semplificazione

Fisco contribuenti: l’ufficio complicazioni è sempre aperto

Fisco contribuenti: l’ufficio complicazioni è sempre aperto

Massimo Fracaro e Nicola Saldutti – Corriere Economia

Come tutti i passaggi in qualche modo epocali, anche quello del modello 730 precompilato, se da un lato ci mostra il lato gentile del Fisco, dall’altro svela le fragilità del sistema. E le numerose contraddizioni delle norme tributarie che negli ultimi cinquant’anni si sono accatastate (oltre alle tasse, naturalmente) sulle spalle dei poveri contribuenti. L’idea di un modello precompilato per sollevare i cittadini da un onere improprio, è senza dubbio un fatto positivo: lo Stato non chiederà di scrivere un’altra volta (nella dichiarazione, appunto) le cose che conosce già, a cominciare dalle imposte dovute dai dipendenti e versate direttamente dai datori di lavoro. Ma qui comincia il percorso a ostacoli.

Su 20 milioni di potenziali dichiaranti che potrebbero essere esenti da ogni onere, per ben 14 milioni si rende necessaria la cosiddetta integrazione del modello. Risultato: per il 70% dei cittadini che vorranno beneficiare della possibilità di scaricare le spese mediche, i modelli andranno in qualche modo compilati. E qui arriva il passaggio delicato: chi pagherà in caso di errore? La norma è chiara, con il «visto di conformità» la responsabilità ricadrà sui Caf (Centri di assistenza fiscale) e sui commercialisti che daranno il loro via libera al modello integrato. Cosa che naturalmente ha scatenato molte preoccupazioni. Rossella Orlandi, direttore dell’Agenzia delle Entrate, ha spiegato a Mario Sensini come sarà fondamentale l’uso della tessera sanitaria nel 2015 per beneficiare dei calcoli automatici nel 2016 anche per le spese legate alla salute. E la cosa si potrebbe estendere, ad esempio ai mutui. Non era meglio partire con il sistema in ordine?

Si tratta, comunque, di un piccolo passo in avanti. Che speriamo sia seguito al più presto dai Comuni. Perché non adottare anche per Imu e Tasi il modello della tassa rifiuti che viene pagata su bollettini precompilati e spediti a casa del contribuente? Gli enti locali hanno tutti i dati per farlo. Le tasse non calano, almeno cerchiamo di rendere semplici le cose complicate, invece che complicare le cose semplici.

La renzinomics inciampa sul fisco, la semplificazione resta un’utopia

La renzinomics inciampa sul fisco, la semplificazione resta un’utopia

Alberto Statera – Affari & Finanza

Anche al netto dell’incredibile vicenda dell’articolo l9 bis introdotto di soppiatto nel decreto fiscale di Natale, che secondo il costituzionalista Alessandro Pace meriterebbe una mozione di sfiducia e le dimissioni del presidente del Consiglio, il governo Renzi, come e peggio di quelli che lo hanno preceduto, si sta rivelando una calamità in materia tributaria. Non c’è intervento piccolo o grande che negli ultimi mesi non abbia prodotto pasticci, guai e relative crisi depressive di contribuenti e commercialisti. Dall’incubo Imu, Tasi, Tari alla norma retroattiva sull’Irap in spregio della Statuto del contribuente, fino alla comica finale dell’Imu agricola sui terreni “ex montani “. La riduzione delle esenzioni doveva coprire 350 milioni già spesi per il bonus degli 80 euro in busta paga, ma il pagamento è stato rinviato dal 16 dicembre 2014 al 26 gennaio 2015 (data vicinissima nella quale è lecito prevedere l’ennesimo incubo) perché di fatto la nuova norma era ragionevolmente inapplicabile, oltre che esposta a ogni genere di ricorso. Dovevano pagarla i terreni ricadenti in Comuni sotto i 600metri di altitudine, ma chi conosca un minimo la geografia italiana dovrebbe sapere che l’altitudine della sede comunale non coincide quasi mai con quella dei poderi,che spesso sono molto più in alto.

