rifiuti

Condannati alla monnezza

Condannati alla monnezza

Davide Giacalone – Libero

Ce la prendiamo con l’invadenza e la costrizione europea o con la deficienza e l’indecenza italiana? Propendo per la seconda ipotesi e trovo che la condanna della Corte di giustizia, per le discariche abusive e inquinanti, sia uno sfregio meritato. Non ci siamo limitati a farci condannare, ci siamo spinti a farci riprendere per non aver dato alcun seguito a quella sentenza. I fatti: nel 2007 la Corte europea ci condanna per le discariche abusive (4866 vergogne, ridottesi a 218 indecenze), in spregio della direttiva europea che regola lo smaltimento dei rifiuti. Come spesso capita, in Unione europea si è fin troppo elastici, sicché, dopo la sentenza, l’Italia ottiene tempo per rimediare. Quante volte reclamiamo elasticità per potere continuare con le rigidità immorali? Passano sette anni e la Commissione deve prendere atto che in Italia non si è ancora rimediato. Ed ecco la pena: 40 milioni da pagare forfettariamente e 42,8 per ogni semestre ulteriore di inadempienza nel rimediare. Considerato che per assolvere al nostro dovere non basta non continuare con le discariche abusive, non basta coprire di terra gli scempi, ma quelle esistenti vanno risanate, ne deriva che ci siamo guadagnati una tassa ulteriore, pari a 85,6 milioni l’anno. Continuando a tenerci la monnezza a cielo aperto. Continuando ad avvelenarci.

Allora: colpa dell’Europa? Si facciano gli affari loro? No: infamante colpa italiana. Dice Gian Luca Galletti, ministro dell’ambiente, che non pagheremo una lira, perché sono stati stanziati i soldi per rimediare. Intanto i 40 milioni li paghiamo. I soldi stanziati sono 60 milioni. Questo significa che, a giudizio del governo, per risolvere il problema ci vogliono meno soldi della multa di un anno, e un terzo in più di quella una tantum. Ammesso che le cose stiano così, perché l’impressione è che la criminalità dei rifiuti non sia in fase di riflusso, ma di straripamento. La colpa è di un Paese in cui il presunto ambientalismo rende impossibile smaltire i rifiuti in modo sensato e regolare, facendo da spalla alla criminalità organizzata delle discariche e delle sostanze tossiche sversate nell’orto. In cui ci sono sindaci no-discarica, no-inceneritore, no-termovalorizzatore, in attesa che arrivi l’era del no-sindaco, nel senso che prima o dopo salta tutto. In cui i movimenti spontanei lo sono come le poesie recitate dai bambini, e compitate tutte con la stessa rima balorda del comune che s’è denuclearizzato (meriterebbero una tassa sulla cretineria), ma non s’è despazzaturizzato. In tal senso l’ideale che s’insegue, una via di mezzo fra scie chimiche frinenti e glocal (globale e locale) per analfabeti, è il mito di rifiuti zero. Tipiche conquiste della cultura usa e getta. Altamente inquinante.

La condanna non è nuova, dunque. La novità è che dal 2007 a oggi non siamo riusciti a chiudere la partita. E le discariche abusive. Senza contare che sono un orrore anche le discariche non abusive, perché la ragionevolezza vorrebbe che i rifiuti da buttarsi in discarica fossero una parte residuale di
quelli riciclati, termovalorizzati o smaltiti. Noi, invece, abbiamo Comuni come la capitale, che impongono ai cittadini la raccolta differenziata e poi buttano tutto nello stesso buco di follia. Il Paese più bello del mondo, la meta ambita da chiunque, riesce a essere il luogo in cui il pattume si monumentalizza. C’è una cosa, però, che alla Corte europea sarà bene non far sapere: non è che siamo inadempienti dal 2007, è che questa situazione già la cantava Aldo Fabrizi, con “Buon giorno monnezza”. Non mi ha mai convinto la teoria dell’Europa come vincolo esterno, opinione che mi consentì di vedere che il problema non sarebbe stato entrare nell’euro, ma restarci. In casi come questi, però, mi piace l’Europa come ceffone esterno. Meritato da ceffi incapaci e tanto moralisti quanto privi di etica.

