giuseppe pennisi

Grecia, come si arrovella Mario Draghi

Grecia, come si arrovella Mario Draghi

Giuseppe Pennisi – Formiche

Chi si ricorda del romanzo di Hans Fallada, pseudonimo di Rudolf Wilhelm Friedrich Ditzen “E adesso, pover’uomo?” (titolo originale Kleiner Mann, was nun?), scritto nel 1932 ma diventato popolarissimo grazie a una riduzione televisiva fattane negli Anni Sessanta con il titolo “Tutto da rifare pover’uomo”. E’ un romanzo molto più profondo di quanto non faccia pensare il titolo. Ditzen emigrò in Montenegro durante il nazismo e divenne dopo la guerra una delle penne più apprezzate di Berlino Est, ma morì nel febbraio 1947, prima che il regime, osannato negli Anni Settanta in un saggio di Barbara Spinelli, prendesse la piega che ha portato, prima al Muro e poi al suo crollo.

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Tsipras ha ancora una via d’uscita. Ma lui e Varoufakis hanno bruciato l’iniziale patrimonio di  simpatia

Tsipras ha ancora una via d’uscita. Ma lui e Varoufakis hanno bruciato l’iniziale patrimonio di simpatia

Giuseppe Pennisi – Avvenire

In un’unione monetaria che non è quella che gli economisti chiamano ‘un area valutaria ottimale’ (con perfetta ed effettiva mobilità di fattori di produzione, di beni e di servizi), la Grecia potrebbe ancora salvarsi, nonostante un debito pubblico pari al 175% del Pil e conti da considerare ‘poco chiari’ (a voler essere gentili). L’80% del debito dello Stato è, in conseguenza di varie ristrutturazioni e salvataggi, dovuto a istituzione pubbliche che non ammettono insolvenze o sconti (ma in certi casi accettano dilazioni). Atene dovrebbe attuare speditamente una strategia caratterizzata da tre mosse: ripagare subito i debiti con il Fondo Monetario (perché sono i più cari in termini di interessi ed ammortamento); pagare, al più presto le obbligazioni della Banca centrale europea (sia perché costose sia soprattutto per avere accesso a nuovi finanziamenti quali quelli del Quantitative easing); rinegoziare le scadenze di quanto deve ai Governi della zona euro (circa 30 miliardi di euro solo all’Italia).

In tal modo secondo calcoli effettuati il 13 aprile dal Peterson Institute of International Economics, il tasso effettivo medio d’interesse sul debito scenderebbe al 2%, una frazione di quello che gravava i greci nel 2009 quando la crisi è scoppiata. Unitamente a serie riforme interne, nel giro di un paio di anni la Grecia riprenderebbe a crescere, come mostra l’esperienza di una novantina di paesi censiti da Banca mondiale e Fondo monetario. Tuttavia, è difficile che questa strada venga seguita da Tsipras e Varoufakis ed accettata dagli altri principali protagonisti. Nel giro di tre settimane, infatti, Tsipras e Varoufakis hanno dilapidato il capitale maggiore che avevano a disposizione nei giorni successivi alla creazione del nuovo Governo: il capitale di simpatia creato con il loro modo di fare un po’ guascone (e molto poco pericleo) in un ambiente dove si veste in grisaglia e si portano cravatte scure. Lo hanno letteralmente buttato a mare prima prendendo impegni (di presentare programmi concreti e specifici per questa o quella data) mai mantenuti, ritirando fuori, poi, il contenzioso dei danni di guerra con la Germania, facendo, infine, intendere che sarebbero andati a flirtare con un Putin, il quale li ha degnati di tè e sorrisi senza neanche far loro gustare vodka e caviale. Principalmente, però, non sono stati in grado di giocare a due livelli trovando un equilibrio tra ‘reputazione’ con i loro creditori e ‘popolarità’ con i loro elettori. Ora contano quasi esclusivamente sul timore che i loro creditori avrebbero degli effetti dell’uscita delle Grecia dall’eurozona sul resto dell’area.

È una partita ad alto rischio: da un lato, una ‘Grexit’ non piace a nessuno, da un altro, nei piani alti dell’eurozona, ci si sente presi in giro da chi pratica il gioco delle tre carte con uno stile più levantino che dell’Atene classica.

