambiziosi» in un recente rapporto della Corte dei conti transalpina. Oltre il 40% degli interventi riguarderanno welfare e sanità, mentre a livello locale si punta sul dimezzamento del numero di regioni e sulla semplificazione dell’organizzazione territoriale. L’obiettivo dichiarato è racimolare un gruzzolo per abbassare le imposte. La Corte punta però il dito su 30 miliardi di risparmi previsti, ma «ancora poco documentati e dall’esito incerto», come l’intervento sui regimi complementari di assicurazione sulla vecchiaia e quelli sulle collettività territoriali.
Comunque vada, insomma, da nord a sud quest’anno il filo rosso d’autunno nella Ue sarà ancora la spending review.

RICETTE DI SPENDING REVIEW A CONFRONTO

ITALIA 53,5 miliardi

È l’obiettivo complessivo della spending review annunciata dal governo nel Def di aprile presentato alla Commissione Ue. Nel dettaglio si tratta di 4,5 miliardi per il 2014, 17 per il 2015 e 32 per il 2017.
Gli interventi
Sotto la scure sono finiti i trasferimenti alle imprese, le retribuzioni dei dirigenti pubblici (con il tetto massimo di 238mila euro) e i costi della politica. Nell’ambito del Patto per la salute sarà interessata anche la sanità e la sforbiciata riguarderà le spese che eccedono i «costi standard». Si dovranno concentrare anche gli acquisti in capo alla centrale della Consip e ad altre centrali a livello di regioni e città metropolitane. Dal piano di razionalizzazione delle partecipate locali annunciato dal Commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, è previsto un risparmio di 2-3 miliardi all’anno.

GRAN BRETAGNA 14,3 miliardi

Valore della riduzione della spesa prevista per il 2015 e 2016 dopo le misure già varate nel 2010.
Gli interventi
Tetto dell’1% all’aumento degli stipendi pubblici; tetto alla spesa del welfare dall’aprile 2015, compresi i sussidi per le abitazioni; riduzione del budget per le pensioni del 9,5%; regole più rigide per ottenere i sussidi di disoccupazione. Tagli selettivi alle spese dei ministeri: quello responsabile degli enti locali e la giustizia subiranno un taglio del 10%, mentre trasporti ed energia registreranno una riduzione della spesa del 9% e la cultura del 7 per cento. Restano escluse solo sanità e istruzione. Tagli anche per il budget delle forze di polizia (circa il 6%).

OLANDA 6 miliardi

Riduzione della spesa prevista dal budget 2014. La misura segue un piano di spending review del 2010, che aveva tracciato la rotta da seguire individuando 20 capitoli di spesa.
Gli interventi
La spesa della Pubblica amministrazione diminuirà di 1,4 miliardi, quella sanitaria di 1,5 miliardi. Riduzione delle pensioni minime nel 2014 con tagli progressivi ogni anno fino al 2016. Salvo solo il budget per l’istruzione. Nel Programma nazionale di riforma presentato
a Bruxelles sono stati annunciati un piano per la modernizzazione della Pubblica amministrazione, una razionalizzazione della spesa sanitaria con l’obiettivo di risparmiare oltre 6,5 miliardi nel corso della legislatura e una riforma delle pensioni.

FRANCIA 50 miliardi

È l’obiettivo di riduzione complessiva della spesa annunciato dal Governo dal 2014 al 2017: 15 miliardi per quest’anno, 18 per il 2015 e 14 per il 2017. Di questi 21 miliardi di risparmi deriveranno dal welfare e dalla sanità, altri 18 miliardi da una razionalizzazione della spesa dei ministeri e 11 a livello locale.
Gli interventi
Congelati fino all’ottobre 2015 i contributi di welfare e le pensioni, previsti un freno all’aumento dei salari dei dipendenti pubblici e un blocco delle assunzioni. Miglioramento dell’efficienza della spesa sanitaria, con un maggiore ricorso ai farmaci generici e alle cure ambulatoriali. A livello locale dimezzamento del numero di regioni dal 2017, semplificazione e rafforzamento dell’efficacia del servizio pubblico locale. Salvi i settori prioritari come lavoro, politiche giovanili e giustizia.