Sarà per un modo di legiferare grossolano, al modo di Re Carlone dei poemi cavallereschi (da cui l’espressione “alla carlona”), sarà per inesperienza nel padroneggiare i sistemi legislativi, sara per la sindrome dell ‘uomo solo al comando attorniato da yes-men (e yes-woman). O, peggio, sarà per una strategia ambigua di stangatine per quanto possibile sotto traccia e contemporanee strizzatine d’occhio agli evasori in funzionedi futuro consenso elettorale, come fa sospettare il 19 bis che, a prescindere dall’utilità per Berlusconi, non è un condono, ma la certificazione per legge della quota che i grandi contribuenti sono autorizzati a frodare: una vera e propria licenza a delinquere. Fatto sta che la retorica del “fisco amico” e della “moral suasion” sembra annegare nell’attuazione lentissima e caotica di una delega fiscale, che rischia di scadere tra non molte settimane.

Prendiamo la promessa semplificazione, che dovrebbe essere il primo atto di un rapporto per quanto possibile meno devastante col fisco più squilibrato del mondo occidentale. Esclusa la legge di stabilità, il governo Renzi ha emanato 8 provvedimenti con 87 norme di carattere fiscale (per la serie dell’iperfetazione normativa) di cui 49 invece di semplificare complicano le ricadute burocratiche. Le sole norme che semplificano sono quelle contenute nel decreto legislativo sulle promesse dichiarazioni precompilate. Un po ‘ meglio, per la verità, della fabbrica delle complicazioni gestita dai govemi Monti e Letta (e dai precedenti), ma con un passo che promette decenni di attesa per vedere, se mai ci sarà, un’effettiva sburocratizazzione. Almeno a stare ai dati della Confartigianato, che ha calcolato in 269 ore all’anno il tempo necessario per affrontare gli adempimenti necessari al pagamento delle tasse, contro le 110 della Gran Bretagna, le 137 della Francia, le 167 delIa Spagna e le 218 della Germania.

In compenso, se fosse passata la depenalizzazione che Renzi ha attribuito alla sua stessa manina, avremmo ulteriormente migliorato, nel tempo di un Consiglio dei ministri natalizio, il nostro record europeo di mino numero di detenuti per frode fiscale: 156 (salvo che dai tempi della statistica non siano stati rilasciati con tante scuse).

Selezionare gli obiettivi per combattere la burocrazia

Selezionare gli obiettivi per combattere la burocrazia

Carmine Fotina – Il Sole 24 Ore

Poche idee ma chiare. Spesso, per quanto apparentemente banale, questa può rivelarsi la formula di maggior successo nelle policy per il supporto all’economia reale. E mai come su un argomento come quello degli investimenti esteri questa regola aurea torna limpidamente attuale. In questo campo abbiamo assistito a più di qualche errore e a un difetto generale di scarso coordinamento: troppi attori in campo e spesso tra loro concorrenti nelle decisioni. Come non pensare, a questo proposito, a grandi investimenti coccolati da membri del governo – senza distinzione tra esecutivi o schieramenti politici – nella fase di negoziazione e sgambettati nella fase decisiva da un veto locale o, peggio ancora, da un repentino cambiamento delle normative statali.

I marchi di British Gas, Ikea, Decathlon sono solo alcuni che potremmo consultare nel catalogo dei grandi investimenti bloccati, frenati o comunque rallentati dalle brutte sorprese che si sono via via manifestate nella disavventura con la burocrazia made in Italy. A tutt’altro catalogo – quello delle opportunità da presentare ai grandi fondi stranieri – si lavora ora tra Palazzo Chigi, ministero dell’Economia, ministero dello Sviluppo e ministero degli Affari esteri. La prima mossa sembra essere quella di tutelare le regole che hanno determinato la scelta dell’Italia per un grande investimento. In altre parole minimizzare i rischi regolatori che, secondo uno studio condotto dalla Camera di commercio italo-americana, frenano soprattutto gli investimenti nell’industria chimica e farmaceutica, nel settore energetico e nei servizi finanziari.

