agricoltura
Come la crisi ha cambiato l’occupazione: crollano le costruzioni, bene i servizi
Redazione », Studi 2008-2015, agricoltura, costruzioni, edilizia, industria, occupazione, servizi
È quello delle costruzioni il comparto che ha registrato il calo più elevato di occupati dal 2008 ad oggi, perdendo il 23,78% degli addetti in sette anni: un’emorragia di 464mila posti di lavoro che non si è fermata nemmeno negli ultimi due anni, quando gli altri settori hanno fatto segnare timidi segnali di ripresa, perdendo rispetto al 2013 64mila900 posti.
Più contenuto il calo degli occupati in Agricoltura (-3,35%) e nell’Industria (-8,76%) con entrambi i settori che hanno visto crescere negli ultimi due anni il numero dei propri addetti: + 26mila300 occupati in agricoltura e +48mila occupati nell’industria.
Cresce l’occupazione nei servizi che è già oggi oltre i livelli fatti registrare prima della crisi (+1,74%): 267mila nuovi posti di lavoro, di cui ben 233mila negli ultimi due anni, a maggior dimostrazione di come sia il terziario il settore che sta trainando maggiormente la ripresa dell’occupazione nel nostro paese.
L’analisi dei livelli occupazionali nelle singole regioni italiane evidenza come in una sola regione italiana, la Liguria, il numero degli addetti nel settore delle costruzioni sia in linea con i valori fatti registrare prima della crisi (+0,94%). In tutto il resto del paese la percentuale di occupati nell’edilizia arretra sensibilmente, con punte del 46,67% in Molise, del 39,09% in Calabria e del 38,73% in Sicilia. A soffrire non è solo il Sud: l’occupazione nelle costruzioni cala nettamente anche in Emilia Romagna (-29,33%), Valle d’Aosta (-29,16%) e Umbria (-29,14%) Nelle altre regioni del Nord il calo è più contenuto, ma comunque marcato: in Lombardia gli occupati nel settore costruzioni scendono del 22,77%, in Piemonte del 16,73%, in Trentino del 15,63%.
L’Agricoltura fa segnare generalmente cali dei livelli occupazionali più modesti, con otto regioni italiane che registrano oggi un numero di occupati nel settore superiore a quello del 2008. Si tratta di Marche (+31,75%), Abruzzo (+30,01%), Toscana (+17,91%), Sardegna (+13,26%), Lazio (+12,43%), Friuli Venezia Giulia (+10,96%), Veneto (+5,88%) e Lombardia (+4,75%). Sono due regioni del Sud, invece, a far segnare il record negativo di posti persi nel settore: in Molise l’occupazione agricola cala del 40,49% e in Puglia del 23,54%.
Nel settore industriale sono ben lontane dai livelli occupazionali pre-crisi praticamente tutte le regioni del nord del Paese, storicamente sede delle principali imprese manifatturiere ed industriali: la Lombardia perde rispetto al 2008 il 3,64% degli occupati nel settore, il Veneto il 14,04%, il Piemonte il 7,10%, il Friuli Venezia Giulia l’8,84%. Va Meglio l’Emilia Romagna che oggi registra l’1,76% di occupati in più nel settore rispetto a sette anni fa ed è, assieme alla Basilicata, la regione in cui la crisi del comparto si è percepita di meno. Sardegna (-23,45%), Calabria (-20,37%), Puglia (-20,34%) e Liguria (-17,56%) sono le quattro regioni che per converso fanno registrare i cali più consistenti.
I servizi, come detto, trainano la ripresa: il Lazio da solo (+9,55% di occupati nel settore rispetto al 2008) contribuisce a più di metà della crescita del comparto rispetto agli anni pre-crisi. Segue il Trentino Alto Adige (+8,54% ma con numeri in valore assoluto molto più limitati), Toscana (+5,43%) e Umbria (+4,78%). Soffre anche in questo comparto il Sud del paese: l’Abruzzo perde l’11,46% degli occupati, la Calabria il 9,31%, la Sicilia il 4,40%.