SPAGNA 37,6 miliardi

Riduzione della spesa pubblica prevista dal 2012 al 2015. A oggi, secondo il governo, è stato realizzato un terzo dei risparmi, pari a 10,4 miliardi. L’esecutivo assicura che le altre misure sono in dirittura d’arrivo.
Gli interventi
Stop alla tredicesima per parlamentari, funzionari e impiegati pubblici, riduzione dei giorni di ferie per i dipendenti pubblici, taglio del 30% dei consiglieri comunali e del 20% dei sussidi per partiti e sindacati. Pesanti riduzioni del budget per scuola, università e sanità, eliminazione delle agevolazioni ai pensionati per l’acquisto di medicinali. Nel Programma nazionale di riforma presentato a Bruxelles il governo si impegna a modernizzare la pubblica amministrazione e a razionalizzarne le strutture.

IRLANDA 7,8 miliardi

È l’entità del taglio della spesa pubblica varato dal governo con il cosiddetto «Croke Park Agreement» nell’aprile 2010: 2,2 miliardi nel 2014, 2,25 nel 2015, 2 nel 2014 e 1,3 nel 2015.
Gli interventi
Stretta sui dipendenti pubbblici, con l’obiettivo di una riduzione di 37.500 unità (da 320mila) entro il 2015. Riduzione della spesa per il welfare, con un focus sui bonus bebé e i sussidi di disoccupazione, razionalizzazione del sistema dei ticket sanitari e regole più rigide per i certificati di malattia. Risparmi anche dalla “standardizzazione” dei congedi di maternità. Previsto un tetto al bilancio pubblico nel 2012, 2013 e 2014. Bocciata invece con un referendum lo scorso ottobre l’abolizione del Senato, che avrebbe dovuto portare a un risparmio di 20 milioni annui.

Artigianato, 42mila imprese pronte ad assumere

Artigianato, 42mila imprese pronte ad assumere

Claudio Tucci – Il Sole 24 Ore

Le imprese artigiane che quest’anno intendono assumere nuovo personale sono circa 42.100, pari al 10,1% del totale (erano il 9,6% nel 2013). Un incremento che non basta però a bilanciare le difficoltà congiunturali e occupazionali ancora evidenti nel settore, come dimostra la perdita di altri 41mila lavoratori (stagionali e non stagionali) e la diminuzione dei contratti di lavoro dipendente e atipico che verranno attivati nel corso del 2014 (-0,3% rispetto allo scorso anno). Il mondo delle imprese artigiane sta però cambiando, rilevano i dati diffusi oggi da Unioncamere-ministero del Lavoro, attraverso il sistema informativo Excelsior. In genere vanno meglio le imprese che puntano sull’artigianato digitale e sull’export.

Sempre meno difficoltà a trovare figure artigiane
Si riduce poi la difficoltà di reperimento segnalata dalle imprese artigiane. Essa interesserà solo l’11% delle 77.600 assunzioni previste, un punto in più della media nazionale, ma inferiore di oltre 20 punti rispetto a quattro anni fa. Per alcune professioni, tuttavia, considerando le figure richieste con almeno 100 assunzioni previste, la difficoltà resta alta, interessando un terzo delle entrate programmate. Si tratta dei lattonieri e calderai, con il 51% di assunzioni difficili da trovare, seguiti dai tecnici della produzione manifatturiera (45%), falegnami e attrezzisti di macchine per la lavorazione del legno (40%), tecnici programmatori (37 per cento). Queste difficoltà risultano più marcate nel Nord Est, dove interesseranno il15% di tutte le figure di cui si prevede l’assunzione, e nel Nord Ovest (13%), riguardando in particolare Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, parte della Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Umbria e registrando anche casi particolarmente significativi, come quello di Treviso, dove la quota di assunzioni di difficile reperimento raggiunge il 37% del totale. A seguire Pordenone (28%), Terni (26%), Pisa, Mantova e Modena (23-24%). In altre 6 province tale quota si attesta tra il 20% e il 22%. Viceversa, in 13 province (tutte meridionali) questa caratteristica interessa meno del 5% delle assunzioni. I limitati problemi di reperimento segnalati dalle imprese artigiane hanno portato a ridurre anche la quota massima di assunzioni di personale immigrato sul totale delle assunzioni previste: 12% nel 2014, un punto in meno del 2013 e due punti al di sotto della media nazionale. In leggero rialzo è invece la richiesta di una precedente esperienza lavorativa specifica nella professione o nel settore, che raggiunge il 61% delle assunzioni previste, valore superiore di 4 punti alla media nazionale.