Il “finto” Def che serve a Renzi  per vincere le elezioni

Il “finto” Def che serve a Renzi per vincere le elezioni

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

In un contesto in cui si stabilizzano 100.000 “precari” della scuola, e per incoraggiare la trasformazione di contratti un tempo chiamati “atipici” in contratti a tutele crescenti si aggravano i contributi sulle imprese (penalizzandone la competitività), non deve scandalizzare che si scovi qualche nuovo “precario”.

Il Governo ha puntato sulla “precarizzazione” del binomio Def-Pnr la cui vita durerà, più o meno, sino alla elezioni regionali per poi essere rifatto da cima a fondo al fine di produrre una documentazione che serva il vero obiettivo delle norme che lo hanno istituito: predisporre, all’inizio dell’autunno, il disegno di legge di stabilità.

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Def, perché Renzi si è scavato una trappola burocratica

Def, perché Renzi si è scavato una trappola burocratica

Giuseppe Pennisi – Formiche

Matteo Renzi forse non ha visto il vecchio film Il Portaborse o perché troppo giovane o perché poco interessato a un lavoro che essenzialmente ironizzava sul Psi guidato da Bettino Craxi. Non si accorge, quindi, che nella vicenda Def-Pnr è sembrato assomigliare al politico interpretato da Nanni Moretti.

Chi ha visto il film, ricorderà che pur preoccupato unicamente dai risultati elettorali (preoccupazione lecita e logica per chi è nel Palazzo e vuole restarci a lungo in piani sempre più alti) e pur avendo costruito all’uomo una grande macchina acchiappavoti, tale politico se la prende con una non meglio specificata burocrazia ogni volta che qualcosa va storto.

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L’Unione bancaria compie un anno, ora deve crescere

L’Unione bancaria compie un anno, ora deve crescere

Giuseppe Pennisi – Avvenire

L’Unione bancaria europea (Ube) ha circa un anno. Prendiamo come data convenzionale della sua nascita il 14 aprile 2014, quando il Meccanismo unico di risoluzione – ossia il sistema per gestire ordinatamente le crisi di banche di maggiori dimensioni (e a maggior rischio di contagio) – ha preso definitivamente forma; la nomina dei componenti dell’apposito Consiglio di risoluzione è avvenuta pochi mesi dopo.

Secondo le proposte approvate dai Capi di Stato e di governo Ue, l’Ube sarebbe dovuto essere uno sgabello a tre gambe diretto a prevenire crisi come quella iniziata nel 2008 (o a trovare vie d’uscita appropriate) e a facilitare l’integrazione del mercato finanziario e bancario europeo. La prima gamba è un sistema unico di vigilanza (per 5.500 banche dell’area dell’euro) affidato alla Banca centrale europea, che ha aumentato il proprio organico e costruito una nuova sede; per gli istituti di piccole dimensioni, la vigilanza resta nazionale ma segue regole uniformi. La seconda gamba è il Meccanismo unico di risoluzione: regole nazionali uniformi per gli istituti a rischio di dissesto e un apposito strumento europeo (dotato di un fondo ad hoc) per i dissesti tali da poter mettere a repentaglio la stabilità finanziaria dell’unione monetaria. La terza gamba sarebbe dovuta essere uno Schema europeo di Garanzia dei depositi. Alcuni ritengono che non sia necessario, in quanto le regole dei gran parte degli Stati dell’euro prevedono garanzie simili (100mila euro) per i singoli conti correnti.

A mio avviso, non solo uno sgabello a tre gambe è più resistente di uno a due, ma una Garanzia europea sarebbe stata un vero sigillo di solidarietà e avrebbe impedito corse agli sportelli come quelle viste a Cipro e in Grecia. Sarebbe bene riprendere una trattativa ora su un binario morto. Alcuni saggi recenti contengono valutazioni positive dei primi passi che sta facendo il sistema di vigilanza: essenzialmente si sta andando verso il nuovo sistema senza le scosse traumatiche che alcuni avevano temuto. È difficile esprimere un giudizio sul Meccanismo unico di risoluzione. Le analisi dei suoi regolamenti esprimono perplessità e li giudicano troppo complessi per raggiungere l’obiettivo di risolvere i nodi di una grande banca in dissesto nell’arco di un fine settimana (per operare a mercati chiusi). Soprattutto, non c’è stato modo di metterli alla prova. Un caso possibile – si badi bene – sarebbe potuto essere il dissesto (o il timore di un dissesto) del Monte dei Paschi di Siena, ma si è preferita una soluzione nazionale. Gli stessi schemi di un’eventuale bad bank per alleggerire da sofferenze istituti di credito italiani sono puramente nazionali.

