famiglie

La Tari alza il conto per le famiglie numerose

La Tari alza il conto per le famiglie numerose

Cristiano Dell’Oste e Michela Finizio – Il Sole 24 Ore

L’unica consolazione è che il bollettino arriva a casa precompilato: la Tari sui rifiuti – diversamente dalla quasi omonima Tasi – non impone ai cittadini di farsi da soli i calcoli. Se però si guardano le cifre, si scopre che il tributo per la raccolta e lo smaltimento della spazzatura spesso è più pesante della service tax sugli immobili. La Tari segue il calendario stabilito da ogni Comune, e in molte città l’acconto è in scadenza in questi giorni. Per una famiglia di tre persone che vive in un appartamento medio-grande, il conto su base annua può andare dai 118 euro di Oristano ai 482 euro di Napoli, con un livello medio di 342 euro.

I dati emergono dalle elaborazioni condotte da Ref Ricerche su un campione di 51 capoluoghi di provincia, ed evidenziano due trend ormai consolidati. Da un lato, un aumento medio del prelievo del 12-13% negli ultimi quattro anni, con punte del 25% per le famiglie numerose. Dall’altro, grandi differenze territoriali, con il servizio che in alcune città costa il triplo o il quadruplo che in altre. Come si spiega questa evoluzione del prelievo? «Gli aumenti – afferma Donato Berardi direttore del laboratorio servizi pubblici locali di Ref Ricerche – dipendono in primo luogo dal taglio dei trasferimenti agli enti locali e dall’introduzione del principio secondo cui il tributo deve coprire i tutti i costi del servizio: se nel 2010 la copertura era dell’85%, oggi si arriva di fatto al 100 per cento». Ma ci sono anche altre spiegazioni. Sull’andamento del tributo, infatti, incide anche l’adozione del principio comunitario «chi inquina paga»: in assenza di criteri di misurazione effettiva della quantità di rifiuti prodotti, molte città hanno intanto alzato il prelievo in base al numero degli occupanti dell’immobile. E poi, conclude Berardi, «non va dimenticato che le variazioni di tariffa possono riflettere anche presenza di costi del servizio molto diversi sul territorio. In particolare, dove la raccolta non è efficiente o non ci sono discariche o impianti adeguati, la spesa per le famiglie tende ad aumentare».

Non è un caso, allora, che il conto della Tari raggiunga il picco massimo proprio a Napoli, dove da anni si combatte contro l’emergenza rifiuti, sia per i single (198 euro per 50 mq) sia per le famiglie di cinque persone (628 euro per 120 mq). «I prelievi più marcati – aggiunge Berardi – spesso nascondono problemi di finanza pubblica oppure tecnologie di gestione dei rifiuti più o meno trascurate». Tra le città con i costi più alti, ad esempio, c’è anche Alessandria, da tempo in difficoltà finanziaria.

Oltre all’importo totale, c’è anche un altro aspetto importante da valutare: la progressione del prelievo in base al numero di occupanti. Che una famiglia di tre persone paghi più di un single è assodato, ma “quanto” di più dipende dalla modulazione della tariffa scelta a livello comunale. È Cremona, in particolare, a differenziare maggiormente il tributo in base al numero di occupanti, a parità di superficie: qui il conto in euro al metro quadrato per le famiglie di cinque persone è dell’80% superiore a quello per i single. La maggior parte dei Comuni, però, sceglie di non “stressare” troppo questo criterio: una ventina di città introduce differenze minori del 10% tra i single e le famiglie di tre persone, sempre ragionando a parità di metratura. D’altra parte, il numero degli occupanti è solo un surrogato di un vero criterio di misurazione dei rifiuti. Ma sono ancora pochi gli enti locali che applicano criteri puntuali più incisivi, legati ad esempio al conteggio degli svuotamenti dei cassonetti o al peso dei sacchetti. A influenzare, infine, gli aumenti sulla tariffa rifiuti è anche la morosità dei contribuenti che, sempre secondo Ref Ricerche, in alcune città arriva a toccare tassi a doppia cifra, imponendo di fatto un sussidio a carico delle altre utenze.