Più spazio a innovatori e a operai
Il dettaglio delle professioni non stagionali (52.800 nel 2014, circa mille in meno del 2013) evidenzia infine una ricomposizione della domanda di lavoro da parte delle imprese artigiane improntata al rafforzamento soprattutto di alcuni grandi gruppi professionali a maggior “tasso” di innovatività. Aumenta infatti del 22% la richiesta di professioni intellettuali scientifiche e tecniche (1.040 le entrate programmate) e di operai (24.000 quelli specializzati, con un incremento del +0,8%, e 7.400 quelli generici e conduttori di impianti, aumentati del +10,4%). Diminuisce invece la richiesta di professioni tecniche (-18,9%), di quelle esecutive del lavoro d’ufficio (-14,8%) e di quelle qualificate nelle attività commerciali (-1,7 per cento).  

Cassa integrazione in calo del 25%, ma quella straordinaria cresce del 18%

Cassa integrazione in calo del 25%, ma quella straordinaria cresce del 18%

Claudio Tucci – Il Sole 24 Ore

Continua il calo delle ore complessive di cassa integrazione richieste dalle imprese. Ma la cassa straordinaria aumenta, e il crollo delle ore richieste di cassa integrazione in deroga dipende dai noti problemi di finanziamento dell’istituto che durano ormai da mesi.
A luglio l’Inps ha autorizzato, in totale, 79,5 milioni di ore, in diminuzione dell’8,6% rispetto a giugno, e addirittura del 25% sull’anno (a luglio 2013 erano state autorizzate 106,1 milioni di ore). La contrazione più vistosa interessa la cassa in deroga (-70,8% sull’anno), ma il dato risente “dei fermi amministrativi per carenza di finanziamenti”, conferma anche l’Inps.

Cresce la cassa straordinaria
In discesa sono pure le ore autorizzate di cassa integrazione ordinaria (-38,3% tendenziale). In particolare, la variazione tendenziale è stata pari a -42,8% nel settore Industria e a -24% nel settore Edilizia. In controtendenza invece la richiesta di cassa straordinaria (la Cigs): il numero di ore autorizzate a luglio è stato pari a 50,4 milioni, con un incremento del +18% rispetto al luglio 2013, nel corso del quale sono state autorizzate 42,7 milioni di ore. Questo dato è particolarmente significativo perché sta a indicare come sempre più aziende permangano in difficoltà acute (la Cigs serve infatti per le crisi strutturali).

Disoccupazione in diminuzione

Passando infine alle domande di disoccupazione l’Inps evidenza che nel mese di giugno 2014 sono state presentate 106.206 domande di Aspi, 33.935 domande di mini-Aspi, 234 domande tra disoccupazione ordinaria e speciale edile e 8.229 domande di mobilità, per un totale di 148.605 domande, il -3,3% in meno rispetto alle 153.725 domande presentate nel mese di giugno 2013. Un segnale coerente con i recenti dati Istat che a giugno evidenziavano una contrazione (congiunturale) del numero di disoccupati.