Dove sinora lo sgabello a due gambe sembra non avere inciso è nell’obiettivo più alto di integrazione dei mercati bancari e finanziari dell’eurozona. Lo mostra un lavoro freschissimo dell’Economist Intelligence Unit: negli ultimi 12 mesi c’è una febbre di fusioni e concentrazioni bancarie ma quasi interamente nazionali, oppure – quella della Sadabell con quattro banche britanniche – per avere teste di ponte al di fuori dell’euro. Forse, però, proprio in questo campo è troppo presto per giungere a conclusioni.

Consigli non richiesti a Yoram Gutgeld

Consigli non richiesti a Yoram Gutgeld

Giuseppe Pennisi – Formiche

Il Consiglio dei Ministri del 7 aprile ha all’ordine del giorno l’esame e l’approvazione del Documento di Economia e Finanze (Def) con cui delineare l’azione di governo nel breve e medio termine. Il Def dovrebbe ricevere i pareri delle Commissioni Parlamentari del simulacro del CNEL (esistente ma reso nell’impossibilità di funzionare da una norma che fa a pugni con la Costituzione) e della Commissione Europea. Sulla base del Documento che, ci si augura, verrà approvato domani e, con le osservazioni che il Governo vorrà recepire, costituire la base della prossima Legge di Stabilità.

Naturalmente il Def all’ordine del giorno presuppone tanti altri argomenti: dal patto di stabilità interno, alle tax expenditures per imprese e famiglie, alla previdenza e all’assistenza, alle missioni militare di pace all’estero, e via discorrendo.

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Le liberalizzazioni timide

Le liberalizzazioni timide

Giuseppe Pennisi – Formiche

Il 2015, definito Anno Felix, dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, dovrebbe essere caratterizzato da una crescita economica ben superiore allo 0,1% segnato nel primo trimestre e sorretta da un programma aggressivo di riduzione del debito pubblico (tramite privatizzazioni) e di aumento della produttività (tramite crescente concorrenza derivante da liberalizzazioni).

Di privatizzazioni ci occuperemo quando il programma e la sua attuazione saranno meglio definite. Il disegno di legge (ddl) sulla concorrenza, e quindi sulle liberalizzazioni, è stato varato a fine febbraio; quando questa mensile arriva in edicola, sarà all’esame del Parlamento. Al carattere del Presidente del Consiglio si possono attribuire tanti tratti ma non certo la timidezza. Tuttavia, il ddl in questione è più ‘timido’ delle ‘lenzuolate’ di bersaniana memoria di una diecina di anni, nonostante l’aggravarsi della situazione in questo lasso di tempo. Principalmente se la situazione italiana è comparata con quella dei nostri competitors europei (non parliamo di quelli dell’Emisfero Occidentale o dell’Asia).

Non ci riferiamo neanche ad inchini come quelli alla lobby dei taxi. E’ sufficiente pensare che nel campo dei servizi pubblici locali lo stesso Ministero dello Sviluppo Economico (non certo un covo di liberisti) aveva chiesto che non ci fossero più enti (come le autorità portuali) al tempo stesso regolatori e fornitori di servizi (da loro stessi regolari) . In materia sanitaria, il Ministero della Salute (non affiliato a nessuna istituzione liberale) aveva proposto accreditamento periodico, e concorsuale, delle strutture sanitarie private e la liberalizzazione della vendita dei medicinali di fascia C. Piccoli passi verso una maggiore concorrenza, ma tali da imbarazzare il timido Presidente del Consiglio.

Non si può che suggerirgli la lettura di un’analisi condotta da dieci centri studi europei e coordinata dal piccolo ma dinamico centro studi italiano ‘ImpresaLavoro’ e di organizzare un seminario del Partito Democratico (pare sia prassi) al fine di preparare un maxi-emendamento prima della conclusione dell’iter parlamentare del ddl. Lo studio riguarda principalmente la libertà fiscale, che sintetizza il complesso delle altre libertà economiche  he agevolano o frenano l’impresa (e quindi l’occupazione).