Il divieto di importare Ogm è un suicidio
Redazione Edicola - Opinioni agricoltura, davide giacalone, libero, ogm
Davide Giacalone – Libero
Dopo il suicidio Ogm, agricolo e scientifico, si prepara quello degli allevamenti. L’Italia del pregiudizio s’appresta a pregiudicare una vitale catena produttiva. L’alternativa al suicidio consiste nella più ridicola delle incoerenze. Alla fine di questa storia ci ritroveremo ad avere geneticamente modificato, e cancellato, la ragionevolezza.
Il trionfo della paura irrazionale e della regressione antiscientifica si ebbe durante la presidenza italiana dell’Unione europea, quando i nostri ministri dell’agricoltura, della sanità e dell’ambiente tornarono felici e annunciarono di avere affondato, in un sol colpo, sia l’idea stessa di Ue che la nostra ricerca scientifica e produzione agricola. Risultato che avevano colto suggerendo e ottenendo che ciascuno Stato potesse continuare a proibire (sebbene in via temporanea) la coltivazione degli Ogm (organismi geneticamente modificati) nei propri campi. A quel punto andava a farsi benedire il pilastro giuridico del mercato comune, ovvero che ciascun cittadino europeo può competere con gli altri, a parità di diritti.
Da noi è proibito quel che altrove è consentito. La proibizione in sé è totalmente illegittima, quindi passibile di condanna davanti alla Corte di giustizia. La sua temporaneità è il trucco per renderla possibile. Ricordo che: a. Buona parte della ricerca scientifica Ogm è made in Italy, sicché l’ordalia superstiziosa costringe i migliori cervelli a emigrare; b. i nostri allevamenti consumano, al 90%, soia e mais Ogm, ma d’importazione. Risultato: mangiamo Ogm ogni giorno, ma non possiamo produrli e non è conveniente neanche tenere in Italia i laboratori di ricerca, visto che non c’è mercato.
Ora la Commissione europea s’appresta a un passo avanti, verso il baratro: così come ciascun Paese può proibire la coltivazione potrà anche proibirne l’importazione. E qui si apre un bivio, che sarebbe ridicolo se non fosse tragico: o, coerentemente, proibiamo anche l’importazione, nel qual caso non ci saranno più mangimi nei nostri allevamenti, o dovremo importarne di così costosi da mettere le nostre produzioni fuori mercato; oppure, incoerentemente, stabiliremo che si può importare quel che non si può produrre, continuando a prendere in giro noi stessi e a far finta che, così, non si mettano gli Ogm nel piatto degli italiani.
Del resto, perché mai abbiamo proibito la coltivazione? Perché pericolosa? In questo caso non dovremmo certo agevolare chi quel pericolo lo pratica in 73 milioni di ettari statunitensi, 42 brasiliani, 24 argentini e 12 indiani (solo per’citare le più diffuse coltivazioni). Né possiamo consentire che, mangiando quella roba, le carni che poi commerciamo riconsegnino il pericolo ai consumatori. Siccome, però, non sapremmo come altro fare, ecco che siamo prossimi alla fine della filiera degli allevamenti. Se, invece, proibiamo la cosa solo perché non abbiamo l’onestà e il coraggio di dire l’ovvio, ovvero che gli Ogm non solo sono diffusi ovunque, non solo li consumiamo massicciamente, ma non presentano alcun pericolo, se proibiamo solo per seguire la gnagnera insulsa del falso biologico e del falso naturale (non c’è nulla, fra le cose che mangiamo, che sia tale e quale la natura creò, nulla), allora dovremo sopravvivere grazie all’incoerenza.
Alternativa piuttosto triste, cui si giunge dopo il festival dell’ignoranza e della superstizione. Gran risultato per chi, come noi, nell’innovazione e nella qualità alimentare dovrebbe avere fonti di orgoglio e ricchezza. Non di risibile miseria culturale ed economica.