Ridare fiducia a imprese e famiglie

Ridare fiducia a imprese e famiglie

Vincenzo Chierchia – Il Sole 24 Ore

Si allunga l’ombra dello spettro della deflazione, ossia del calo generalizzato dei prezzi al consumo, scenario che suscita non pochi grattacapi, per l’effetto deprimente su consumi interni già ai minimi e per i contraccolpi negativi sulle attese degli operatori economici. Si rafforzano dunque le richieste al Governo di interventi a sostegno della domanda interna mentre le imprese chiedono sostegni agli investimenti. L’obiettivo è quello di spezzare quel circolo vizioso all’interno del quale ci stiamo lentamente avvitando: prezzi in calo, domanda debole, attese sempre più negative sulle opportunità offerte alle imprese e sulle prospettive di reddito delle famiglie.

Certo, non va dimenticato che il dato sull’inflazione di settembre è stato condizionato dalla flessione dei beni energetici e delle comunicazioni. Restano invece in tensione, sia pure con incrementi da prefisso telefonico, i prezzi rilevati dall’Istat per capitoli importanti come istruzione e ristorazione (compresi i servizi ricettivi). Gli alimentari scontano qualche tensione dovuta al maltempo che ha interessato soprattutto i prodotti freschi. Il punto è che ci avviciniamo sempre più all’inflazione zero, se guardiamo al dato di fondo (core), ossia alla dinamica dei prezzi al consumo depurata da componenti più volatili come l’energia. Un obiettivo agognato in Italia negli anni dei prezzi galoppanti, della sindrome sudamericana peraltro molto cavalcata all’epoca dalla politica. Oggi ci fa più paura la deflazione perché è sintomo di paralisi del sistema economico, sempre più immobilizzato nelle spire di una stagnazione che si sta rivelando quasi endemica.

Cosa fare allora? Dobbiamo spezzare le catene e dare una scossa al sistema, ma non basta. Dobbiamo ridare fiato alle aspettative, ma ci vogliono interventi su più fronti. Gli operatori commerciali lamentano appunto che i prezzi scendono ma i carrelli sono vuoti. Beni e servizi costano meno in media, è vero, ma il punto è che le famiglie non se ne accorgono o quasi. I depositi in banca aumentano ma certo non per far salire la quota di consumo. Ci può forse consolare il fatto che la stagnazione investe anche il resto d’Europa? Che i nostri cari amici tedeschi soffrano anche loro? Che i nostri cugini francesi abbiano più o meno le nostre stesse difficoltà? La Banca centrale europea sta cercando di intervenire in maniera massiccia per immettere benzina nel sistema economico continentale facendo tra l’altro leva sul fatto che l’obiettivo di inflazione è più lontano. Ma finora non c’è stata una reazione forte. Serve tempo si dirà. Se Francoforte da un lato e i Governi nazionali ci si mettono d’impegno dall’altro la ripresa non può tardare. A quel punto però conteranno le riforme strutturali dei vari sistemi nazionali. È questa la scossa da dare. Occorre far capire che si sta intervenendo nel profondo e che si aprono nuovi spazi a una maggior fiducia sulle prospettive del Paese e così dell’intera Ue.

Sgravi alle famiglie. Assunzioni, 3 anni senza tasse

Sgravi alle famiglie. Assunzioni, 3 anni senza tasse

Andrea Bassi e Luca Cifoni – Il Messaggero

Il dato, quasi paradossale, lo ha certificato ieri l’Istat. Il bonus da 80 euro, per la metà, ha favorito i redditi medio-alti. Come questo sia stato possibile è semplice da spiegare. In Italia non esiste il reddito familiare. Così se in uno stesso nucleo ci sono due persone che guadagnano meno di 26 mila euro, entrambi hanno diritto al bonus, dal quale, invece, sono stati del tutto esclusi gli incapienti (chi dichiara meno di 8 mila) e le famiglie monoreddito sopra i 26 mila euro. Per mettere una toppa, seppur parziale, alla seconda di queste storture, il governo nella legge di Stabilità destinerà 500 milioni di euro agli sgravi per le famiglie numerose. Allo studio ci sarebbe un doppio meccanismo, legato anche ad una possibile rivisitazione del funzionamento del bonus da 80 euro. La prima possibilità sarebbe quella di far aumentare la soglia di reddito che dà diritto al bonus nel caso di famiglie monoreddito con minori a carico. Con due figli, per esempio, la soglia passerebbe da 26 mila a 30 mila euro, per salire a 40/42 mila euro con tre figli e a 50/55 mila euro con quattro figli. La seconda ipotesi, invece, si baserebbe su un aumento delle detrazioni per i figli a carico, attualmente 950 euro per figlio che salgono a 1.220 euro sotto i tre anni. In questo caso, tuttavia, sarebbe lo stesso bonus da 80 euro a cambiare fisionomia, diventando esso stesso una detrazione invece che, come è nella struttura attuale, un credito d’imposta. In questo modo si avrebbe anche un effetto collaterale di non poco conto, ossia una riduzione nominale della pressione fiscale.