Numeri alla mano, a prescindere dalla graduatoria che scegliamo di analizzare, l’Italia è chiamata a un recupero molto impegnativo. Al 65esimo posto per il Doing Business, al 146esimo secondo il World economic forum che analizza il peso della regolamentazione assumendo come benchmark Singapore. Troppo spesso, per un Paese ad alta capacità manifatturiera e turistica, nell’ipertroia regolatoria a restare incastrati sono capitali di provenienza estera. Secondo uno studio I-Com, su oltre 33 miliardi di grandi investimenti sul territorio italiano oltre la metà è a carico di investitori stranieri, ma il 21% (quasi 7 miliardi di euro) risulta attualmente completamente arenato per ragioni amministrative. Tutti dati ed elementi ben noti a Renzi e ai suoi collaboratori, ora dall’analisi si dovrà passare ai risultati concreti.

Fisco, la fabbrica delle complicazioni

Fisco, la fabbrica delle complicazioni

Paolo Baroni – La Stampa

La fabbrica delle regole e delle complicazioni non si ferma mai. Nonostante gli sforzi del governo, che finalmente iniziano a dare i primi frutti, soprattutto grazie all’operazione del 730 precompilato a domicilio, la pressione burocratica sulle imprese non accenna a scendere. È una vera tela di Penelope: dal 2008 ad oggi, per una norma che semplifica ne sono state emanate 4,3 che complicano la gestione degli adempimenti tributari. È vero che nel 2014 il ritmo delle complicazioni fiscali è rallentato, ma la strada si presenta ancora tutta in salita. Anche perché l’attuazione della delega fiscale, a nove mesi dalla sua approvazione, è in fortissimo ritardo.

I primi 272 giorni di Renzi
Fino ad oggi il governo Renzi, esclusa la legge di Stabilità ancora in fase di costruzione, ha emanato 8 provvedimenti con 87 norme di carattere fiscale di cui 26 (29,9% del totale) semplificano, 12 (13,8%) sono neutre e ben 49 (56,3%) hanno impatto burocratico sulle imprese. II saldo rimane così ancora una volta positivo anche se diminuisce rispetto al passato. Le norme che semplificano sono pressoché interamente concentrate (25 su 26) nel decreto legislativo sulle dichiarazioni precompilate. Negli ultimi 6 anni, il 61% delle 703 nuove norme ha aumentato i costi burocratici. In pratica il fisco si è complicato alla velocità di 1 norma alla settimana.

Il Burofisco Index
Per misurare l’impatto della burocrazia fiscale Confartigianato ha inaugurato il Burofisco Index che sintetizza il saldo tra le norme che semplificano e quelle che complicano la vita degli imprenditori. Nel 2014 l’indice di impatto burocratico ha registrato il calo più vistoso dal 2009, posizionandosi a quota +24, con una diminuzione drastica rispetto al +93 del 2013. «Le nostre rilevazioni – commenta Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato – indicano qualche miglioramento, ma siamo ben lontani da un fisco a burocrazia zero per le imprese». «La delega fiscale è inattuata per l’80-90% – spiega Daniele Capezzone (Fi), presidente della Commissione finanze della Camera -. I1 governo, tranne eccezioni individuali, non ne ha affatto compreso il valore strategico. Possibile che nell’attuazione della delega creda di più il rappresentante dell’opposizione, cioè io, che ne sono stato l’estensore ed il relatore, piuttosto che il governo che l’ha ricevuta in regalo?». Secondo Merletti «la strada è ancora lunga. Oltre a snellire gli adempimenti, occorre anche riordinare i regimi contabili semplificati, come previsto dalla delega». Ciò significherebbe incidere sulle modalità di tenuta della contabilità di ben 2.200.000 aziende, tra ditte individuali e società di persone, pari all’80% del totale. Il restante 20% di imprese ò interessato dall’applicazione della nuova Iri (Imposta Reddito Imprenditoriale) anch’essa prevista dalla delega fiscale. «Un primo passo è stato compiuto nella legge di stabilità con il nuovo regime forfettario. Ma è insufficiente – insiste Merletti – perché pur semplificando gli adempimenti, l’esiguo tetto dei ricavi previsti rischia di vanificare l’impianto complessivo della norma». Intanto però a marzo la delega scade, col rischio di invalidare la riforma. Per evitare il peggio Capezzone annuncia di aver «già presentato una proposta di legge per prorogare di 8 mesi la scadenza».