La Tari alza il conto per le famiglie numerose

La Tari alza il conto per le famiglie numerose

Cristiano Dell’Oste e Michela Finizio – Il Sole 24 Ore

L’unica consolazione è che il bollettino arriva a casa precompilato: la Tari sui rifiuti – diversamente dalla quasi omonima Tasi – non impone ai cittadini di farsi da soli i calcoli. Se però si guardano le cifre, si scopre che il tributo per la raccolta e lo smaltimento della spazzatura spesso è più pesante della service tax sugli immobili. La Tari segue il calendario stabilito da ogni Comune, e in molte città l’acconto è in scadenza in questi giorni. Per una famiglia di tre persone che vive in un appartamento medio-grande, il conto su base annua può andare dai 118 euro di Oristano ai 482 euro di Napoli, con un livello medio di 342 euro.

I dati emergono dalle elaborazioni condotte da Ref Ricerche su un campione di 51 capoluoghi di provincia, ed evidenziano due trend ormai consolidati. Da un lato, un aumento medio del prelievo del 12-13% negli ultimi quattro anni, con punte del 25% per le famiglie numerose. Dall’altro, grandi differenze territoriali, con il servizio che in alcune città costa il triplo o il quadruplo che in altre. Come si spiega questa evoluzione del prelievo? «Gli aumenti – afferma Donato Berardi direttore del laboratorio servizi pubblici locali di Ref Ricerche – dipendono in primo luogo dal taglio dei trasferimenti agli enti locali e dall’introduzione del principio secondo cui il tributo deve coprire i tutti i costi del servizio: se nel 2010 la copertura era dell’85%, oggi si arriva di fatto al 100 per cento». Ma ci sono anche altre spiegazioni. Sull’andamento del tributo, infatti, incide anche l’adozione del principio comunitario «chi inquina paga»: in assenza di criteri di misurazione effettiva della quantità di rifiuti prodotti, molte città hanno intanto alzato il prelievo in base al numero degli occupanti dell’immobile. E poi, conclude Berardi, «non va dimenticato che le variazioni di tariffa possono riflettere anche presenza di costi del servizio molto diversi sul territorio. In particolare, dove la raccolta non è efficiente o non ci sono discariche o impianti adeguati, la spesa per le famiglie tende ad aumentare».

Non è un caso, allora, che il conto della Tari raggiunga il picco massimo proprio a Napoli, dove da anni si combatte contro l’emergenza rifiuti, sia per i single (198 euro per 50 mq) sia per le famiglie di cinque persone (628 euro per 120 mq). «I prelievi più marcati – aggiunge Berardi – spesso nascondono problemi di finanza pubblica oppure tecnologie di gestione dei rifiuti più o meno trascurate». Tra le città con i costi più alti, ad esempio, c’è anche Alessandria, da tempo in difficoltà finanziaria.

Oltre all’importo totale, c’è anche un altro aspetto importante da valutare: la progressione del prelievo in base al numero di occupanti. Che una famiglia di tre persone paghi più di un single è assodato, ma “quanto” di più dipende dalla modulazione della tariffa scelta a livello comunale. È Cremona, in particolare, a differenziare maggiormente il tributo in base al numero di occupanti, a parità di superficie: qui il conto in euro al metro quadrato per le famiglie di cinque persone è dell’80% superiore a quello per i single. La maggior parte dei Comuni, però, sceglie di non “stressare” troppo questo criterio: una ventina di città introduce differenze minori del 10% tra i single e le famiglie di tre persone, sempre ragionando a parità di metratura. D’altra parte, il numero degli occupanti è solo un surrogato di un vero criterio di misurazione dei rifiuti. Ma sono ancora pochi gli enti locali che applicano criteri puntuali più incisivi, legati ad esempio al conteggio degli svuotamenti dei cassonetti o al peso dei sacchetti. A influenzare, infine, gli aumenti sulla tariffa rifiuti è anche la morosità dei contribuenti che, sempre secondo Ref Ricerche, in alcune città arriva a toccare tassi a doppia cifra, imponendo di fatto un sussidio a carico delle altre utenze.

Sciopero fiscale contro la tassa rifiuti

Sciopero fiscale contro la tassa rifiuti

Attilio Barbieri – Libero

A Cremona è scoppiata la guerra alla tassa rifiuti, la Tari. Sette imprese su dieci non hanno pagato la tassa più odiata dai piccoli imprenditori. Le categorie produttive avevano annunciato lo sciopero fiscale lo scorso mese di luglio, guadagnandosi anche aperture di pagina sui quotidiani nazionali. Ma in fondo in pochi credevano che commercianti e artigiani sarebbero andati fino in fondo. E invece, secondo un sondaggio condotto su un campione rappresentativo delle categorie coinvolte, il 70 per cento ha deciso di non presentare la dichiarazione Tari. Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Cna, Asvicom: l’appello alla disobbedienza fiscale era partito un po’ da tutte le sigle che rappresentano il variegato universo del terziario commerciale. Ieri il quotidiano di Cremona, La Provincia, ha dato conto del sondaggio condotto in settimana fra gli iscritti. La percentuale di quanti hanno detto no alla Tari, è tale da lasciare pochi dubbi.