Imu agricola col perdono
Redazione Edicola - Argomenti agricoltura, francesco cerisano, imu, italia oggi, tasse
Francesco Cerisano – Italia Oggi
Niente sanzioni e interessi per i ritardati o erronei versamenti dell’Imu agricola. Si è chiuso ieri, ultimo giorno per pagare l’imposta, la telenovela che per due mesi ha creato tensioni nel governo e tra i contribuenti, fino ad arrivare al clamoroso dietrofront con cui l’esecutivo ha abbandonato la classificazione altimetrica tornando a quella Istat. La buona notizia è che a coloro che hanno sbagliato a versare non dovrebbero essere irrogate sanzioni da parte dei Comuni, a condizione che la regolarizzazione avvenga in tempi brevi. Un emendamento in tal senso potrebbe essere depositato in commissione Finanze del Senato dove è all’esame il decreto legge n.4/2015. Quello che ha esentato totalmente 3.456 Comuni classificati come totalmente montani dall’Istat, non facendo pagare l’Imu ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli negli enti parzialmente montani. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, sull’ipotesi di sanatoria sarebbe già al lavoro il relatore, Federico Fornaro, che peròo attenderebbe l’ok del governo per formalizzare la proposta, a favore della quale militerebbero ragioni di «galateo tributario» (lo Statuto del contribuente sterilizza le sanzioni in presenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma e vieta di imporre adempimenti fiscali prima che siano decorsi 60 giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni) unite a un importante precedente: quello della cosiddetta «Mini-Imu» del 2014. Se ne saprà qualcosa in più domani quando il governo sarà presente in commissione per iniziare a valutare gli emendamenti che dovranno essere presentati entro le ore 18. Tra questi, un nutrito pacchetto di proposte di modifica arriva dall’Anci che ieri in audizione ha rimarcato i molti punti di criticità lasciati aperti dal decreto.
Pur apprezzando il provvedimento, in quanto riduce da 359 a 230 milioni i tagli per i Comuni, risultando meno penalizzante (rispetto al dm 28 novembre 2014) soprattutto per gli enti montani, l’Anci continua a rimarcare come si tratti di una «decurtazione di risorse certe a fronte di un gettito ipotetico e di difficile recupero». Secondo l’Associazione dei Comuni, le stime di gettito potenziale previste dal Mef sono sbagliate in eccesso e non tengono conto delle difficoltà che i sindaci incontreranno nel riscuotere l’Imu soprattutto in presenza di versamenti di modico valore. Per questo l’Anci ha chiesto, in sede di conversione del dl 4, l’inserimento di «opportune modalità di verifica del gettito e di eventuale compensazione dei minori importi che ne potranno risultare». E anche secondo l’associazione guidata da Piero Fassino, gli eventuali ritardi nel pagamento dell’imposta non dovranno essere sanzionati, in considerazione dei tempi stretti fissati per il versamento (il decreto che ha spostato la scadenza al 10 febbraio è stato varato solo il 23 gennaio) e delle «connesse difficoltà di assicurare un’adeguata pubblicità dei nuovi obblighi tributari».
Imu terreni, ora lo stato deve restituire 128 milioni ai Comuni
Redazione Edicola - Argomenti agricoltura, alitalia, imu, matteo barbero
Matteo Barbero – Italia Oggi
La parziale vittoria nella vicenda dell’Imu sui terreni montani porterà nelle casse dei Comuni un assegno da 128 milioni di euro. È questa la cifra dei rimborsi che lo stato deve erogare ai sindaci, in base a quanto previsto dal dl 4/2015 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24 gennaio 2015). Quest’ultimo, come noto, ha stabilito che, per distinguere i terreni soggetti all’imposta da quelli esenti, fa fede solo la classificazione Istat. Quindi, sono stati definitivamente abbandonati il criterio altimetrico e la divisione in tre fasce operata dal dm 28 novembre 2014. La decisione del governo accoglie solo in parte le richieste dei Comuni: questi, se da un lato avevano chiesto la revisione dei parametri, dall’altro speravano nella cancellazione dell’obbligo di pagamento relativo al 2014, con conseguente azzeramento dei tagli subiti sul fondo di solidarietà comunale.