Sempre più complicazioni
La tendenza alla crescita della pressione burocratica sulle imprese in Italia resta sempre molto alta. Secondo l’analisi effettuata dalla Direzione politiche fiscali di Confartigianato sui 47 provvedimenti emanati nell’arco dei 2.397 giorni che intercorrono nell’arco delle ultime due legislature, scaturiscono 703 norme fiscali: di queste ben 427 complicano e appena 98 semplificano. In prati- ca nell’arco degli oltre sei anni il Fisco si complica alla velocità di 1 norma alla settimana (7,3 giorni).

A passo di gambero
Il problema è dato dalla relativa scarsità delle norme di reale semplificazione: appena 96 su 691 (il 13,9% del totale) nei 6 anni esaminati. Di qui l’effetto tela di Penelope. Dei 47 provvedimenti esaminati solo 15 (31,9%) contengono almeno una norma di semplificazione, ma solo in 2 casi c’è un intervento di alleggerimento pieno: si tratta del decreto legislativo sulle dichiarazioni precompilate (saldo impatto burocratico -22) e il Dl70 del 2011 (-19). Risultato: gli imprenditori italiani impiegano 269 ore l’anno per pagare le tasse, il 53,3% in più rispetto alla media del PaEsi dell’Ocse. Il nostro Paese, secondo il Doing business 2015 della Banca Mondiale, si colloca al 122° posto nella classifica di 189 nazioni del mondo. Una impresa in Regno Unito ne impiega invece 159 in meno, il “vantaggio burocratico” è di 132 ore in Francia, di 102 ore in Spagna e di 51 ore in Germania. E anche questo dovrebbe essere uno spread che bisognerebbe puntare a ridurre.

L’impossibile impresa di semplificare l’Italia

L’impossibile impresa di semplificare l’Italia

Sergio Rizzo – Corriere della Sera

Semplificare, semplificare, semplificare. Da anni non sentiamo parlare, da parte di chi sta al governo, che di «semplificazioni». Dal berlusconiano ministero «per la semplificazione normativa» al montiano decreto «semplifica Italia», al renziano dicastero per la «Semplificazione e la pubblica amministrazione». Ma quando i poderosi apparati semplificatori passano dalle parole ai fatti la musica è, ahinoi, assai diversa. Prendete lo «sblocca Italia», un provvedimento appena approvato dal parlamento, che nonostante il proposito di rendere la vita più facile per la realizzazione delle opere pubbliche contiene un guazzabuglio di norme scritte talvolta in modo così astruso da risultare incomprensibili, ne abbiamo la certezza, perfino ai mandarini che devono averle scritte.

Prova ne sia un fatto che in qualunque altro Paese europeo avrebbe dell’incredibile. Lo stesso giorno che la legge di conversione dello «sblocca Italia» viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale , l’11 novembre, ecco che compare sempre sulla medesima Gazzetta un decreto legge intitolato «Nuove norme per le bonifiche dei siti inquinati» che modifica due norme dello stesso «sblocca Italia» reperibile qualche pagina prima. Inutile leggerlo, se non siete ipertecnici: non ci capirete un’acca.

Ma quello che c’è dentro qui importa poco. È il fatto in sé: ricorda da vicino quello che accadde a Natale del 2006, quando si stava approvando la prima legge finanziaria del secondo governo di Romano Prodi. Un altro guazzabuglio condensato in un unico articolo di quasi 1.400 commi, nel quale si scoprì una norma che mirava a tagliare le unghie alla Corte dei conti.

Quando lo seppe, il giorno prima dell’approvazione, Prodi intimò di toglierla dal testo. Ma era stata scritta in modo talmente indecifrabile che la cercarono tutta la notte ma non riuscirono a trovarla. E il giorno dopo, mentre il Parlamento votava la finanziaria con dentro quella irreperibile norma avvelenata, il governo fu costretto a fare in fretta e furia un decreto legge per abrogarla. Pagò il funzionario che era stato inutilmente incaricato di scovarla, rispedito dal Tesoro agli uffici di provenienza. L’autore del comma incriminato era un senatore, Pietro Fuda, eletto in Calabria nella lista appoggiata dai movimenti dei consumatori. In quel momento, per ironia della sorte, aveva l’incarico di presidente della commissione parlamentare per la Semplificazione normativa.