Inutile il tentativo dell’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Gianluca Galimberti, eletto lo scorso giugno dalla coalizione di centrosinistra, di ammorbidire le posizioni dei piccoli imprenditori. Dal tavolo di confronto aperto quest’estate non è uscito nulla di significativo. Le categorie chiedevano di attutire l’effetto della nuova imposta sui rifiuti, ritoccando le tabelle in vigore. Lo «sconto» proposto da Galimberti è stato giudicato insufficiente se non addirittura irrilevante. La partita non è ancora chiusa. Mercoledì prossimo ci sarà un nuovo confronto, ma come hanno anticipato i rappresentanti di commercianti e artigiani «gli scudi restano alzati».

«La nostra posizione», hanno spiegato le associazioni del terziario, «resta quella di un mese fa, non possiamo lasciarci ammazzare da questa gabella iniqua e pensiamo che il Comune debba attutire l’impatto devastante con maggiore convinzione di quella dimostrata finora». In gioco ci sono cifre consistenti. Le attività coinvolte in provincia di Cremona, sono 1.100. «Abbiamo chiesto a Galimberti di conoscere nel dettaglio tutti i numeri: quanto pagavano i nostri associati di Tarsu, la vecchia tassa sui rifiuti e quanto devono versare ora di Tari», spiega a Libero il presidente di Confcormnercio Cremona, Claudio Pugnoli, «ma tenga conto che gli aumenti arrivano anche al 600%. Il Comune ci ha offerto uno sconto di 100mila euro: spalmandolo sugli associati fa poco più di 90 euro a testa. Vogliamo capire, numeri alla mano, quanto possa incidere. Per alcuni di noi il nuovo tributo comporta rincari nell’ordine delle migliaia di euro. Cifre improponibili, che si fa fatica a pagare».

In effetti l’entità della nuova tassa è tale da mettere in ginocchio intere categorie di operatori. Secondo un documentato studio prodotto a inizio anno proprio da Confcommercio, un negozio di fiori o una pizzeria al taglio, per i rifiuti prima pagavano 400 euro, ora ne devono sborsare più di 3mila, con un aumento del 650 per cento. E parliamo di attività che impegnano una superficie di 100 metri quadrati, non certo dei supermercati. Di poco inferiore l’aumento percentuale toccato a ristoranti e trattori, con una superficie di 200 metri quadri: il rincaro si limita (si fa per dire!) al 482%. Ben 4.675 euro contro gli 802 della Tarsu. Pesante anche la sorte che tocca a bar e pasticcerie (sempre con una superficie di 100 metri): anziché 401 euro ne dovranno sborsare 1.661 (+314%). Ma le sorprese non finiscono qui. Sempre a guardare le tabelle compilate da Confcommercio, si scopre che all’aumentare della superficie, e presumibilmente del giro d’affari, il rincaro percentuale si attenua. Il costo dei rifiuti per un piccolo supermercato così come un negozio di generi alimentari che impegnino 300 metri quadri, sale da 1.204 a 3.478 euro. L’onere cresce del 188 per cento.

Un albergo senza ristorante, con 200 metri di superficie calpestabile, deve versare 840 euro anziché 386, con un aumento che si ferma al 118 per cento. Va un po’ meglio a edicolanti, farmacisti e tabaccai: di Tarsu pagavano 103 euro, di Tari 183 (+77%). Anche se paragonare gli introiti di un’edicola a quelli di una farmacia, con la crisi nera dei giornali, è un paradosso nel paradosso. Resta il fatto che il nuovo tributo anziché essere progressivo è regressivo: decresce percentualmente all’aumentare della superficie e presumibilmente dei ricavi. Un meccanismo che finisce per punire i titolari delle piccole attività. Alla faccia della perequazione di cui si sono riempiti la bocca i governi negli ultimi cinquant’anni. Il caso di Cremona, comunque, non è l’unico. Anche a Siracusa e Nuoro commercianti e artigiani si preparano a restituire le cartelle Tari ai sindaci. Forse lo sciopero fiscale è soltanto all’inizio.