In base alle nuove regole, sono esenti dall’Imu: a) i terreni ubicati nei Comuni classificati totalmente montani; b) i terreni ubicati nei Comuni classificati parzialmente montani, se posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali; C) i terreni ubicati nei Comuni parzialmente montani, posseduti da coltivatori diretti e iap e da essi concessi in comodato o in affitto ad altri coltivatori diretti e iap. Per il solo anno 2014, non è comunque dovuta l’Imu per i terreni esenti in virtù del citato dm e che, invece, risultano imponibili per effetto dell’applicazione dei nuovi criteri. Per esempio, in un Comune collocato a 300 metri di altitudine, ma non riconosciuto come montano o parzialmente montano dall’Istat, coltivatori diretti e iap non dovranno pagare sui propri terreni l’Imu 2014, perché essi sarebbero stati esenti in base a quanto stabilito dal dm 28 novembre 2014: essi dovranno versare, pero, l’Imu 2015.
Il dl 4 disciplina anche le regolazioni finanziarie conseguenti alla nuova mappa delle esenzioni. Nell’allegato A sono riportate le variazioni compensative di risorse relative al 2015 (quindi alla situazione a regime), che saranno operate sul fondo di solidarietà, per i Comuni delle regioni ordinarie, Sicilia e Sardegna, sulle compartecipazioni ai tributi erariali per le altre regioni speciali. Il totale di questo allegato, ossia la stima di maggior gettito a favore dei Comuni, vale 268.652.847,44. L’allegato al dm 28 novembre 2014, invece, 359.540.308,25, per cui la nuova classificazione costa a regime circa 90 milioni al bilancio dello Stato. Nell’allegato B, sono riportate le variazioni compensative di risorse relative al 2014, che riflettono una situazione parzialmente diversa da quella a regime, visto che per il 2014 rimangono in vita alcune esenzioni previste dal dm 28 novembre 2014, poi cancellate dal dl 4. Infatti, il totale complessivo è più basso di quello indicato nell’allegato A.
Nell’allegato C, infine, troviamo i rimborsi ai Comuni, che ovviamente riguardano l’anno 2014. In pratica, si tratta delle somme decurtate dal fondo o dalle compartecipazioni in vista di un maggiore gettito che non si verificherà in quanto riguardante fattispecie che restano esenti. Il totale, come detto, è di circa 128 milioni.In base agli importi indicati nell’allegato C, i Comuni sono autorizzati a rettificare gli accertamenti del bilancio 2014 relativi al fondo di solidarietà e all’Imu. Essi, pertanto, dovranno ridurre l’accertamento convenzionale Imu effettuato in base al dm 28 novembre 2014, incrementando della stessa cifra quello relativo al fondo.
Rimane il problema del restante gettito (circa 270 milioni) che i Comuni dovrebbero incassare entro il nuovo termine del 10 febbraio: come ricorda una nota della Fondazione commercialisti i terreni assoggettati al prelievo sono collocati in prevalenza in collina ed in montagna e spesso risultano incolti con reddito dominicale assolutamente scarso, per cui l’importo dovuto risulta il più delle volte irrisorio ed in taluni casi anche al di sotto della soglia minima prevista per il versamento.
Proibizione & superstizione
Redazione Edicola - Opinioni agricoltura, davide giacalone, libero, ogm
Davide Giacalone – Libero
Lesti son lesti, quando si tratta di proibire. Garantendo all’Italia un ulteriore elemento d’arretratezza e violazione del diritto dei cittadini. Quando il ministro dell’ambiente, Gian Luca Galletti, tornò trionfante annunciando di avere indotto i colleghi europei a stabilire che, circa le coltivazioni Ogm, ciascun Paese avrebbe deciso per i fatti propri, scrivemmo subito che trattavasi dell’apoteosi dell’antieuropeismo, nonché la premessa, dalle nostre parti, per la proibizione oscurantista. È puntualmente, nonché malauguratamente, accaduto.