La lunga marcia del fisco semplice

La lunga marcia del fisco semplice

Primo Ceppellini e Roberto Lugano – Il Sole 24 Ore

La legge delega per la riforma fiscale ha prodotto il primo risultato: il Consiglio dei ministri ha varato in via definitiva il decreto legislativo sulle semplificazioni. Dall’esame dei trentasette articoli del provvedimento si capisce subito che è stato seguito un approccio minimalista: sono poche le questioni veramente importanti che sono state toccate, mentre si è scelto di “limare” alcuni adempimenti per alleggerire (leggermente) la vita delle imprese e dei professionisti.

In estrema sintesi, possiamo classificare gli interventi in tre grandi aree. Innanzi tutto, ci sono le disposizioni che incidono (in meglio) sul complesso rapporto con il fisco: sono le norme sulle società in perdita sistematica e quelle sui compensi dei professionisti. Un secondo lotto di misure è volto a rendere più snelli, senza però sopprimerli, alcuni adempimenti: si va dalle regole sui rimborsi Iva alle opzioni per i regimi fiscali alternativi, per arrivare agli elenchi intrastat, alle comunicazioni dei costi black list e alla gestione delle lettere di intento. Il terzo gruppo di novità ruota intorno alla dichiarazione dei redditi precompilata per i lavoratori dipendenti e gli assimilati: è il tema meno tecnico, visto che impatta in modo marginale sul mondo dell’impresa.

L’elenco più impressionante, però, è quello degli aspetti che non sono stati presi in considerazione dal decreto legislativo, anche se previsti dagli articoli 7 e 11 della legge delega. Nelle novità, che nella maggior parte dei casi si applicheranno dal 2015, mancano infatti la nuova Iri (l’imposizione sugli utili di imprese individuali e società di persone), la revisione della tassazione separata, la definizione dei requisiti per l’esclusione da Irap, la semplificazione delle regole per gli ammortamenti e per i costi parzialmente indeducibili, le modifiche alla tassazione delle operazioni frontaliere, la revisione della tassazione delle cessioni di azienda. Per non parlare di altri aspetti, come la riorganizzazione dei regimi contabili, che sono stati dirottati in altri provvedimenti, come il disegno di legge per la stabilità. Insomma, la conclusione è facile: la “polpa” delle semplificazioni è rimasta pacificamente fuori da questo provvedimento. Se poi ricordiamo che le altre norme di delega, a tutt’oggi ben lontane dall’attuazione, riguardano i temi ancora più complessi e importanti dell’abuso del diritto, del sistema sanzionatorio amministrativo e penale, del Catasto e dei giochi, il quadro che ne esce è piuttosto desolante.

Abbiamo fatto riferimento ad alcuni aspetti particolarmente positivi del decreto; questi meritano un approfondimento, non tanto sui dettagli tecnici, quanto piuttosto per le scelte di fondo che sono state adottate. In primo luogo, è stato rivisto il periodo di osservazione per le società in perdita sistematica: non bisogna più fare riferimento al triennio, bensì al quinquennio precedente. Ovviamente, sarà più facile trovare un periodo con un reddito positivo e superiore a quello minimo, quindi diminuiranno le ipotesi di società non operative, di interpelli da presentare, di accertamenti e di contenziosi. Ebbene, su questo aspetto è stata fatta la scelta di applicare immediatamente la novità: dopo un corretto richiamo allo Statuto del contribuente, infatti, l’articolo 18 applica la novità al periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo. Questo dimostra che, quando si vuole, è possibile semplificare da subito, cioè con effetti immediati.

Il secondo esempio virtuoso riguarda le norme sui professionisti, e dimostra che quando una norma è assurda può essere abrogata. Si tratta delle spese che le aziende sostengono per vitto e alloggio di professionisti esterni: oggi le aziende, dopo avere sostenuto la spesa, devono comunicarla al professionista, e questo deve esporla nuovamente nella sua fattura di consulenza; un “giro” di documenti e di adempimenti privo di qualsiasi effetto se non aumentare costi e rischi per tuti i soggetti coinvolti. Dal 2015 si torna alla normalità: l’impresa sostiene il costo e se lo deduce, e non comunica nulla al lavoratore autonomo, che rimane sollevato da assurde duplicazioni di adempimenti.