Il meccanismo
La prima misura destinata alle imprese è invece l’azzeramento dei contributi in caso di nuove assunzioni a tempo indeterminato. Viene così riproposto, ma in una forma più potente e generale, il meccanismo già messo in campo alla metà dell’anno scorso dal governo Letta, che però non ha raggiunto gli obiettivi che si proponeva. In quel caso l’esenzione dal versamento dei contributi (pari al 33 per cento della retribuzione) riguardava per un periodo di 18 mesi le nuove assunzioni di giovani fino a 29 anni, mentre il beneficio era limitato a 12 mesi nel caso di passaggio dal contratto a termine a quello a tempo indeterminato. La dote finanziaria era di 794 milioni, su più anni, che avrebbero dovuto garantire 100 mila nuovi posti di lavoro. In realtà l’incentivo ha fatto scattare solo 22 mila ingressi nel mondo del lavoro, ed è stato recentemente definanziato con il decreto sblocca-Italia, per garantire copertura alla Cig in deroga. Lo schema di Renzi, che dovrebbe accompagnare il debutto del nuovo contratto a tutele crescenti introdotto con il Jobs Act, prevede invece che la decontribuzione, per un periodo di tre anni, riguardi qualsiasi nuova assunzione. Se le risorse messe sul tavolo si aggirano sul miliardo e mezzo in tre anni, allora le assunzioni agevolate dovrebbero riguardare un numero maggiore di persone. Ovviamente la propensione delle imprese ad ampliare il personale sarà condizionata anche dall’andamento del ciclo economico.

Deducibilità piena
Tocca il costo del lavoro, in modo sostanzioso, anche la nuova riduzione dell’Irap annunciata dal presidente del Consiglio. Oggi le retribuzioni dei dipendenti entrano nella base imponibile del tributo: come ha ricordato lo stesso Renzi è una caratteristica che lo rende particolarmente inviso agli imprenditori, perché comporta l’obbligo di un versamento anche quando la crisi azzera gli utili. Dal 2015 questa voce dovrebbe essere interamente dedotta, con un beneficio per le imprese quantificato in 6,5 miliardi (molto più di quanto ipotizzato finora). Resta però da capire come la novità si combinerà con l’attuale deduzione dell’Irap costo del lavoro ai fini Ires, ed eventualmente con il taglio dell’aliquota (dal 3,9 al 3,5 per cento) avviato con il decreto dello scorso aprile.

I risparmi dei nonni ci salvano dalla crisi

I risparmi dei nonni ci salvano dalla crisi

Antonio Angeli – Il Tempo

Altro che welfare e compagnia bella: le famiglie italiane le salvano i nonni e le nonne. Nel giorno della loro festa un sondaggio svela che è grazie agli anziani che sopravvivono i giovani. I nonni con i loro risparmi sono di aiuto a più di una famiglia su tre (37 per cento) ma per il 17 per cento sono anche una fonte di consigli e suggerimenti che a volte si trasformano in occasioni di lavoro per i nipoti. È tutto in una indagine on line pubblicata sul sito www.coldiretti.it, effettuata in occasione del 60esimo anno dalla nascita di «Donne impresa» Coldiretti, con la prima mostra sui business delle tradizioni. Dal ritorno dei tessuti naturali su un telaio di 200 anni fa, agli «agridetersivi» ecologici che sfruttano le proprietà delle erbe aromatiche, agli abiti anallergici con tinture vegetali, ma anche la riscoperta delle conserve della nonna (sono sempre la migliori) al recupero di bevande antiche che non temono la crisi. Sono solo alcuni dei suggerimenti dei nonni che alimentano il business della tradizione, censiti dalla Coldiretti.