Si deve ragionare su basi razionali, senza accecarsi e farsi accecare da paure e stregonerie mediatiche. La prima domanda è: la coltivazione degli Organismi geneticamente modificati può arrecare danni collaterali o, addirittura, comportare pericoli per la collettività? La risposta è: no. Non è “forse”, è “no”. Non c’è nessuna evidenza scientifica di danni o pericoli. Questo non è un buon motivo per metterci tutti a coltivare Ogm, perché non basta una cosa non sia pericolosa perché sia anche conveniente e utile. Ma è un buon motivo per non proibirla. Oggi, e per la precisione dal luglio del 2013, un agricoltore italiano è meno libero di un agricoltore spagnolo. Ciò vuole dire che un cittadino italiano è meno libero di un cittadino spagnolo. Tanto è evidente la violazione dei diritti, collettivi e individuali, che non hanno il coraggio né la base giuridica per proibire definitivamente quel che altrove non è solo consentito, ma praticato, e allora ricorrono a un trucco: la proroga della proibizione temporanea. Un trucco che serve a evitare che un cittadino italiano si rivolga alla Corte di giustizia e ottenga la sicura condanna dello Stato.
Perché proibiscono? Perché, dopo avere in tutti i possibili modi tassato il settore dell’agricoltura, cedono alla pressione corporativa di organizzazioni che pensano, in questo modo, di tutelare le coltivazioni tradizionali. Tanto è vero che parlano di rispetto dei sapori e dei profumi della nostra tradizione. Il che è comico assai, visto che gli Ogm che taluni pensavano di coltivare erano mais, con cui far mangiare gli animali. Negli allevamenti italiani, del resto, il mais dei mangimi è per la quasi totalità importato e Ogm. E dato che si è quel che si mangia: loro mangiano Ogm e noi mangiamo loro, o beviamo il loro latte. A qualcuno sono spuntate le branchie?
Oltre al danno per il diritto e i diritti, oltre a quello che subiscono gli agricoltori che avrebbero voluto coltivare (e alcuni, in Friuli, già annunciano che lo faranno ugualmente), c’è anche il danno per la ricerca scientifica. Se c’è un problema, sicuramente legato agli Ogm, è che importando le sementi si dipende da chi le ha prodotte (Monsanto, il più delle volte). Poi c’è la fastidiosa cantilena delle lamentazioni per i nostri cervelli che fuggono all’estero. Ebbene, ma come si può pensare di non dipendere dalle multinazionali dell’Ogm, e come si può credere che i ricercatori restino in Italia, se qui è proibito fare quel che altrove sono premiati e pagati per realizzare? Dentro il valore di quelle multinazionali c’è anche il peso dei nostri cervelli che hanno portato le loro capacità e scoperte dove non fosse proibito utilizzarle. Quindi, anche in questo caso, il problema non sono i cervelli che vanno via, ma quelli che rimangono e non funzionano. Uno speciale ringraziamento, allora, ai ministri dell’ambiente, dell’agricoltura e della sanità, che ci hanno conquistato, per altri diciotto mesi, uno spazio d’illibertà, povertà e superstizione.
Imu agricola, 3.456 Comuni saranno esenti anche per il 2014
Redazione Edicola - Argomenti agricoltura, Corriere della Sera, imu, mario sensini
Mario Sensini – Corriere della Sera
Con un decreto varato da un Consiglio dei lampo, durato pochi minuti, il governo ha sistemato il pasticcio dell’Imu sul terreni agricoli. Il decreto prevede l’esenzione dell’imposta sui terreni agricoli e incolti in 3.456 Comuni riclassificati come interamente «montani» e su quelli di proprietà o in affitto ai coltivatori diretti e alle imprese agricole nei municipi (sono 650) il cui territorio è considerato parzialmente montano. I nuovi criteri si applicano dal 2015 ma anche alle tasse dovute per il 2014, che andranno pagate entro febbraio, risolvendo così l’enorme incertezza che si era creata sul versamento dell’imposta. I sindaci, infatti, avevano presentato ricorso contro la decisione del governo di rivedere i criteri altimetrici per la definizione del Comune montano, ora ripristinati, ed il Tar del Lazio lo aveva accolto, sospendendo il pagamento dell’imposta che avrebbe dovuto essere pagata entro lunedì prossimo, 26 gennaio. La soluzione è arrivata ieri mattina nel corso di un incontro tra i ministri dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e dell’Agricoltura, Maurizio Martina. L’estensione dell’esenzione dovrebbe costare circa 100 milioni di minori incassi per l’erario dello Stato.