La domanda finale è ovvia: ma ci volevano tutti questi anni, una legge delega e un decreto legislativo di semplificazione per fare semplicemente “marcia indietro” ed eliminare un chiaro errore? Speriamo almeno che da questa vicenda si possa trarre un insegnamento concreto. Per esempio, proprio mentre si discuteva di soppressione di adempimenti inutili, è stata istituita la nuova comunicazione (in scadenza pochi giorni fa) per i beni concessi in godimento ai soci. È un altro caso di regola scritta male, complicata da applicare e inutile (visto che i dati possono essere richiesti semplicemente dalla dichiarazione dei redditi). C’è da augurarsi che non serva un’altra delega per cancellare anche questo.

Come fare danni semplificando

Come fare danni semplificando

Nicola Porro – Il Giornale

Tutti dicono che vogliono semplificare. È la parola d’ordine. Il problema è che la politica e gran parte della burocrazia sono talmente lontani dalla realtà che spesso le semplificazioni fanno più danni che altro. Non ci credete? Tra poco vi porteremo un caso tipico, concreto, reale. Il punto fondamentale resta di principio: lo Stato ci tratta come sudditi, predisposti alla truffa, e dunque da regolare con decreti minuziosi. È la dittatura della norma. La bestia statuale non molla mai la presa anche quando finge di farlo. Ma andiamo al dunque.

Alla fine degli anni ’80 viene approvata una leggina (la Tognoli) che, tra le altre cose, prevede di realizzare parcheggi interrati su terreni pubblici o privati non edificabili, purché siano vincolati a una casa privata (a distanza non maggiore di un chilometro). In pratica, come fosse una cantina o una soffitta Questo per evitare fini speculativi di investitori che comprassero a tappeto box auto per poi riaffittarli lucrandoci sopra. Beh, insomma, non si può pretendere troppo: la speculazione in un Paese socialista è fumo negli occhi. La seconda condizione è che sul terreno soprastante venga realizzato un parco (con alberi, panchine, verde attrezzato da sottoporre a preventiva autorizzazione del Servizio Giardini) a destinazione pubblica, indipendentemente dal fatto che il terreno sia pubblico o privato. Una legge che sembra avere un senso: il costruttore guadagna, si crea lavoro, si tolgono macchine dalla strada, l’acquirente ha la possibilità di smettere di pagare affitti o impazzire a cercare parcheggio, lo Stato incassa le tasse di tutti quelli che ci lavorano e guadagnano. Il tutto a costo zero da parte del Comune o del contribuente. Non sono previste agevolazioni, finanziamenti: nulla.

Purtroppo abbiamo cercato, un paio di anni fa di semplificare la legge. Sbandierando tale obiettivo il governo ha eliminato il limite di un chilometro, estendendolo a tutto il Comune. Un’idea geniale: chi diavolo si metterà a comprare un box auto a più di un chilometro in linea d’aria dalla propria abitazione per parcheggiare un’auto? Poco male, si dirà: norma inutile, ma non dannosa. Sennonché, la medesima legge di semplificazione ha stabilito che il costruttore prima di ottenere la concessione debba obbligarsi davanti a un notaio a vendere non più a generiche persone, ma a soggetti precisi che vanno indicati in atto. Insomma,occorre per ogni box indicare nome, cognome del futuro acquirente e i dati catastali dell’immobile cui vincolarlo.

Una roba da pazzi. Significa andare sul mercato senza avere neppure il Permesso di Costruire e trovare acquirenti disposti a impegnarsi all’acquisto di un bene futuro che non solo è da costruire, ma per il quale mancano le autorizzazioni. Ovviamente nessuno si impegnerà a una pazzia del genere. I costruttori sono costretti a chiedere a mamma, a nonna, amici e parenti di prestarsi alla farsa di promettere l’acquisto, con l’accordo non scritto che non compreranno mai e che, quando verrà trovato l’acquirente vero, loro rinunceranno all’opzione in favore del cliente finale. Il quale si insospettirà di questo strano passaggio e magari deciderà di non comprare un bel niente. Un bel modo per aiutare un settore in crisi. All’interno del raccordo anulare di Roma (la città che ha maggiori problemi di parcheggio) il prezzo medio di un box sotterraneo è intorno ai 20mila euro. In genere i recuperi dalla Tognoli riguardano aree che (compreso il bagno per i disabili) possono ospitare un massimo di una ventina di parcheggi. Insomma, si tratta di un business che vale meno di mezzo milione di euro. Non esattamente roba da «Sacco di Roma». Eppure trattiamo questa materia come se si stesse urbanizzando la laguna di Venezia.