L’inventiva delle imprenditrici della Coldiretti, che dimostra concretamente che la tradizione può rappresentare un vero e proprio business è notevole ed è presente in tutte le regioni. Tra le idee particolari ci sono quella della manager sarda che partendo dall’allevamento del baco da seta di razza «Orgosolo» ottiene attraverso una sapiente tessitura su un telaio antico di 200 anni fa «su Lionzu», il copricapo del costume tradizionale femminile di Orgosolo, una benda di seta grezza color giallo ocra che fascia completamente il capo. Il percorso dal baco all’atelier, annuncia la Coldiretti, è lungo e faticoso, ma il risultato è eccellente, i fili vengono fatti passare attraverso una serie di paletti piantati nel terreno e controllati dalle donne più esperte che ne dirigono gli scambi. Dopo questa operazione viene preparata una treccia densa e cangiante di seta che verrà lavorata col telaio formando il tessuto finito.

Nella giornata dedicata alle nonne e ai nonni d’Italia, ieri, due ottobre, riconosciuta Festa nazionale, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rivolto i suoi «auguri di ogni bene alle italiane, agli italiani e a quanti nel nostro Paese beneficiano del legame affettuoso con le rispettive e i rispettivi nipoti». E ancora: «Rivolgo tuttavia il mio saluto e i miei auguri anche alle donne e agli uomini di generazioni più giovani, comprese quelle giovanissime, che con le madri e i padri dei propri genitori si scambiano sentimenti positivi, conoscenza, compagnia. La festa di oggi li riguarda». «È nella trasmissione di ricordi e insegnamenti – ha aggiunto il capo dello Stato – da parte delle persone anziane e degli anziani e di preziosi stimoli da parte delle più giovani e dei più giovani una delle fonti profonde di benessere interiore per una società. Buona giornata delle nonne e dei nonni, dunque, a loro e non soltanto a loro». «Auguri anche a quanti trovano sostegno dal contributo di nonne e nonni alla crescita delle giovani generazioni, a figli e nipoti che donano attenzione, e in molti casi assistenza, ai festeggiati di oggi così favorendo la circolazione di risorse ed energie vitali per i cittadini dell’intero Paese», ha concluso il presidente Napolitano.

La famiglia taglia anche la spesa

La famiglia taglia anche la spesa

Emanuele Scarci – Il Sole 24 Ore

Continua, senza soste, il lento scivolamento dei consumi in Italia. Ma, ora, a pagare il prezzo più salato della crisi è l’alimentare mentre si attenua la caduta dei prodotti non food. Le rilevazioni Istat di luglio indicano un calo delle vendite al dettaglio dello 0,1% rispetto al mese precedente e dell’1,5% rispetto a un anno fa. Spacchettando il dato però emerge che la contrazione dei prodotti alimentari è molto superiore a quella del non food: il 2,5% contro l’1 per cento. E anche le forme distributive dei beni di largo consumo risentono della divaricazione tra food e non food: le catene della gdo alimentare perdono l’1,7% su base annua mentre quelle del non food guadagnano lo 0,2%. I discount alimentari segnano una crescita dell’1,7% ma, a rete costante, il segno più si appiattisce. Il messaggio è chiaro: dopo aver eliminato gli sprechi, scoperto i discount, sostituito vari prodotti con altri meno costosi e approfittato della pioggia di promozioni, le famiglie stanno tagliando la lista della spesa. Persino la corsa degli italiani nel biennio d’oro 2012/13 verso smartphone e tablet si è esaurita: la domanda ora è in picchiata.

Dai dati Istat emerge che, su base annua, nel non food a soffrire di più sono cartoleria, libri e giornali (-3,6%), casalinghi (-2%), utensileria per la casa (-1,4%) e profumeria (-1,2%). «Il dato di luglio delle vendite al dettaglio – commenta Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione – conferma che siamo ancora lontani dall’uscita dal tunnel e che la ripresa del Paese rimane un miraggio. Poi preoccupano i dati dei consumi di prodotti alimentari: il -2,5% è il segno che le famiglie stanno cercando economie e risparmi anche nei bisogni più essenziali». Per Cobolli è impressionante il calo dell’ortofrutta, «un tipico prodotto di consumo italiano. Dopo una prima forte caduta, la discesa è proseguita: sono mutate le abitudini di acquisto e sorge il dubbio che, anche quando la ripresa si manifesterà, sarà difficile tornare agli stili di vita precedenti». Anche per Coldiretti le difficoltà economiche hanno avuto un effetto negativo sui consumi alimentari per il 47% delle famiglie,con la ricerca dei prodotti low cost e dei punti vendita meno cari. Secondo l’indagine Coldiretti nel carrello della spesa il 23% degli italiani ha ridotto i quantitativi di ortofrutta, il 21% acquista prodotti e varietà che costano meno, il 16% rinuncia a prodotti che costano troppo (dalle ciliegie ai frutti di bosco), il 13% è andato alla ricerca di punti vendita con prezzi più bassi.