OGM: in quel compromesso sta la fine dell’Unione europea
Redazione Editoriali agricoltura, davide giacalone, europa, impresalavoro, ogm
OGM: in quel compromesso sta la fine dell’Unione europea – Videocommento di Davide Giacalone
Sugli ogm scelte europee troppo provinciali
Redazione Edicola - Opinioni agricoltura, davide giacalone, europa, libero, ogm
Davide Giacalone – Libero
L’Unione europea favorisce le coltivazioni Ogm, ma uno Stato aderente all’Ue può proibirle. Questo non è un compromesso, è il fallimento dell’idea stessa di Unione. Una regressione a prima del Mec, Mercato comune europeo. Una decisione eurodemolitoria, perché fa dell’Unione il luogo in cui i doveri sono inderogabili, mentre i diritti negabili. Essendo una conclusione cui si è giunti durante la presidenza italiana, il nostro ministro dell’ambiente, Gian Luca Galletti, la racconta come un successo, il frutto del duro lavoro di mediazione. Avrebbe fatto meglio a riposarsi.
Per capite le dimensioni e il significato di questa porcheria ci si deve mettere nei panni del cittadino europeo (i nostri), non in quelli dei governanti di turno. Perché ha un senso positivo essere parte e cittadini dell’Unione? Perché consente maggiori libertà, a cominciare dalla circolazione delle persone e delle cose. Certo, comporta dei vincoli nella spesa pubblica, ma anche quelli sono un bene, visto che senza freni abbiamo prodotto il più grande debito pubblico del continente. L’Ue non è solo un ideale di pace e convivenza, il cui senso si sbiadisce nel tempo, mano a mano che le tragedie del secolo scorso s’allontanano dalla memoria, deve essere anche conveniente. In tal senso la coltivazione degli Organismi geneticamente modificati è esemplare.
É ovvio che sia accettata in ambito europeo. Perché già la si pratica e perché non c’è nulla, sulla nostra tavola, che non sia Ogm. Siccome ci sono Paesi, come purtroppo l’Italia, in cui la grandezza delle superstizioni e la pochezza della classe politica comportano la coltivazione di miti geneticamente regressivi, siccome ci sono ignorantoni che credono il riso Carnaroli esista in natura, nonché sbadati che dimenticano quanto le carni che mastichiamo, anche allevate interamente in Italia, sono nutrite per la quasi totalità con mais Ogm, ecco che ha senso ed è conveniente una decisione presa non più in dialetto, ma in lingua europea. Decisione che allarga il diritto dei coltivatori italiani e allarga la convenienza dei consumatori, altrimenti costretti a donare all’estero una parte del valore delle merci che digeriscono. Il consumatore ci guadagna anche in salute, perché le modifiche genetiche non vengono introdotte da un’occulta centrale del male, ma per evitare che le coltivazioni siano protette con diluvi di insetticidi. E ne guadagna l’ambiente. Ma se la mediazione politica europea, indotta da governi adusi più a farsi leggere la mano dalla chiromante che a studiare costituzioni e dichiarazioni dei diritti, consiste nel mantenere il potere feudatario di proibire nel contado castellano quel che è consentito nei campi altrui, allora non si capisce più che ci stiamo a lare in Ue. E manco cosa sia, l’Ue.
Forse Galletti fa fatica a capirlo. Forse questa notizia finirà fra le cronache per addetti ai lavori, ove non sia del tutto ignorata. Ma la partita giocata è di grande rilevanza. Peccato che l’Ue l’abbia persa e che l’Italia sarà la più penalizzata, avendo feudatari menomati dall’ignoranza e afflitti da furbizia beota. Se quella roba dovesse andare in porto (c’è ancora la possibilità di far saltare tutto) non solo il giardino del vicino sarà più verde, ma ci vivrà gente più ricca e più sana. Sicché diventa ragionevole la tentazione di saltare la siepe e andare a far loro compagnia.
La Pac è fallita, ma l’Europa fa finta di nulla
Redazione Editoriali, Home agricoltura, carlo lottieri, europa, giorgio fidenato, impresalavoro, Pac