Quei rinvii sospetti su immobili e partecipate
Alberto Quadrio Curzio – Il Sole 24 Ore
Il Consiglio dei ministri che segna l’avvio dei 1000 giorni del governo Renzi per cambiare l’Italia è di ampia portata e richiederà tempo per gli approfondimenti. Bisognerà andare oltre la copertina e l’indice dei provvedimenti per capire il potenziale degli stessi in un Paese dove la crisi diventa ancora più preoccupante. Nel contempo bisogna segnalare quali altri provvedimenti, non adottati dal Consiglio, sono delle priorità su cui il governo dovrà al più presto intervenire. Importante è quella di “razionalizzazione” del patrimonio pubblico sul quale era attesa la decisione del governo di chiusura di un migliaio di aziende inattive partecipate da enti locali, che purtroppo non c’è stata. Speriamo che non prevalgano i localismi corporativi per sconfiggere i quali ci vuole convinzione e metodo.
Il patrimonio pubblico. È noto come in Italia sia enorme e di pressoché impossibile valutazione in quanto parte dello stesso è composto da opere artistiche, archeologiche, naturalistiche e culturali alle quali non si può dare un prezzo stante la loro unicità e la loro non vendibilità. Per questo sarebbe bene distinguere sempre tra valori e prezzi. Spesso si parla genericamente di razionalizzare, valorizzare, privatizzare. Azioni che possono esprimere una sequenza o racchiudersi in sé a seconda dei patrimoni pubblici ai quali ci si riferisce. Quale che sia il metodo adottato, l’Italia deve riprendere la questione con un nuovo impegno e non solo perché una parte del patrimonio pubblico può essere economicamente usata per garantire o per ridurre il debito pubblico e/o per generare reddito e occupazione. Non va infatti mai dimenticato che il grado di incivilimento di un Paese e della sua popolazione si misura anche dalla cultura per la valorizzazione del patrimonio pubblico.
Il patrimonio pubblico economico. Con riferimento a quello con caratteristiche spiccatamente economiche e quindi con un potenziale di vendibilità, tre sono le principali categorie su cui il governo deve prendere posizione: le aziende (quasi) statali; le (quasi) aziende locali; il patrimonio immobiliare. Le ragioni di questa richiesta forte sono molte, anche per escludere che nelle urgenze improvvise il governo aumenti le tasse. Le privatizzazioni sono un capitolo della politica economica da più di trent’anni. Le finalità via via prefissate sono quattro: contribuire alla riduzione del debito pubblico; eliminare sprechi; aumentare l’efficienza dell’economia; favorire ampliamento e internazionalizzazione del mercato azionario. Infine vi è il messaggio, indirizzato alle istituzioni europee e ai mercati, che l’Italia fa sul serio. Anche se in modo non chiaro queste sembrano le finalità delle privatizzazioni, razionalizzazioni e valorizzazioni del governo Renzi.Le aziende (quasi) statali. Nel Programma nazionale di riforma presentato alla Commissione europea nell’aprile 2014 si dice che il processo di privatizzazione è in fase avanzata e si elencano le molte società coinvolte. L’obiettivo è raccogliere un importo pari allo 0,7% del Pil per ogni anno del quadriennio 2014-2017. Si tratterebbe di 40-45 miliardi destinati a ridurre il debito pubblico. È una cifra grande se rapportata ai trend annuali delle privatizzazioni e piccola se rapportata al debito. Per ora è stata collocata faticosamente in Borsa solo una parte di Fincantieri con un introito di circa 350 milioni sui 600 preventivati. Forse anche per questo si passerà ora alla vendita di quote dei gioielli di famiglia: del 4,34% di Eni e del 5% di Enel per un controvalore di circa 5 miliardi. Non basta però la finalità di ridurre il debito per vendere quote di imprese come queste che pagano dividendi allo Stato e che possono entrare in strategie industriali, infrastrutturali e internazionali. Per altre aziende solo dopo le razionalizzazioni si può decidere. In tutto ciò può svolgere un ruolo crescente la Cdp, perché detiene partecipazioni importanti ed è controllata dallo Stato e perché ha visione e capacità operativa internazionale. Lo dimostra la cessione del 35% di Cdp Reti spa alla State grid international development controllata da una grande impresa statale cinese, con cui si possono costruire iniziative strategiche anche in altri settori.
Le (quasi) aziende locali. Il Consiglio dei ministri ha rinviato ogni decisione che le riguarda alla legge di stabilità. In base al rapporto del commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, l’obiettivo è quello far scendere queste quasi-aziende da circa 8.000 a 1.000 in tre anni. Questa sarà una strada impervia per le resistenze corporative e le rendite di posizione dei potentati locali. Anche per questo abbiamo titolato “quasi-aziende” perché molte non hanno nulla dell’impresa data la loro origine e/o la loro dissestata gestione. Cottarelli ha radiografato le partecipazioni degli enti locali quantificandole in 7.726 aziende (avvertendo che potrebbero essere 10mila). Tra queste l’82% sono dirette e le altre indirette; il 20% è interamente pubblico e il 28% a maggioranza pubblica; il restante 52% a maggioranza privata. Il totale dei dipendenti si avvicina ai 500mila di cui 377mila in aziende a gestione privata e 123mila a gestione pubblica. La distribuzione settoriale s’avvicina ai 360 gradi ed è ben al di là dei 5 settori tradizionali dei servizi pubblici a rete soggetti a regolazione (elettricità, gas, acqua, rifiuti, trasporto). Ce ne sono poi 1.250 non operative che potrebbero essere chiuse subito. Cottarelli delinea una strategia per farle scendere a 1.000 (è il numero di quelle in Francia) in un triennio con l’aggregazione e lo sfruttamento di economie di scala per migliorarne l’efficienza con benefici per la finanza pubblica stimati a regime in almeno 2-3 miliardi annui, ai quali aggiungere i benefici di maggiore efficienza per i cittadini. Gli esempi di aziende locali (quotate in Borsa o no) che vanno bene ci sono e bisogna respingere l’affermazione che le perdite sono causate dalle esigenze del pubblico servizio.
Una conclusione. Un passaggio ulteriore, forse più difficile, riguarda il patrimonio immobiliare su cui è adesso disponibile un studio del Mef. Ne tratteremo in altra occasione salvo rilevare che a oggi il Mef ha ottenuto risposte solo dal 45% delle Pubbliche amministrazioni incluse nella rilevazione. Ecco qui un’altra sfida per il governo che speriamo, per l’Italia, possa essere vinta.