Che fare? «Non abbiamo segnali – commenta Mario Resca, presidente Contimprese – che facciano presagire un’inversione di tendenza delle vendite nei prossimi mesi. Settembre è iniziato a rilento, complici anche le condizioni meteo che non hanno favorito un aumento di battute di cassa. E anche il bonus di 80 euro finora è stato utilizzato dalle famiglie per pagare bollette c risparmiare». Cauto Cobolli Gigli: «Io negli 8o euro ci credo. Intanto sono stati distribuiti 10 miliardi alle famiglie più bisognose che li hanno utilizzati, parte, per i consumi alimentari e, parte, per pagare le bollette e accantonarli. Sul medio periodo sono fiducioso che l’effetto cumulo induca le famiglie a spendere di più per i consumi». Per l’ufficio studi di Confcommercio «è necessario che nella Legge di Stabilità siano inseriti provvedimenti che, ridando slancio ai consumi, creino le premesse per una vera ripresa nel 2015».

La mutazione genetica delle famiglie italiane

La mutazione genetica delle famiglie italiane

Marco Morino – Il Sole 24 Ore

Dopo questa crisi, quando passerà, nulla sarà più come prima. Ne sono convinti anche gli esperti di consumi. Dalle ultime indagini condotte sullo stile di vita degli italiani e sulla spesa futura delle famiglie arriva un’indicazione netta: anche se ci dovesse essere una ripresa dell’economia, i consumatori non tornerebbero più quelli di una volta. Nella ricerca realizzata da GFK Eurisko per l’Osservatorio Non Food 2014 di GS1 Italy/Indicod-Ecr emerge forte la convinzione che anche se cambiasse il ciclo economico, le esperienze innescate dagli ultimi sei anni di ristrettezze e incertezze economiche avrebbero ormai lasciato un segno talmente forte da diventare parte integrante dei consumatori. Più attento alla spesa, agli sprechi, al rapporto qualità prezzo e sempre più digitale. Ecco come sarà il consumatore di domani.

La grande crisi, ma anche le nuove tecnologie hanno prodotto una sorta di mutazione genetica delle famiglie italiane. La recessione sta cambiando gli stili di consumo, all’insegna della frugalità e della condivisione, secondo il rapporto Coop 2014 “Consumi & Distribuzione”. I cordoni della borsa sono stati ristretti in quasi tutti i settori, con l’eccezione dei prodotti tecnologici e del cibo di qualità. Le speranze di ripresa dei consumi sono rimandate al 2015, anche se ci vorrà ancora molto tempo per rivedere i livelli del 2007. Dallo scoppio della crisi internazionale a oggi, infatti, il reddito disponibile degli italiani è calato di 2.700 euro. Lo studio fa luce sull’evoluzione degli stili di consumo durante la grande crisi. Si sono ridotti sensibilmente gli spostamenti, gli acquisti di abbigliamento e la spesa per il divertimento, ma non si è rinunciato alla qualità dell’alimentazione (crescono i consumi di cibo vegano e biologico) e alle ultime novità della tecnologia (in primis gli smartphone).

Tra le tendenze emergenti si segnala soprattutto il decollo della spesa via Web: ormai il 46% degli italiani utilizza Internet in mobilità, per una media di due ore al giorno, andando a caccia di occasioni in tutti i settori di consumo. E a conferma di un mutamento generale degli stili di vita arrivano anche i dati sui consumi di carburanti: nei primi otto mesi dell’anno gli acquisti di benzina e gasolio risultano in flessione dell’1,4%. Un trend negativo che inizia a pesare sul gettito nonostante l’aumento della pressione fiscale degli ultimi tempi. Per colpa della crisi dei consumi, anche il Fisco incassa meno. A conti fatti, solo i prodotti biologici sembrano non risentire della crisi. Secondo i dati elaborati da Nomisma, dal 2005 a oggi questo comparto ha fatto registrare una crescita delle vendite nell’ordine del 220 per cento. E il trend è destinato a proseguire senza flessioni anche nel 2015.