Debito, nuovo record. Pesano i pagamenti arretrati alle imprese

Debito, nuovo record. Pesano i pagamenti arretrati alle imprese

Francesco Di Frischia – Corriere della Sera

Il debito pubblico italiano continua ad aumentare, mentre dalla produzione industriale e dalla cassa integrazione emergono segnali di un lento miglioramento dell’economia. Secondo Bankitalia a giugno il debito pubblico ha toccato il nuovo record di 2.168,4 miliardi, dovuto anche al pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione (proprio ieri il Tesoro ha messo a disposizione degli enti locali altri 3 miliardi), mentre i dati Inps sulla cassa integrazione indicano un calo dell’utilizzo pari al 25% rispetto al 2013 ed Eurostat conferma come la produzione industriale italiana, +0,9 a giugno, si muova in controtendenza rispetto all’Europa.
Entrando nel dettaglio, il debito pubblico in valore assoluto è cresciuto di 2 miliardi rispetto a maggio e di quasi 100 rispetto alla fine del 2013. Secondo il Documento di economia e finanza di aprile, il debito dovrebbe attestarsi a fine anno a 2.141 miliardi, pari al 134,9% del Prodotto interno lordo, ma è probabile che, con il peggioramento della congiuntura, questi obiettivi possano essere rivisti. Sull’aumento del debito nei primi sei mesi dell’anno hanno inciso i pagamenti dei debiti della Pa e anche la scelta del Tesoro di «fare provvista» sfruttando i bassi tassi di interesse nella prima parte del 2014, spiegano dal ministero dell’Economia, per far fronte «alla quota significativa» di debito in scadenza nella seconda metà dell’anno. Al momento quindi, fanno notare, «il conto di disponibilità», con le emissioni effettuate, è «elevato», ma entro l’anno tornerà a «livelli fisiologici di 25-30 miliardi».
I dati diffusi ieri da Bankitalia confermano anche la flessione delle entrate tributarie: sono state pari in giugno a 42,7 miliardi, in diminuzione del 7,7% (3,5 miliardi) rispetto allo stesso mese del 2013. Nel periodo gennaio-giugno le entrate sono ammontate a 188,1 miliardi di euro, con un calo dello 0,7% (1,3 miliardi) rispetto all’analogo periodo dell’anno scorso. Calo da attribuirsi fondamentalmente alla recessione. A questo proposito l’Agenzia delle Entrate ha voluto precisare ieri con un comunicato che non c’è alcun allentamento della lotta all’evasione fiscale: «La direttiva di concentrarsi sul 2012 risponde a esigenze di celerità ed economicità dell’azione amministrativa» perché «in questo modo gli uffici potranno non solo accertare, ma anche recuperare effettivamente e nel più breve tempo possibile le somme evase». Ma «anche le annualità precedenti il 2012 saranno oggetto della massima attenzione e dei relativi controlli», assicura l’Agenzia.
In attesa dei dati di oggi sul Prodotto interno lordo del secondo semestre, che secondo gli analisti dovrebbero indicare un peggioramento del quadro anche nelle altri grandi economie della zona euro, Eurostat ha diffuso ieri i dati sulla produzione industriale. Nei 18 Paesi dell’Unione monetaria la produzione a giugno è scesa dello 0,3% rispetto a maggio. L’Italia si conferma in controtendenza, con un aumento dello 0,9% (ma resta un -0,4% su base annua).
Un capitolo a parte merita la Cig: secondo l’Inps a luglio il numero di ore di cassa integrazione autorizzato è stato di 79,5 milioni (-25% rispetto allo stesso mese del 2013). Ma si tratta di una media frutto dell’aumento della cassa integrazione straordinaria (+18,0%), del calo della cassa ordinaria (-38,3%) e soprattutto della cassa in deroga (-70%) che risente, però, del mancato rifinanziamento.
Insomma, un quadro di luci (poche) e ombre (tante). Tra queste ultime anche la gestione dei fondi strutturali europei. L’Italia rischia di perdere 5-6 miliardi di quelli del ciclo 2007-2013, mentre sta negoziando con l’Ue i fondi 2014-2020. Il premier Matteo Renzi ha riconosciuto ieri che «l’Italia ha speso peggio di come avrebbe potuto» i fondi europei, ma ora «stiamo affrontando la difficoltà». Della questione si occupa il sottosegretario Graziano Delrio che sul tema dei nuovi fondi previsti dall’accordo di partenariato 2014-2020 si sta arrivando all’accordo con Bruxelles. Il governo presto chiarirà con l’Europa sui vecchi fondi, ma intanto Palazzo Chigi assicura, in sintonia con la Commissione Ue e replicando a indiscrezioni di stampa, che non c’è alcun rischio di perdere per il futuro 40 miliardi. Ieri, parlando con il Wall Street Journal , Delrio ha sottolineato che il governo continua sulla strada tracciata, spiegando che non verranno aumentate le tasse ma tagliata la spesa. «E se ci sarà bisogno di sacrifici aggiuntivi, li chiederemo alla Pubblica amministrazione». Significa, spiegano i suoi collaboratori, «che si andrà avanti sulla spending review, a partire dai risparmi possibili sulle municipalizzate, come indicato dal commissario per la revisione della spesa, Carlo Cottarelli».