Gli istituti hanno lavorato seguendo la medesima metodologia ed hanno computato un Indice della libertà fiscale sulla basa di quattro distinti indicatori: le dimensioni della tassazione complessiva rispetto alla produzione annuale; il modo in cui il prelievo fiscale colpisce lavoro, capitale e consumi; la complessità degli ordinamenti e, di conseguenza, il tempo e le risorse che imprese e famiglie devono destinare all’assolvimento degli obblighi di legge; la decentralizzazione del prelievo e, al tempo stesso, l’autonomia dei vari livelli di governo. La liberalizzazione (oppure la mancanza di liberalizzazione) e sottointesa in ciascuno dei quattro indici. L’Italia non esce affatto bene : con un total tax rate del 65,4% siamo alle prese con un moderno Leviatano, cui pare persino difficile opporsi e con cui l’opinione pubblica sembra ormai rassegnata a convivere. Si potrebbe rispondere che la delega fiscale a cui Governo e Parlamento stanno lavorando potrebbe curare questi problemi tributari. Tuttavia, chiunque abbia compiuto un minimo di studi economici sa che la liberalizzazione e la concorrenza sono gli unici strumenti per quella crescita che sola può permettere la riduzione dell’oppressione fiscale.

Un quarto di secolo fa, l’allora Vice Direttore Generale della Banca d’Italia Pier Luigi Ciocca , sempre culturalmente contiguo al centro sinistra , nella prefazione alla raccolta di saggi ‘Disoccupazione di Fine Secolo’ (Bollati Boringhieri,1997 documentava che in mondo in cui il Nord America ha un carico tributario attorno al 30% del Pil ed i Paesi asiatici emergenti del 20% del Pil, con il nostro 46% di allora rischiava un declino sempre più grave e la disoccupazione di massa sempre più lunga.

Neanche i suoi amici con responsabilità di governo lo hanno ascoltato.

La riforma delle pensioni che può  “mandare a casa” Renzi

La riforma delle pensioni che può “mandare a casa” Renzi

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

In The Doctor’s Dilemma, un noto play di George Bernard Shaw, il protagonista, un medico chirurgo di rango, è a un vero bivio: salvare o non salvare il marito (ammalato di tubercolosi) della propria amante (che lui vorrebbe sposare), utilizzando tecniche di avanguardia rare e costose. Non raccontiamo la conclusione per non fare perdere agli spettatori il gusto della sorpresa.

Un dilemma analogo è quello che affligge il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Giornalisti vicino al Palazzo (in tutti i sensi) hanno diffuso la voce secondo cui, bruciando i tempi e con l’idea di fare un regalo di Pasqua agli italiani, venerdì 3 aprile verrebbe esaminato e approvato il Documento di economia e finanza (Def), base per la Legge di stabilità del prossimo settembre. Tuttavia a far quadrare i conti mancano circa 10 miliardi di euro nel comparto della previdenza.

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Mps, Carige e Ubi. Come procede l’Unione  bancaria europea

Mps, Carige e Ubi. Come procede l’Unione bancaria europea

Giuseppe Pennisi – Formiche

Il 14 aprile prossimo sarà passato un anno da quando è stato posta in essere la seconda gamba dell’Unione Bancaria Europea (UBE), il Single Resolution Mechanism (SRM), con un apposito fondo, procedure e consiglio di amministrazione, per impedire che una grave situazione, o un fallimento, di un istituto finanziario di grandi dimensioni possa contagiare il sistema del resto dell’eurozona. Un’analisi recente dell’UBE e del SRM è nel volume di Astrid Towards the European Banking Union: Achievements and Open Problems (a cura di Emilio Barucci e di Marcello Messori, pubblicato alcuni mesi fa da Passigli Editori).

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Tutte le nubi su Atene

Tutte le nubi su Atene

Giuseppe Pennisi – Formiche

Che cosa aggrava l’ingorgo ellenico di cui nessuno parla…

Secondo le corrispondenze da Bruxelles, Atene e Berlino, sui giornali di questa mattina, il nodo greco starebbe per sbloccarsi. Grandi sorrisi a Berlino (in Germania baci ed abbracci non si usano) tra Cancelliere tedesco e Presidente del Consiglio ellenico.

Una riunione straordinaria dell’Eurogruppo convocata per lunedì 30 marzo dovrebbe sbloccare cinque miliardi di euro di aiuti ed impedire il default; sempre il 30 marzo il Governo di Atene presenterebbe ai partner europei un programma di riassetto strutturale economico “accettabile” (ossia al minimo sindacale) che, almeno per i prossimi mesi, dovrebbe fare sì che il Governo greco adotti le misure essenziale per impedirne un’uscita (o espulsione) dall’unione monetaria.

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