Tasse, tocca ancora alla casa. Nuova stangata con i rifiuti

Tasse, tocca ancora alla casa. Nuova stangata con i rifiuti

Paolo Russo – La Stampa

Il caro-casa non conosce stagioni. Finito con l’estate il balletto sulla Tasi, ecco con l’autunno arrivare la stangatina sull’immondizia. Che secondo la Uil politiche territoriali, che ha elaborato per La Stampa i dati sulla tassa rifiuti, sommata proprio alla Tasi e alle addizionali comunali Irpef – ovunque in salita – si sarebbe già portata via, a chi li ha presi, gli 80 euro messi dal Governo in busta paga. Presentata sotto la nuova sigla Tari, la tassa sull’immondizia nel 2014 continua infatti a lievitare in larga parte d’Italia, nonostante già lo scorso anno siano stati registrati veri e propri maxi-aumenti.

Le rilevazioni della Uil dicono che la tassa rifiuti scenderà di poco quest’anno a Cagliari (-2,9%) e Napoli (-2,8), rimarrà sostanzialmente stabile a Milano e Venezia, ma è ancora una volta in salita a Roma (+3,8%), Torino (+8,8) Genova (8,2), Trieste (+16,3), Bologna (11,1) e Alessandria (+3,3). In valori assoluti l’aumento maggiore sarà pagato da chi abita a Trieste, dove per una famiglia con 4 componenti che abita in un appartamento di 80 metri quadri, quest’anno si pagheranno oltre 44 euro in più, che portano l’assegno da versare per lo smaltimento dei rifiuti alla bella cifra di 318 euro, mentre a Genova la stessa famiglia pagherà 24 euro di sovrapprezzo arrivare a un totale di 321, a Bologna 22 euro ma con un esborso complessivo di soli 221 euro, mentre a Torino per i rifiuti se ne andranno quasi 20 euro in più, per un totale di 245. Pur con un aumento contenuto a poco meno di 13 euro, tra le dieci città esaminate dall’indagine è Alessandria a detenere il record del caro-immondizia, con un versamento che si attesta addirittura oltre i quattrocento euro (sempre per la famiglia di riferimento considerata dai tecnici della Uil). Questo stando alle medie, ma la tassa varierà parecchio in base al principio «più inquini e più paghi», che in molte delibere comunali si traduce in prelievo maggiore per chi ha attività che producono molti rifiuti, tipo ristoranti e pizzerie, mentre in alcune città, come Torino, si è scelto di fare un po’ di sconto a chi fa la differenziata.

Quasi ovunque per la Tari si è versato un acconto tra giugno e luglio, che spesso non conteneva gli aumenti deliberati in queste settimane e che renderanno quindi più salato il saldo, da versare tra ottobre e dicembre a seconda del Comune. Se confrontato con il versamento dello scorso anno quello della Tari 2014 sembrerà tuttavia meno salato ai più. Non fatevi ingannare, è solo un’illusione. Lo scorso anno infatti la tassa sui rifiuti, allora battezzata Tares, comprendeva anche un sovrapprezzo di 30 centesimi a metro quadro, che non andava a finanziare lo smaltimento dei rifiuti ma quei servizi indivisibili per i quali ora paghiamo la Tasi. In pratica quei trenta centesimi li stiamo pagando da un’altra parte.

Per capire quanto i Comuni stiano aumentando il prelievo, per un servizio di smaltimento dei rifiuti che in tante città lascia a desiderare, il confronto più corretto andrebbe fatto con il 2012, quando lo scioglilingua fiscale aveva deciso di battezzare in due modi diversi (Tarsu o Tia la tassa sull’immondizia), ma senza comprendere nel pacchetto di quella imposta una quota per pagare gli altri servizi resi dai Comuni ai loro cittadini e, soprattutto, senza il vincolo, introdotto dalla legge soltanto in seguito, di coprire per intero il costo dello smaltimento rifiuti: il dettaglio che più di ogni altro rende salato l’appuntamento con la Tasi. Ecco allora la tassa lievitare in soli due anni del 98% a Cagliari (si paga insomma quasi il doppio), del 50% a Genova, del 27,2 a Milano e del 13,9 a Torino. A Roma l’aumento è stato contenuto al 3,8%. Ma quella della Capitale è tutta un’altra storia, visto che l’Ama, l’azienda partecipata che dovrebbe tenere pulita la città, fattura servizi per un valore complessivo di 752 milioni ma poi incassa più di un miliardo, per coprire i costi di un carrozzone che fino ad oggi ha prodotto più dirigenti ben pagati che pulizia nelle strade.