Ps. Nel centro di Milano a duecento metri dal Duomo, esattamente in piazza Cordusio, ci sono tre enormi palazzi praticamente deserti. Un ex quartier generale di Unicredit e le Poste lo sono già. Anche la sede delle Generali in un futuro prossimo potrebbe andare a occupare il suo grattacielo a Citylife. Si tratta di più di 100mila metri quadrati di immobili a disposizione, vuoti. Nel caso di Unicredit ancora affittati. In un Paese normale si progetterebbe un futuro per quest’area gigantesca e centrale. Si coinvolgerebbero grandi investitori internazionali. Si permetterebbe loro di esporre progetti anche diversi dal semplice utilizzo degli spazi come uffici (la morte civile oggi). Ecco, si farebbe tutto ciò. Invece Milano (e l’Italia) preferisce andare appresso alle palle antimoderniste dell’Expo a chilometri zero e no-ogm.

Se le semplificazioni rimangono una bandiera

Se le semplificazioni rimangono una bandiera

Antonello Cherchi – Il Sole 24 Ore

Semplicità: dovrebbe essere questa la parola che regola il vivere in Italia. Sono così tante le norme che della semplificazione hanno fatto la loro bandiera, che pensare il contrario apparirebbe paradossale. E invece è proprio così: il nostro Paese continua a essere ingessato dalla burocrazia e ad avere tanto bisogno di una profonda opera di snellimento.

Anche il decreto legge sblocca-Italia, approvato venerdì dal Consiglio dei ministri, ritorna sull’argomento e presenta una nuova serie di semplificazioni. Prima ancora – per rimanere al passato meno lontano – ci aveva provato il Governo Monti, che alla questione aveva dedicato un decreto legge ribattezzato proprio Semplifica-Italia. Se si scorre il decreto del Fare varato da Letta si incontrano misure per rendere più facile la vita alle imprese, ai contribuenti, ai lavoratori, per velocizzare le verifiche dell’Inps.
Non si può escludere che alcuni di quegli interventi abbiano sortito l’effetto annunciato. Nel complesso, però, è arduo sostenere che il confronto di tutti i giorni con la burocrazia sia meno faticoso. Di certo, non è così semplice come lascerebbero presupporre i tentativi legislativi adottati per renderlo tale.
D’altra parte, per una misura di semplificazione, ce ne sono altrettante (e anche di più) che introducono nuovi adempimenti. Il sospetto è che il saldo non sia mai pari a zero, ma i nuovi oneri finiscano per sopravanzare quelli cancellati.

Un modo per tenere questo tipo di contabilità ci sarebbe, ma come racconta la relazione sul primo anno di applicazione del taglia-oneri, non tutti i ministeri hanno tenuto fede all’impegno e, per di più, quelli che si sono adoperati lo hanno fatto in maniera a dir poco svogliata: hanno presentato un bilancio in pari, smentito però dagli imprenditori, a cui la misura è rivolta. Della quantificazione monetaria dei nuovi adempimenti, poi, neanche l’ombra. Ed è anche così che la burocrazia si alimenta: una disposizione nata all’insegna della semplificazione, si trasforma essa stessa in un onere. Richiede uffici che vi lavorino, relazioni annuali da presentare, programmi da definire, come quello recente con le nuove linee guida per la misurazione e la riduzione dei tempi e degli oneri amministrativi. Basta scorrerlo per capire come l’intera operazione abbia scarsissime probabilità di riuscire.

Non è certo l’unico caso. Con l’Air (Analisi di impatto della regolamentazione) e la Vir (Valutazione di impatto della regolamentazione) qualche anno fa si è cercato di andare anche più a fondo e di fare le pulci ai nuovi provvedimenti legislativi, così da capirne la reale necessità e quantificarne l’impatto finanziario. Invece, talvolta le nuove leggi ne sono sprovviste o quando li hanno sono come compitini di uno scolaro distratto. Sono diventati oneri tra gli oneri.